5.20 – SETTIMO, NON COMMETTERE ADULTERIO VI (Matteo 5.27-32)

5.21 – Settimo, non commettere adulterio VI (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Avevo pensato di finire questi interventi su divorzio e matrimonio con il quinto studio, ma avrei compiuto delle omissioni. Tutto ciò che Gesù dice nel nostro passo di Matteo è rivolto in primis ai giudei e quindi ai cristiani, per quanto sarà l’apostolo Paolo a sviluppare il tema soprattutto ai credenti della Chiesa di Corinto che, composta in maggioranza da greci convertiti, era soggetta alle influenze del pensiero non solo filosofico di allora; i costumi sessuali dell’epoca, inoltre, influivano sulla condotta di molti componenti della Comunità corinziana perché nel mondo greco la pederastia e l’amare indifferentemente uomini o donne rientravano nel concetto della ricerca del bello. Ricordiamo poi che in quei credenti si era fatta strada la convinzione secondo cui, se col sacrificio di Cristo erano stati liberati dal peccato, l’impegno a non commetterne altri non aveva senso.

È per questo motivo che Paolo, al fine di mettere ordine nei costumi e nelle idee di molti componenti di quella Chiesa, affronta il tema del matrimonio sotto due aspetti, quello della “sola carne”, quindi del corpo del singolo, e quello spirituale.

 

LA CARNE E IL CORPO

Voi dite spesso: «Tutto è lecito!”. D’accordo, ma tutto è utile? Certamente tutto è lecito, ma non mi lascerò mai dominare da qualsiasi desiderio. Voi dite anche: «Il cibo è fatto per lo stomaco e lo stomaco è fatto per il cibo». È vero, ma Dio distruggerà l’uno e l’altro. Il vostro corpo, però, non è  fatto per l’immoralità, perché appartenete al Signore, e il Signore è anche il Signore del vostro corpo. Ebbene, Dio che ha fatto risorgere il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Voi dovete sapere che appartenete a Cristo. E chi prenderebbe ciò che appartiene a Cristo per unirlo a una prostituta? Sapete benissimo che chi si unisce a una prostituta diventa un tutt’uno con lei. Infatti la Bibbia dice «I due saranno una sola carne». Ma chi si unisce al Signore diventa spiritualmente un solo essere con lui. Fuggite l’immoralità! Qualsiasi altro peccato che l’uomo commette resta esterno al suo corpo, ma chi si dà all’immoralità pecca contro se stesso. O avete dimenticato che voi stessi siete il tempio dello Spirito Santo? Dio ve lo ha dato ed Egli è in voi. Voi quindi non appartenete più a voi stessi, perché Dio vi ha fatti suoi, riscattandovi a caro prezzo. Rendete quindi gloria a Dio col vostro corpo” (1 Corinti 6.12-20).

Molto spesso pensiamo di appartenere a Dio ma dimentichiamo un’importante verità: in quanto salvati, redenti, eredi della promessa di eternità, siamo stati acquistati col prezzo del sangue di Gesù interamente, corpo compreso perché, quando si parla della nostra futura risurrezione, anch’esso verrà coinvolto. Ecco allora che, per un credente, l’unione con una prostituta causa un violento turbamento dell’equilibrio del corpo perché chi si unisce a lei “diventa un tutt’uno con lei” anziché un tutt’uno con Dio, compromettendo gravemente il suo rapporto col suo Signore. “Immoralità” è anche tradotto con “impurità”, ma andrebbe utilizzato più correttamente il termine “fornicazione” che deriva dal latino “fornix” cioè “sotterraneo a volta, sede di prostitute, postribolo”. La fornicazione è quindi un utilizzo improprio del nostro corpo, peccato che viene rimesso una volta abbandonato.

Ho scelto di partire dal corpo perché, iniziando un percorso dal basso, è più facile arrivare al concetto più alto, quello spirituale dell’essere “sola carne”. A questo punto è curioso osservare che uno degli aspetti del matrimonio è proprio porre le premesse perché la fornicazione non abbia luogo, e qui bisogna riflettere molto: “Rispondendo a quanto mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccar donna, ma, per evitare la fornicazione, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito dia alla moglie ciò che le è dovuto e ugualmente anche la moglie al marito. La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è padrone del proprio corpo, ma la moglie. Non rifiutatevi l’un l’altro, se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera. Poi tornate a stare insieme, perché satana non vi tenti mediante la vostra incontinenza” (1 Corinti 7.1-5).

Uno degli aspetti dell’unione tra uomo e donna, dell’essere “una sola carne” è quindi il prevenire una gestione disordinata della sessualità di entrambi, che porterebbe inevitabilmente alla fornicazione a tal punto che Paolo, al verso 8 scrive “Ai non sposati e alle vedove dico che è buona cosa per loro rimanere come sono io, ma se non sanno contenersi, si sposino, perché è meglio sposarsi che bruciare” non certo all’inferno, ma dentro di sé, espressione che non si riferisce solo alla sofferenza di chi non può avere una via di sfogo sessuale, ma soprattutto alle conseguenze alle quali essa può portare: la frustrazione che, se repressa per molto tempo, può condurre a manifestazioni che vanno oltre il “semplice” frequentare una prostituta. I casi in cui un uomo o una donna possono restare senza un compagno/a sono molto rari: Paolo ad esempio era uno di quelli e il suo stato non gli pesava; quando scrive “vorrei che tutti fossero come me” allude proprio alla sua condizione di uomo libero che non sentiva la necessità di un legame né affettivo né fisico, ma parla comunque della necessità di avere una donna come un diritto: “Non abbiamo noi il diritto di mangiare e di bere? Non abbiamo anche noi il diritto di portare con coi una moglie credente come l’hanno gli altri apostoli e i fratelli del Signore, o Cefa?” (1 Corinti 9.4,5).

Coi versi sull’appartenenza dei corpi al rispettivo coniuge, poi, viene posto l’accento sull’importanza dei rapporti sessuali fra entrambi, elemento che negli studi biblici viene messo in risalto raramente, per quanto intuibile, negli scritti delle precedenti dispensazioni in cui, a parte l’istinto naturale dell’uomo verso la donna e viceversa, la procreazione era il primo fine stante il fatto che in terra c’era posto per tutti: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela” (Genesi 1.28).

Anche qui però bisogna distinguere e riflettere sulla compatibilità fra gli individui, poiché se il legame non si basa su questa, è destinato a fallire anche sotto l’aspetto della sessualità che non può essere certo subita o lasciare insoddisfatte le parti perché, altrimenti, sarebbe come se l’unione non ci fosse. Il matrimonio è e deve essere un universo, un “hortus conclusus” cioè un giardino recintato sostenuto dall’amore reciproco che si manifesta nelle sue forme più disparate e trova nella comunione e nel sostegno dei coniugi l’uno verso l’altro il suo fondamento; viceversa, se visto a senso unico sotto l’aspetto dei rapporti fisici come purtroppo spesso capita, diventerebbe “una forma legale di prostituzione”, come Marx ebbe a scrivere un giorno.

 

LA RELAZIONE SPIRITUALE

Alla realtà terrena e fisica del matrimonio si accompagna inevitabilmente il suo aspetto spirituale di cui si occupa ancora una volta l’apostolo Paolo che spiega l’universo nuovo dei rapporti che si vengono a creare tra l’uomo e la donna: “E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne.Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito” (Efesi 5.25-33).

Si tratta di rapporti equilibrati di dare e ricevere, che impegnano vicendevolmente come conseguenza del progetto originario: Cristo ha amato la Chiesa, l’ha scelta e ha dimostrato il suo amore dando sé stesso, non ha tralasciato e non tralascia nulla perché questo possa verificarsi. Nella visione ideale e al tempo stesso molto concreta di Paolo si verifica che “Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore. Il marito infatti è il capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le moglie lo siano ai loro mariti in tutto” (21-24): questa visione non allude al fatto che l’uomo sia un capo indiscusso come si potrebbe apparire, ma abbia una posizione di responsabilità spirituale vista nel cammino quotidiano verso la realizzazione piena del Regno di Dio o, per essere in tema, di quelle “nozze dell’Agnello” imminenti. Nessuno è autorizzato a prevalere sull’altro. La Chiesa è sottomessa a Cristo perché, se non lo fosse, se non avesse questo atteggiamento, tutto l’equilibrio d’amore salvifico, il rapporto con Lui e la Sua assistenza cesserebbero esattamente come avvenne con Israele quando, abbandonato YHWH, peccava di idolatria e serviva altri dèi. Se così fosse, se la Chiesa agisse in autonomia dimenticando il sacrificio di Cristo, non sarebbe una comunità di salvati dai Suo Amore, ma un gruppo di religiosi con manifestazioni che non portano ad alcun risultato salvo l’appagamento carnale scambiato per spirituale.

Nel rapporto marito – moglie c’è una gerarchia tutta particolare, che non implica ordini dittatoriali, ma è fatta di relazioni ideali che si concretano naturalmente: “Voglio però che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, e il capo della donna è l’uomo, e il capo di Cristo è Dio” (1 Corinti 11.3) perché “Egli(l’uomo) è immagine e gloria di Dio, ma la donna è gloria dell’uomo. Non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. (…) Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna. Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio” (vv. 7-12).

Il rapporto tra marito e moglie, in pratica, è sotto l’aspetto dell’amore identico a quello tra padre e figlio in cui troviamo, accanto alla correzione che si può rendere necessaria, il principio generale di non porlo nella condizione di soffrire per azioni ingiuste, dettate dal puro desiderio di dominare su di lui piegandolo all’esclusiva volontà del padre. È ancora Paolo ai Colossesi che spiega in cosa consista la vera sottomissione: “Voi, mogli, siate sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto, ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino. Voi, schiavi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni: non servite solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore. (…) Servite il Signore, che è Cristo!” (Colossesi 3.18-24). Il modo con cui si concludono i versi che trattano dei rapporti nella famiglia (e nella società), “Servite il Signore, che è Cristo”, ci fanno capire che la vita stessa è servizio in relazione al ruolo o ai ruoli che una persona occupa nella famiglia e nel mondo: siamo organi, membra del corpo di Cristo anche all’interno di questi contesti ed ecco perché ho definito il matrimonio un “hortus conclusus”, un universo che contempla un’infinità di sentimenti, diritti e doveri perché “Chi commette ingiustizia subirà le conseguenze del torto commesso” (v.25).

Concludendo questa sesta parte, come ricordato in altre riflessioni, le parole che leggiamo nella Bibbia non solo riguardo al matrimonio, non vogliono mai essere un vademecum del credente perfetto: Dio non ha bisogno di automi, ma di persone che lo amino e lo vogliano seguire. Prendere una concordanza biblica, cercare un argomento e quindi di adeguarsi a quanto troviamo scritto in essa, se può essere un’azione lodevole, a nulla serve se a monte non esiste la comprensione di quanto sia necessario conoscere per capire ed adeguarsi di conseguenza. Non è un esercizio ascetico, non ci sono comandamenti da osservare con la rigidità egoistica degli scribi o dei farisei che portano inevitabilmente distorsione, presunzione, rigidità e giudizio, ma una pratica di vita: mi comporto così perché amo. E se amo, è perché sono stato amato per primo e questo amore l’ho compreso, l’ho assimilato e lo voglio vivere. Così come l’amore che ho per Cristo è tale perché si rinnova ogni giorno, allo stesso modo così è per quello coniugale: non c’è un giorno uguale all’altro, non ci sono rivendicazioni, ma solo un donarsi. Amen.

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5.16 – SETTIMO: NON COMMETTERE ADULTERIO II (Matteo 5.27-32)

5.17 – Settimo, non commettere adulterio II (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Prima di passare alla seconda parte di questo studio è giusto tornare un attimo alla precedente perché abbiamo citato il caso di violenza – con la forza fisica o con la seduzione – su una giovane non fidanzata. Va ricordato che, nel caso fosse promessa sposa, il fatto non poteva rientrare nella categoria degli “incidenti di percorso” cui andava posto rimedio con matrimonio o una multa, ma in quella dell’adulterio che prevedeva la morte. Va tenuto presente che la Legge, vista nel Decalogo e relativi corollari, non era per il popolo qualcosa di oscuro o sconosciuto, ma veniva insegnata senza trascurare nulla; c’era tutta una pedagogia specifica costituita dalla trasmissione orale, e non solo, che possiamo leggere in Deuteronomio 6.4-8: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze. Questi precetti che io ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”. Esisteva quindi di una vera e propria profilassi spirituale al fine di evitare che i comandamenti contenuti nel Decalogo venissero infranti, cosa che si verifica sempre quando l’uomo si considera il centro, rifiutando la dipendenza da Dio come Caino e i suoi discendenti.

Il matrimonio era un’istituzione concepita per popolare la terra in modo “ordinato”, vale a dire con lo scopo che nessuna linea genealogica si estinguesse e, a differenza di quanto accaduto nella dispensazione della coscienza, Dio istituì delle norme precise tese a preservare la razza che non poteva venire contaminata da unioni tra consanguinei e mutazioni genetiche destinate a produrre malformazioni e/o ritardo mentale nella popolazione. È Levitico 18 ad elencare nei dettagli tutte le relazioni carnali illecite. È un capitolo molto importante che va esaminato, per quanto lo spazio ridotto lo renda possibile solo a grandi linee, dai versi 4 e 5 che fungono da introduzione: “Fate ciò che io vi comando attraverso le mie leggi e osservate i miei statuti, per camminare in essi: io sono il Signore Iddio vostro. Osservate i miei statuti e le mie leggi: chiunque li metterà in pratica, vivrà per essi: io sono il Signore”. Sta all’uomo scegliere se aderire o meno all’esigenza divina riguardo alla gestione del proprio corpo ed è avvertito che, se osserverà gli statuti e le leggi presentate, “vivrà per essi”. Si tratta di scegliere fra bene e male, cioè tra ciò che è approvato da Dio e ciò che non lo è; inutile accusare il testo o il suo Autore di essere reazionario o dileggiarlo perché non viene consentito l’esercizio di una sessualità “libera”: ogni uomo o donna poteva e può scegliere di seguire i comandamenti nel suo interesse, oppure no. Ma non è possibile poi avere la pretesa, in caso di ribellione a ciò che non un uomo ha stabilito, di “vivere per essi”. Chi quindi non si adegua ai precetti che seguono, si colloca quanto meno fuori dall’attenzione e la protezione di Dio: sceglie di anteporre il proprio “ma” subendone le conseguenze.

6Nessuno si accosti ad una sua parente carnale per scoprire la sua nudità. Io sono il Signoreè il verso d’esordio, dove altri hanno tradotto “parente carnale” con “consanguineo” anche se cosa s’intenda per essi viene spiegato versi nei successivi, non potendo la Legge lasciare dei dubbi in quanti intendevano metterla in pratica. “Scoprire la nudità” è uno dei modi per riferirsi al rapporto carnale, come già accennato con altri casi. Per scongiurare fraintendimenti, ecco che il verso parte proprio dall’ovvio, non essendovi parente carnale più stretto del proprio padre o della propria madre. Essendo l’omosessualità non consentita, “padre” o “madre” stanno a indicare che quanto esposto riguarda sia gli uomini, che le donne. 7Non scoprirai la nudità di tuo padre né la nudità di tua madre: è tua madre; non scoprirai la sua nudità.8Non scoprirai la nudità di una moglie di tuo padre; è la nudità di tuo padre”. Immediatamente dopo la madre naturale viene un’altra donna, considerata allo stesso livello della genitrice perché comunque carne del padre. Viene qui in mente l’episodio dell’incestuoso di Corinto, che aveva questo tipo di rapporto (1 Corinti 5.1-5). 9Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, generata in casa o fuori; non scoprirai la loro nudità”: da qui vediamo che, come nel verso precedente, per essere fratelli o sorelle secondo la carne non è necessario discendere dagli stessi genitori, ma ne basta uno ed è quell’ “o” a negare ci sia differenza tra fratello e fratellastro, sorella o sorellastra. Qui, in particolare, penso che il verso si riferisca a fratelli o sorelle acquisiti, quindi anche figli di un matrimonio precedente interrotto a causa di una vedovanza poiché la dichiarazione ufficiale dei rapporti fraterni a livello famigliare è più definita al verso 11 che recita “Non scoprirai la nudità della figlia di una moglie di tuo padre, generata da tuo padre: è tua sorella, non scoprirai la sua nudità”: cambiano i termini, ma non la sostanza. Al verso 10,  “Non scoprirai la nudità della figlia di tuo figlio o della figlia di tua figlia, perché è la tua propria nudità”vediamo cheil o la nipote sono visti in modo profondamente identificativo giungendo ad essere accomunati agli stessi nonni, parenti carnali come gli zii paterni e materni:12Non scoprirai la nudità della sorella di tuo padre; è parente carnale di tuo padre.13Non scoprirai la nudità della sorella di tua madre, perché è carne di tua madre”. Si arriva poi alla zia acquisita, altra configurazione di incesto:14Non scoprirai la nudità del fratello di tuo padre: non accostarti con sua moglie: è tua zia”. Infine chiudono l’elenco la nuora e la cognata comprendendo implicitamente genero e cognato:15Non scoprirai la nudità di tua nuora: è la moglie di tuo figlio; non scoprirai la sua nudità.16Non scoprirai la nudità di tua cognata: è la nudità di tuo fratello.

Seguono poi alcune indicazioni di etica e igiene che avrebbero dovuto distinguere, come le precedenti, Israele dagli altri popoli: “17Non scoprirai la nudità di una donna e di sua figlia. Non prenderai la figlia di suo figlio né la figlia di suo figlio per scoprirne la nudità: sono parenti carnali. È un’infamia.18Non prenderai in sposa la sorella di tua moglie, per non suscitarne rivalità, mentre tua moglie è in vita.19Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l’impurità mestruale.20Non darai il tuo giaciglio alla moglie del tuo prossimo, rendendoti impuro con lei.22Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole.23Non darai il tuo giaciglio a una bestia per contaminarti con essa; così nessuna donna si metterà con un animale per accoppiarsi: è una perversione”.

Nessuna di queste unioni proibite, tanto nella prima che nella seconda parte del capitolo, è inconcepibile per il cosiddetto “uomo naturale” tant’è che il paganesimo antico e moderno le ha impiegate quasi come metodo; basta pensare alla Grecia antica prima, durante e dopo i tempi dell’apostolo Paolo (Corinto ed altre) come ai popoli che Israele avrebbe cacciato dalla terra che gli era stata promessa. “24Non rendetevi impuri con nessuna di tali pratiche, poiché con tutte queste cose si sono rese impure le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi.25La terra ne è stata resa impura; per questo ho punito la sua colpa e la terra ha vomitato i suoi abitanti.26Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni e non commetterete nessuna di queste pratiche abominevoli: né colui che è nativo della terra, né il forestiero che dimora in mezzo a voi.27Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi e la terra è divenuta impura.28Che la terra non vomiti anche voi, per averla resa impura, come ha vomitato chi l’abitava prima di voi,29perché chiunque praticherà qualcuna di queste abominazioni, ogni persona che le commetterà, sarà eliminata dal suo popolo.30Osserverete dunque i miei ordini e non seguirete alcuno di quei costumi abominevoli che sono stati praticati prima di voi; non vi renderete impuri a causa di essi. Io sono il Signore, vostro Dio”.

Ho ritenuto utile inserire anche quelle che potremmo definire “situazioni estreme” perché si verificano ancora oggi sia come pratica individuale che come spettacolo, così come non ci vuole molto a riconoscere per estensione al verso 21, che prima ho omesso, la produzione degli “snuff movies” ricercati a prezzi inimmaginabili anche nell’ambito cosiddetto “pedofilo”: “Non consegnerai alcuno dei tuoi figli per farlo passare a Moloc e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore”. E Moloc era il dio cananeo il cui culto veniva celebrato nella Geenna, la Valle di Hinnom, tramite sgozzamento e bruciamento dei bambini, spesso figli primogeniti. È vero, abbiamo letto dei versi che pongono situazioni molto pesanti, ma sono convinto che occorra conoscere il negativo per conoscere ed apprezzare il positivo.

In pratica: l’uomo è stato creato maschio e femmina, quindi la sessualità è da considerarsi un dono da esercitarsi liberamente con la persona che ciascun individuo, maschio e femmina, si è scelto. Qualche millennio dopo una parte della cristianità, con perversione opposta alle categorie che abbiamo trovato in Levitico 18, ma sempre di perversione si tratta, giungerà a considerare il rapporto sessuale un peccato a meno che non fosse giustificato da fine procreativo prescrivendo che, prima dell’atto, si frapponesse un lenzuolo forato tra i corpi sostenendo che lo scopo fosse quello di procreare e non il piacere fine a se stesso. Credo che quando la sessualità, legittima espressione di sé, viene repressa, trovi inevitabilmente sfogo in altre vie che la stessa Bibbia condanna. Leggiamo in Proverbi 5.18,19 “Sia benedetta la tua fonte, e vivi lieto con la sposa della tua gioventù. Cerva d’amore, cavriola di grazia, le sue carezze t’inebrino in ogni tempo, e sii del continuo rapito nell’affetto suo”.

Possiamo concludere queste riflessioni con una semplice presa d’atto: quando Dio creò l’essere umano, lo pose in un territorio circondato da quattro fiumi. Doveva restare lì, protetto, senza conoscere ciò che non gli sarebbe servito o, meglio ancora, gli avrebbe procurato molto danno. Da allora, nonostante il peccato e il suo essere fuori da quel giardino, gli è sempre stato indicato un confine, un territorio, un “recinto” visto sbrigativamente, almeno nella Legge, nei termini “farai” o “non farai”, anche questi posti nel suo interesse. Aggiungere nuove norme o precetti a quelli già dati da Dio, così come eliminarli o torcerli a proprio vantaggio, equivale a infrangere quelli già esistenti e le conseguenze non possono che essere disastrose nel rapporto con Lui. Perché è l’abbattimento dei confini che il Creatore ha stabilito, non perché dispotico, ma in quanto conoscitore perfetto della propria creatura, che rende l’uomo davvero schiavo. Amen.

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5.15 – SETTIMO, NON COMMETTERE ADULTERIO I (Matteo 5.27-32)

5.16 – Settimo, non commettere adulterio I (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Dopo aver spiegato cosa si intenda per infrazione al sesto comandamento Gesù passa al successivo implicante la presenza di un vincolo matrimoniale che, nel corso delle dispensazioni, è stato inteso in vari modi. Ciò non è accaduto per altri precetti del decalogo come il non rubare e lo stesso “non uccidere” che abbiamo appena visto. Il passo di Matteo è sicuramente impegnativo e, per affrontarlo, è necessario percorrere nelle sue linee fondamentali come si è sviluppata l’istituzione del matrimonio aggiornandolo poi alla nostra realtà di cristiani alla quale Gesù, commentando la Legge, accenna solamente. “Matrimonio” è parola che deriva da due sostantivi latini, mater al genitivo (“matris-”) e “-monium” cioè “dovere, compito” per cui, letteralmente, il suo significato letterale è “dovere di madre”: l’etimologia stessa fa riferimento alla finalità procreativa dell’unione dei coniugi, fondamentale nei tempi antichi, ma molto meno oggi come avremo modo di vedere.

Andando alle origini, quindi al libro della Genesi, leggiamo che la donna fu creata dopo che Iddio “disse: Non è bene che l’uomo sia solo; voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”(2.18) e, poco dopo,  “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne” (2.24). Sappiamo che è anche scritto che “Dio li benedisse e disse loro «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mate e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra»” (1.28). La donna quindi venne creata perché l’uomo, che a quel tempo aveva evidentemente in sé sia le caratteristiche maschili che femminili, non aveva un simile con cui confrontarsi e, quando Dio gli condusse tutti gli animali perché desse loro un nome, leggiamo “…ma per l’uomo non si trovò un aiuto che gli corrispondesse” (2.20). Si tratta di termine, “aiuto” che non allude alla necessità di avere qualcuno che gli facesse i lavori domestici, ma piuttosto di avere un rapporto con una persona con la quale confrontarsi, avere relazioni. Con gli animali Adamo aveva una dimensione di comunione, visto che interagiva con loro, ma anche di separazione perché nessuno di loro poteva essergli l’aiuto di cui aveva bisogno visto nel completamento di sé.

I maestri ebrei sono concordi nel ritenere l’Adamo prima della donna come una creatura androgina e fanno notare che la parola “costola” (sela’) significa anche “lato”, per cui Eva sarebbe il lato femminile di Adamo tolto da lui e postogli finalmente di fronte; di qui “l’aiuto che gli corrispondesse”. Questo risolverebbe anche un problema non da poco, perché secondo il racconto biblico dovremmo ritrovarci con un numero non proporzionale di costole, essendo che quella utilizzata per formare la donna era una.

Ecco allora che quel “non è bene che l’uomo sia solo” era riferito non a un errore di Dio che creandolo così aveva sbagliato, ma al fatto che creando la donna, separandola da lui e ponendogliela innanzi, l’uomo avrebbe potuto riconoscere se stesso e comprendere fino a che punto arrivasse l’amore del suo Creatore per lui. Infatti Adamo disse “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne della mia carne. La si chiamerà donna– isha – perché dall’uomo– ish – è stata tolta” (2.23). Il fatto che però la donna sia stata formata dall’uomo insegna molto, poiché Adamo trovò in Eva un simile costituito per lui e da lui e non un essere complesso e spesso scarsamente decifrabile come oggi. In pratica, Eva, moglie di Adamo, era unica perché lui era unico e quindi mancava di un background culturale che la rendesse diversa, ferma restando una maggiore vulnerabilità e suscettibilità all’adulazione perché, altrimenti, l’Avversario non si sarebbe rivolto a lei. Se a quel tempo Eva era davvero un aiuto che corrispondesse ad Adamo, oggi le possibilità che questo si verifichi sono molto minori e le relazioni uomo – donna, lungi dal somigliare a quelle dei nostri progenitori in Eden, sono molto più simili alla conflittualità che essi conobbero una volta fuori dal Giardino: dal momento in cui trasgredirono l’unico comandamento ricevuto, Adamo non si fidò più di lei e iniziò tutta una serie di reciproci scambi di accuse, fomentate dalle diverse esigenze e dalla necessità di autonomia di ciascuno. Il rapporto che esisteva tra i due in origine, in cui si riconoscevano liberamente nell’altro e all’altro dava naturalmente e senza secondi fini, era finito.

Alla dispensazione dell’innocenza nel Giardino, seguì quella della coscienza che divise gli uomini, Caino e Abele per primi e in cui Lamec, di cui abbiamo già accennato in una precedente riflessione, si mise in opposizione a Dio e all’istituzione matrimoniale prendendosi due mogli, Ada e Silla. Lamec, che una leggenda ebraica afferma essere stato l’omicida di Caino con una freccia, è l’autore di un cantico d’odio – “Ho ucciso un uomo per una scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech lo sarà settantasette” – in cui riconosciamo sia una consapevole volontà di infrangere il comandamento dell’uomo e donna uniti in un solo essere senza ingerenze esterne, sia la pretesa di volere un Dio a lui sottomesso. E la pretesa di una vendetta smisurata per il suo sangue eventualmente sparso, 70+7. Lo conferma.

Ci si pone però il problema sul perché, a parte l’episodio di Lamec che agì in tal modo solo per odio nei confronti di Dio, sia esistita la poligamia presso i patriarchi e ai tempi dell’Antico Patto, continuando anche sotto la dispensazione della Legge: abbiamo Abramo, Giacobbe ed altri per la Coscienza e Davide, Salomone ed altri per la Legge. C’è chi ha sostenuto, penso non sbagliando, che Dio abbia permesso la poligamia stante la maggioranza della popolazione femminile rispetto a quella maschile già nel mondo di allora e, da calcoli fatti, pare che ci fossero decine di migliaia di donne in più rispetto agli uomini. Era una situazione drammatica per vari motivi perché la società patriarcale del tempo non consentiva l’autosostentamento e l’autoprotezione della donna. L’unico modo era quello di sposarsi e fare figli. L’uomo così si sposava, la donna gli apparteneva e viceversa, tant’è che l’adulterio scattava nel momento in cui un uomo sposato aveva rapporti carnali con una donna sposata e viceversa, oppure era sufficiente che solo uno dei due avesse un vincolo. Non mi sento di dissentire dal concetto in base al quale Dio abbia permesso la poligamia per proteggere e provvedere ai bisogni delle donne che altrimenti non avrebbero trovato marito avendo di fronte un destino di schiavitù o di prostituzione pur di sostentarsi.

Questo uso è circoscritto a un tempo preciso e non sminuisce il progetto ideale per il matrimonio che, nelle intenzioni del Creatore, prevedeva che l’uomo si sarebbe unito “a sua moglie(al singolare) e i due saranno una sola carne(altrettanto al singolare)”. A integrazione del discorso sulla poligamia possiamo vedere il verso di Deuteronomio 17.17 che, parlando del re che Israele si sarebbe costituito, stabilisce tra i suoi requisiti “Non dovrà avere un gran numero di mogli, perché il suo cuore non si smarrisca”. Sappiamo infatti, per averlo già incontrato nelle nostre riflessioni, che il cuore di Salomone “si sviò” dai sentieri di Dio – quindi si smarrì – proprio per la quantità enorme di mogli e concubine che si era procurato. E per “smarrire” intendiamo proprio perdere l’orientamento nel cammino, nel pellegrinaggio verso la meta finale avendo Dio come guida.

Chi si smarrisce prima sbaglia strada e poi non riesce più a trovare quella giusta, perde l’orientamento. Basta poco.

La poligamia, tornando al tema, non era equiparata all’adulterio, ma tollerata a condizione che chi sposava una seconda donna continuasse a mantenerla e a provvedere alle sue esigenze. Avere più di una moglie erano in pochi a poterselo permettere.

Nella Legge l’adulterio era punito con la morte e questa pena, come sappiamo, era ancora in uso ai tempi di Gesù, come possiamo constatare dall’episodio in cui una donna stava per essere lapidata per questo gli Scribi e i Farisei lo interpellarono con queste parole. “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu, che ne dici?”(Giovanni 8. 4,5). Alle origini del motivo della pena di morte per quel reato stava il fatto che era il rapporto carnale a determinare il matrimonio, tant’è che sono le espressioni come “entrò da lei” o “la conobbe” che lo ufficializzano al di là del contratto che si stipulava tra le famiglie dei futuri sposi purtroppo indipendentemente dai sentimenti che provavano l’uno per l’altro. L’adulterio era così un attentato al principio dell’essere “una sola carne” compiuto deliberatamente all’insaputa del coniuge e, in caso di rapporto carnale avvenuto, l’uomo e la donna si dovevano sposare.

Il matrimonio riparatore però contemplava un’eccezione vista nella violenza carnale e in proposito abbiamo due versi che si integrano: in Deuteronomio 22.28,29 leggiamo “Se un uomo trova una fanciulla vergine che non sia fidanzata, l’afferra e giace con lei e sono colti in flagrante, l’uomo che è giaciuto con lei darà al padre della fanciulla cinquanta sicli d’argento; ella sarà sua moglie per il fatto che egli l’ha disonorata, e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita”. Questo però poteva accadere solo se il padre della giovane accettava, poiché poteva decidere di prendere solo la somma in denaro e risparmiare alla figlia una vita di stenti sicuramente morali: “Quando un uomo seduce una vergine non ancora fidanzata e si corica con lei, ne pagherà il prezzo nuziale e lei diverrà sua moglie. Se il padre di lei si rifiuta di dargliela, egli dovrà versare una somma di denaro pari al prezzo nuziale delle vergini” (Esodo 22.15,16). È interessante notare che qui abbiamo la possibilità di un divorzio nonostante i due fossero diventati “una sola carne” e non leggiamo che alla giovane fosse precluso un secondo matrimonio. Non va trascurata la differenza della terminologia impiegata nei due versi, “l’afferra e giace con lei” indica un rapporto sessuale estorto con la forza, mentre il “seduce” suggerisce consensualità, ma in entrambi i casi esiste sempre una costrizione, con forza espressa o celata. Il sedotto è più debole del seduttore.

In questa prima parte penso di aver fatto una presentazione generale dell’argomento che posso riassumere in questi punti:

  1. L’adulterio è un grave attentato all’istituzione matrimoniale stabilita da Dio sùbito aver posto l’uomo nel Giardino di Eden e questa prevedeva che fossero una sola carne;
  2. Si verifica adulterio nel momento in cui una persona coniugata, uomo o donna, ha rapporti carnali con una terza sì che il vincolo matrimoniale si rompe per colpa;
  3. Era possibile, per ragioni storiche e in un tempo in cui la terra andava popolata, la poligamia a condizione che l’uomo avesse la possibilità di non far mancare nulla alle proprie mogli;
  4. Al di là della distinzione tra fidanzamento e matrimonio, era la congiunzione carnale che sanciva definitivamente che il matrimonio tra le due persone era avvenuto.

Nella prossima serie di riflessioni cercheremo di affrontare la casistica rimanente, prima di analizzare le parole di Nostro Signore su questo importante comandamento.

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