15.36 – IL CONVITO DI BETANIA II/II (Marco 14.3-9)

15.36 – Il convito di Betania II/II(Marco 14.3-9)

 

3Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. 4Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? 5Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.6Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. 7I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. 8Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. 9In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».

 

Esaminati brevemente gli amici di Gesù risiedenti in Betania, veniamo ora a Maria, che, secondo il racconto di Giovanni, “Prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo” che quindi tutti poterono avvertire. Matteo aggiunge un altro particolare, prima che ciò avvenisse, “…gli si avvicinò una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo molto prezioso e glielo versò sul capo mentre egli stava a tavola” (26.7).

Dai dati che abbiamo è quasi d’obbligo fare un collegamento con un episodio che ha dei punti in comune e cioè quello della peccatrice innominata che opera in modo analogo, anche se sui soli piedi del Maestro. Vediamo ciò che unisce queste due donne e al tempo stesso le divide nel senso che ciascuna di loro onorò il Maestro in modo differente, dopo avere letto l’episodio in Luca 7.36-39: la prima, “una peccatrice”, con la sua preghiera muta e sentita profondamente al punto da sacrificare un “profumo molto prezioso”, dimostra tutta la sua adorazione per Colui che poteva perdonare ogni peccato e l’aveva salvata, a differenza dei suoi conterranei che la condannavano a prescindere. Versando il profumo sui piedi di Gesù, è come se volesse benedire i suoi passi, comunicargli che nulla poteva fare se non esprimere la sua riconoscenza per ogni Suo gesto. Per farle questa azione, come Maria, sacrifica, offre ciò che ha di più prezioso, il profumo (probabilmente proveniente da Gerico) che molte donne conservavano per il giorno del loro matrimonio il cui valore era di 300 denari, la paga di circa un anno di lavoro di un operaio, o bracciante.

Tanto la donna innominata quanto Maria dettero a Gesù quanto avevano di più prezioso e non giunsero certamente a questa scelta da un giorno all’altro, ma sicuramente dopo avere meditato molto, la prima sulle parole che Lui diceva alla folla, sul perdono di Dio e i miracoli che lo dimostravano, la seconda sull’insegnamento potremmo dire “personalizzato” ricevuto in casa sua a Betania. Non sappiamo cosa il Maestro disse a Maria, ma certamente le parlò anche della Sua morte sacrificale a favore dell’uomo che altrimenti sarebbe stato condannato all’impossibilità di avere aperte le porte per comunicare con Dio. Ricordiamo sempre che la Legge, la cui amorosa osservanza unita alla fede poteva rendere l’uomo “giusto”, non risolveva il problema alla radice nel senso che non poteva bastare, ma era “un pedagogo che conduce verso Cristo”, per cui Gesù era al tempo stesso punto d’arrivo e di partenza del piano del Padre per la redenzione della Sua creatura caduta.

Sia l’una che l’altra donna vengono criticate per la loro scelta, la prima addirittura disprezzata moralmente (“Se costui fosse un profeta, saprebbe di che genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!”) e l’altra per lo spreco che faceva, ma di questo parleremo più avanti perché ciò che conta veramente è il primato che entrambe danno a Gesù, probabilmente consapevoli che solo Lui avrebbe capito l’amore e la gratitudine che gli portavano. Non rileviamo dal testo infatti alcuna reazione alle parole dei presenti (per Maria) o degli sguardi che dicevano più di mille parole (per la peccatrice innominata). E mi vengono in mente le parole dell’apostolo Paolo in Galati 1.10: “È forse il consenso degli uomini che cerco, o è quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo”.

Parallelo e più ancora incisivo per chi porta il Vangelo è 1 Tessalonicesi 2.4 che riporta “Come Dio ci ha trovato degni di affidarci il Vangelo, così noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori”. In altri termini allora il comportamento di queste due donne è un esempio per tutti perché non tennero in alcun conto l’opinione e il giudizio degli altri.

Maria, però, oltre che i piedi, unge con il nardo (la peccatrice aveva la mirra) anche il capo di Gesù e dobbiamo chiederci perché. Per rispondere adeguatamente occorre collegarsi all’unzione regale che troviamo dichiarata in 2 Re 9 quando Eliseo, chiamato uno dei figli dei profeti e gli diede il compito di ungere Ieu, figlio di Giosafat. Leggiamo al verso 6 “Si alzò ed entrò in casa e quello gli versò l’olio sulla testa dicendogli: «Così dice il Signore, Dio d’Israele: Ti ungo re sul popolo del Signore, su Israele»”.

Maria unse il capo di Gesù con olio senza parlare e così disse molto di più: col profumo che teneva presumo gelosamente conservato lei si annulla, dimostra che non c’era modo migliore di impiegare ciò che aveva di più prezioso per onorare il proprio Maestro. Versando il profumo dichiarava, annunciava prima a sé e poi agli altri in uno splendido rapporto interpersonale la regalità di Gesù e soprattutto il fatto che il di Lui sacrificio sarebbe stato gradito al Padre molto di più degli altri (sacrifici) che stavano per essere aboliti una volta per sempre. A proposito del profumo che si spande per tutto l’ambiente, ricordiamo che fu proprio a seguito del primo sacrificio ordinato nella Legge, quello dell’ariete, ad essere “Un olocausto in onore del Signore, un profumo gradito – atri traducono “soave” –, un’offerta consumata dal fuoco in onore del Signore” (Esodo 29.18). Questo termine varrà anche per tutti gli altri fatti liberamente come offerta a Dio (Levitico 1.9, 13, 17 e rif.) e non è difficile individuare in questi quello del Cristo, che volontariamente scelse di assumere “forma di servo”.

Lo abbiamo letto e anticipato, conseguenza fisica del gesto di Maria fu che il profumo di quel nardo si sparse per tutta la casa per cui fu avvertito da tutti indipendentemente dal modo con cui giudicarono il suo gesto. Questo ci parla anche del nostro comportamento come credenti, che non può essere confuso con quello degli altri uomini, ma deve distinguersi tramite l’assunzione di una posizione netta a fronte di quelle di convenienza o di dogma che il mondo e la religione vorrebbero imporre. Il profumo avvertito da tutti fu l’ultimo risultato di una serie di azioni, primo fra tutte l’ascolto delle parole di Gesù, quindi la loro assimilazione, la scelta di cosa e come fare, l’abbandono della propria dimora per portare il profumo e versarlo: sembrano cose ovvie ed è vero, ma rivelano una progressione, una successione che da molti cristiani non viene rispettata nel senso che cercano di apparire o si affaticano attorno a cose che dovrebbero venire come risultato di un pensiero obiettivo e serio e non da un facile entusiasmo motore di scelte non ponderate, azzardate. E chi scrive, purtroppo, ha fatto più di un’esperienza in tal senso. E ne ha pagato le conseguenze, talvolta molto amaramente.

Il gesto di Maria, profondamente meditato, che offre quanto ha di più prezioso, è anche figura dell’insegnamento spirituale incompreso: nessuno infatti fu in grado di leggere le motivazioni profonde che spinsero quella donna ad offrire e Gesù ad accettare, ma tutti rilevarono l’assurdità di “tutto” quello spreco perché, se è vero che fu Giuda a fare quella considerazione, credo che tutti condividessero le sue parole, da lui più o meno influenzati. È il concetto della pietà ipocrita che si sta diffondendo sempre di più anche nel campo cristiano.

È importante esaminare, leggendo tutti e tre gli evangelisti, il dialogo intercorso fra Maestro e discepoli: Matteo scrive “Perché questo spreco? Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri. Ma Gesù, accortosene – parlavano evidentemente a bassa voce – disse loro: «Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto una buona azione verso di me; i poveri li avrete sempre con voi: non così me. Versando quest’olio sul mio corpo, lei lo ha fatto in vista della mia sepoltura” (26.10).

Le parole chiave per comprendere l’intervento di Gesù sono due, “buona azione” e “sepoltura” perché i Giudei, a proposito delle buone opere, le dividevano in elemosina e opere caritatevoli, queste ultime considerate le più importanti e comprendevano, tra le altre, la sepoltura dei morti. Maria, allora, aveva compiuto in modo profetico ciò che era più urgente, l’anticipazione di un gesto di pietà nei confronti del Maestro che poi faranno tutte quelle donne che, precedute da Giuseppe D’Arimatea e da Nicodemo, dopo la crocifissione vollero imbalsamare il Suo corpo anche se ciò non fu possibile perché già risorto.

Marco invece scrive “Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darlo ai poveri. Ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse: «Lasciatela stare, perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona; i poveri infatti li avrete sempre con voi e potrete beneficiarli quando volete, me invece, non mi avrete sempre. Essa ha fatto ciò che era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura”. Qui sottolineerei “tutto”, perché secondo i discepoli si sarebbe al limite potuto usare un po’ d’olio per Gesù e il rimanente venderlo e darlo ai poveri. La filosofia del “un colpo al cerchio e uno alla botte”.

Arriviamo infine a Giovanni, che imposta il quadro in modo differente: “Allora Giuda Iscariotha, uno dei dodici, discepolo che doveva poi tradirlo, disse: «Perché quest’olio profumato non si è venduto a trecento denari per poi darlo ai poveri?». Questo disse nono perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro, aveva la borsa e portava via quello che vi mettevano dentro” (12.4-6). Quindi vediamo che tanto Giuda che gli altri erano scandalizzati verso Maria nonostante avesse usato un olio che era di sua proprietà, per cui formulare giudizi e rimproveri era non solo inutile, ma anche inopportuno. Guardando al gesto dei discepoli in sé, possiamo chiederci: quanti cristiani, guardando la pagliuzza nell’occhio degli altri e non la trave del loro, si comportano giudicando con superficialità ed immediatezza? Veramente tanti, oserei dire troppi. E farsi i fatti propri è raccomandato in 1 Tess. 4.11: “Vi esortiamo, fratelli, a progredire ancora i più e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose – quindi non delle altrui – e a lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, e così condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno”.

A qualsiasi gesto spirituale, quindi, vi sarà sempre la presenza contraria, oppositiva, il disturbo di chi vorrà sminuirlo, deriderlo, ridurlo a uno spreco di forze. Come osservava un fratello, ogni uomo di Dio troverà sempre il suo Caino. Però, Gesù permise la trascrizione dell’avvenimento con Maria protagonista, in cui lo onorò come credo nessun’anima abbia mai fatto prima di lei, perché il suo fu un gesto anche profetico. Amen.

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