05.21 – SETTIMO, NON COMMETTERE ADULTERIO VII (Matteo 5.27-32)

5.22 – Settimo, non commettere adulterio VII (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Con questo incontro concluderemo quella che è solo una panoramica generale sul settimo comandamento, che coinvolge direttamente l’istituzione matrimoniale senza la quale l’adulterio non potrebbe esistere. Parlando di credenti il pericolo di questa infrazione esiste quando si verifica un problema di ascolto e una delle due parti, o molto spesso entrambe, hanno posto le basi perché ciò si verificasse. Molti dei versi che abbiamo citato e letto nei capitoli precedenti illustrano la condizione ideale, quella di Dio, ma occorre tener presente che, nel contingente quotidiano, ciascuno di noi sa di avere a che fare con la propria carne “debole”, con le sue esigenze che vorrebbero essere sempre dominanti e con il proprio spirito che, pur “pronto”, è costretto ad affrontare il proprio lato umano imperfetto. L’uomo convive quindi con questi due elementi spesso in conflitto fra loro e così nel matrimonio, nel rapporto continuo con il nostro corrispettivo femminile o maschile, si può dire che a fronteggiarsi, a volte disordinatamente, si è in quattro.

Ognuno di noi sa, per esperienza diretta, quanto sia difficile a volte gestire il rapporto con noi stessi: egoisti per natura, siamo capaci di azioni tanto nobili quanto disonorevoli. Dal punto di vista della personalità il cristiano, come tutti, può evolvere o involvere, venire condizionato negativamente da circostanze avverse nella vita e nel lavoro senza contare che, come si può ammalare il nostro corpo, anche la mente, sottoposta a stress prolungati, può aver bisogno di cure. Non credo di assumere posizioni estreme affermando che, quando tutto ciò si verifica, a monte c’è un mancato cammino quotidiano col Signore fatto di preghiera e soprattutto identificazione con Lui e la Sua Parola. Ricordiamo Isaia 40.29,31: “Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi”. Certo, questi versi descrivono la posizione di chi cammina sempre davanti a e con Dio, ma dobbiamo tener presente che la vita che scorreva nei tempi antichi era profondamente diversa da quella attuale, che impone all’essere umano ritmi insostenibili perché visto come una macchina da sfruttare e che deve produrre velocemente e proficuamente. La gestione di un tempo basato – ad esempio – sui bioritmi o anche solo a misura della persona è divenuta da tempo impossibile e le nevrosi nascono libere, causate da fattori che prima non esistevano e ci sono credenti che non trovano il tempo per pregare e appartarsi con Signore, arrivando a fine giornata sfiniti.

La nostra mente, oggi, è molto più in pericolo di allora e in tal modo si creano squilibri: una persona poco in grado di gestire se stessa, lo è ancora meno nel gestire un rapporto di coppia. Allora possono nascere dei conflitti peggiori di quelli previsti, sempre dall’apostolo Paolo che sviluppò molto il tema del matrimonio, con queste parole: “Riguardo alle vergini non ho alcun comando dal Signore, ma dò un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa delle presenti difficoltà, rimanere così com’è. Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei libero da donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella loro vita, e io vorrei risparmiarvele” (1 Corinti 7.25-28).

È proprio la definizione “tribolazioni nella loro vita”, tradotta da altri con “tribolazioni nella carne”, che allude a uno stato di sofferenza che può instaurarsi a causa di un’unione che, per i motivi più svariati, s’incrina a tal punto da lasciare i coniugi soli con loro stessi e a scendere in un terreno di contesa e rivalsa. È il desiderio di vita naturale che si insinua in quella della coppia e Paolo, paternamente, vorrebbe risparmiare a chi non è ancora fidanzato o legato sentimentalmente la prospettiva del matrimonio perché contempla anche sofferenza che può essere più o meno transitoria a seconda dell’atteggiamento di entrambi. Ricordiamo che l’unione ha sempre come obiettivo la cooperazione verso qualcosa di molto più alto di una semplice convivenza e che ciascuno dovrebbe vedere nell’altro tanto il proprio simile quanto, fatte le debite proporzioni, il volto di Dio che si riflette nel credere, nell’essere salvati e nel crescere. Perché occorre aver cura della moglie come del proprio corpo? È un modo per ricordare che lei è parte integrante del marito, non è un frammento di vita autonoma. E viceversa. Tutto questo può essere considerato retorica pura, ma non è così, per lo meno da un punto di vista cristiano perché marito e moglie, avendo un obiettivo di crescita comune davanti al Signore, sono uniti proprio da quel cammino. Allora possiamo mettere a confronto, facendo ciascuno libere considerazioni, le parole di Paolo che abbiamo letto e quelle del Qoèlet, o Ecclesiaste: “Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Infatti, se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare, ma uno solo, come fa a riscaldarsi? Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto” (4.9-12).

Si può ora tornare a 1 Corinti 7, leggendo un nuovo passo: “Agli sposati dò quest’ordine, che non viene da me, ma dal Signore: la moglie non si separi dal marito. Se si è già separata dal marito, non si risposi. Cerchi piuttosto di riconciliarsi con lui. E d’altra parte, il marito non mandi via la moglie”. Qui abbiamo un distinguo tra consiglio e ordine e, come vedremo nei versi successivi, il secondo si riferisce a coniugi credenti, che hanno acconsentito al Signore Gesù Cristo di entrare nella loro vita e hanno fatto a suo tempo un progetto comune scegliendo di diventare una sola carne. Tutte le indicazioni contenute al capitolo 7 di questa lettera non sono state trattate dall’apostolo per sua volontà, ma da esplicite domande dei credenti di Corinto che non ci sono pervenute, poiché leggiamo all’inizio “Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto” (v.1) e il caso della moglie che non si deve separare dal marito – e viceversa – è posto come ideale perché in realtà, può farlo ma senza risposarsi.

Subito dopo però viene contemplato anche il caso di un matrimonio in cui uno dei due coniugi non è credente: “Agli altri do un consiglio e questo è un parere mio, non un ordine del Signore: se un cristiano ha una moglie che non è credente, e questa desidera continuare a vivere con lui, non la mandi via. E così pure la moglie cristiana non mandi via il marito che non è credente, se egli vuol vivere con lei. Il marito non credente appartiene già al Signore per la sua unione con la moglie credente e viceversa la moglie non credente appartiene già al Signore per la sua unione col marito credente. In caso contrario voi dovreste rinnegare anche i vostri figli, mentre invece essi appartengono al Signore. Ma se uno dei due è credente e vuole separarsi, lo faccia pure. In tal caso il credente, sia esso marito o moglie, non è vincolato. Dio infatti vi ha chiamati a vivere in pace” (vv.12-14).

Da questi versi, che da un lato confermano la “sola carne” perché il coniuge non credente “appartiene già al Signore” per il solo fatto di aver sposato una controparte cristiana rileviamo che, in caso di separazione, è proprio chi dei due è cristiano a non essere vincolato dal matrimonio contratto e quindi può risposarsi: perché? Perché la parte che rinuncia al legame decide di estraniarsi rendendo impossibile il proseguimento di un rapporto liberando di fatto la controparte e rendendola autonoma. Sarà poi una scelta di chi è stato abbandonato dalla moglie o dal marito non credente se rimanere “solo”, oppure cercare un altro legame per il principio secondo il quale è “meglio sposarsi che bruciare” cui abbiamo accennato in una recente riflessione.

Diventano molto significative a questo punto le parole, sempre in questo capitolo, “Vorrei sapervi liberi da preoccupazioni. Infatti l’uomo non sposato si preoccupa di quel che riguarda il Signore e cerca di piacergli. Invece l’uomo sposato si preoccupa di quel che riguarda il mondo e cerca di piacere alla moglie. E così finisce con l’essere diviso nel suo modo di pensare e di agire. Allo stesso modo, una donna non sposata, sia essa adulta o ragazza, si preoccupa di quel che riguarda il Signore, perché desidera vivere interamente per lui. Invece la donna sposata si preoccupa di quel che riguarda questo mondo e di piacere al marito” (vv.32-34). Sono molto significative le parole che esprimono il sottile disagio dell’essere “diviso nel suo modo di pensare e di agire”rispetto all’unico obiettivo di servire il Signore liberamente, ma si tratta di una realtà possibile solo a quelli che sanno dominarsi per cui “chi si sposa fa bene, ma chi non si sposa fa meglio” (v.38), parole che chiudono il discorso paolino sul celibato quale condizione migliore sul matrimonio di cui ha illustrato da una parte i limiti e dall’altra i vantaggi.

È possibile concludere questa breve panoramica con una considerazione sui cosiddetti “rapporti prematrimoniali”, definizione francamente impropria perché l’avere un rapporto fisico con una persona di sesso opposto determina il matrimonio. Per questo valgono le parole dal verso 26 al 37: “Se a causa della sua esuberanza un fidanzato si trova a disagio dinnanzi alla fidanzata e pensa che dovrebbe sposarla, ebbene la sposi! Non commette alcun peccato! Può darsi però che il giovane, senza subire alcuna costrizione, mantenga fermamente la decisione di non sposarsi. In tal caso, se sa dominare la sua volontà e mantiene fermo il proposito di non avere relazioni – carnali– con la sua compagna, agisce rettamente se non la sposa”. Anche qui viene ribadito che tanto il matrimonio che il celibato sono una scelta, ma troviamo un particolare fondamentale, importante tanto quanto il progetto di vita insieme: “senza subire alcuna costrizione” ed è proprio quell’ “alcuna” a spiegarci che il “costringere”, azione coercitiva, non è riferito solo a un atto violento con minacce più o meno esplicite e forti, quindi un’estorsione, ma anche a un’operazione intrapresa per influenzare, convincere, portare la persona a compiere un passo che altrimenti non farebbe tanto nello sposarsi quanto nel rimanere celibe. Ecco perché nella Chiesa, indipendentemente dalla denominazione, devono essere presenti persone in grado di vigilare e vagliare attentamente le circostanze che portano al matrimonio di due giovani, dei pastori veri che amino il gregge e non individui che si crogiolano in un incarico che loro e non il Signore ha dato. Ricordiamoci dei sette tipi di amore e del fatto che chi è coinvolto sentimentalmente spesso non è in grado di distinguere perché non obiettivamente partecipe con la mente, spesso proiettando sulla persona progetti e ideali non a lei confacenti. Urgono persone, pastori, che servano il Signore davvero e che amino il loro prossimo veramente come loro stessi.

Nel passo di Matteo in cui Gesù tratta il divorzio nel suo sermone sul monte, “eccetto il caso di unione illegittima”, abbiamo così l’anticipazione dell’importante tema che poi sarà l’apostolo Paolo a sviluppare: l’unione illegittima, quindi l’adulterio, interrompe il matrimonio davanti a Dio, con un colpevole e un innocente e spetta al secondo scegliere se perdonare il primo cercando di ricomporre l’unione per quanto possibile, o “mandarlo via” legittimamente e risposarsi perché non responsabile di un matrimonio infranto.

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