11.09 – Non capite ancora? (Matteo 15.5-12)
5Nel passare all’altra riva, i discepoli avevano dimenticato di prendere del pane. 6Gesù disse loro: «Fate attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei». 7Ma essi parlavano tra loro e dicevano: «Non abbiamo preso del pane!». 8Gesù se ne accorse e disse: «Gente di poca fede, perché andate dicendo tra voi che non avete pane? 9Non capite ancora e non ricordate i cinque pani per i cinquemila, e quante ceste avete portato via? 10E neppure i sette pani per i quattromila, e quante sporte avete raccolto? 11Come mai non capite che non vi parlavo di pane? Guardatevi invece dal lievito dei farisei e dei sadducei». 12Allora essi compresero che egli non aveva detto di guardarsi dal lievito del pane, ma dall’insegnamento dei farisei e dei sadducei.
Quanto abbiamo letto si verifica subito dopo la predizione del “segno di Giona” quale unico dato ai farisei e sadducei su cui abbiamo già fatto qualche considerazione: ci dice molto il fatto che Gesù non si sia allontanato da loro a piedi, ma in barca coi dodici, a rimarcare la distanza, e relativa impossibilità a seguirlo anche fisicamente, fra la “generazione malvagia e adultera” e quelli che in Lui avevano creduto nonostante la limitatezza della loro comprensione che, nel passo di oggi, qui emergerà con tutta la sua evidenza. Marco scrive “Li lasciò, salì sulla barca con i suoi discepoli e partì per l’altra riva” (8.13), ma non ci viene detto dove per cui, stante le dinamiche dell’episodio, viene da pensare che approdarono su una spiaggia lontana da un centro abitato.
Possiamo anche supporre che tra l’arrivo di Gesù a Dalmanutà, il suo intervento coi suoi oppositori e la partenza per la riva opposta del mare di Galilea passò poco tempo nel senso che i discepoli non ebbero modo di pensare a fare provviste, stante la loro presenza all’incontro coi farisei e sadducei e l’interesse col quale seguirono quanto avvenne.
La presenza di quel “solo pane” fu occasione per Gesù di insegnare loro un importante metodo di comportamento, cioè “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode” (Marco), o “dei farisei e dei sadducei” come scrive il nostro testo. Nostro Signore allora prende spunto da quel pane che i discepoli non avevano con sé, lavorato con un lievito innocuo, per istruirli sulla possibilità che una sostanza, spiritualmente analoga, non andasse a intaccare la loro anima e coscienza.
Gesù, stante la situazione che si era venuta a creare, avrebbe potuto iniziare un discorso sul non preoccuparsi “per il cibo che perisce” e pensare “a quello per la vita eterna”, ma rimprovera i dodici perché, in quel momento, la loro preoccupazione era quella di come risolvere un problema umano tralasciando l’insegnamento che rivolgeva loro. La parola “lievito”, infatti, portò subito alla loro mente il pane naturale, senza alcuno spazio per ciò cui la parola alludeva.
È opinione comune che col lievito s’intenda il peccato ed in un certo senso è vero, ma è un termine suscettibile a interpretazioni innumerevoli. Il peccato infatti è un’azione che, contrapponendosi al volere di Dio, impedisce al credente che lo ha commesso la possibilità di una relazione con Lui fino a quando non viene perdonato tramite la sua confessione e soprattutto l’abbandono di esso.
La vera individuazione del lievito va invece fatta nell’orgoglio e nell’ipocrisia, nel lasciare spazio all’Io che, se lasciato libero, finirebbe inevitabilmente per lievitare, cioè inquinare la persona allontanandola sempre di più dal Signore. Gesù parlò spesso di questa sostanza e solo in un caso positivamente: “Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata” (Luca 13.21). Conscio dell’importanza dell’insegnamento riguardo al lievito negativo, invece, Paolo lo sviluppa mettendone in evidenza tutta la sua pericolosità: in 1 Corinti 5.6 leggiamo “Non è bello che voi vi vantiate: non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta?”. Abbiamo allora un collegamento al “vantarsi” , cioè esaltare i propri meriti, celebrarsi, decantarsi, lodarsi. In poche parole, sentirsi migliori di altri. Al riguardo, prosegue scrivendo “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. (…) Celebriamo dunque la festa – il memoriale – non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di verità” (vv.7,8).
Il “lievito vecchio” è il modo di ragionare dell’uomo naturale, che va “tolto via”, perché il credente è chiamato ad essere azzimo e non a caso, negli scritti dell’Antico Patto, troviamo il pane senza lievito quale strumento di relazione con Dio proprio in vista della futura liberazione dell’uomo dal peccato. Gesù in Luca 12.1 ricordò il concetto espresso ai discepoli specificando “Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia” (13.21), quindi la finzione, l’interpretazione di un ruolo che non si ha, l’adagiarsi su tradizioni e massime morali magari anche belle, ma vuote al loro interno, sterili. Occorre essere se stessi sempre, ma nella condizione di esseri umani rinnovati, azzimi.
Nella nostra lettura di Matteo e Marco abbiamo il lievito di tre categorie di persone: i farisei, i sadducei e di Erode. Conosciamo i primi e i secondi, ma quel “di Erode”, quindi citando una persona specifica, è riferito non tanto a lui, identico a molti altri regnanti quanto a comportamento e nefandezze, ma agli Erodiani, piccolo partito che lo sosteneva, ma ugualmente pericoloso perché associato agli altri che Lo volevano uccidere. Si tratta di una mia osservazione, ma se prendiamo letteralmente “il lievito di Erode”, cioè a quello che era in lui, allora è chiaro il riferimento alla morte di Giovanni Battista e alle dinamiche che la provocarono.
“Fate attenzione” e “guardatevi” sono due esortazioni tese a non dare per scontato che la nostra condizione di salvati impedisca il rimanere invischiati in situazioni che sono il risultato di una mancata cura quotidiana della nostra persona. Ricordiamo le istruzioni date a Mosè a proposito della celebrazione della Pasqua: “Non si veda lievito presso di te, entro tutti i tuoi confini, per sette giorni” (Deuteronomio 16.4). Pensiamo alla cura che le famiglie israelite avrebbero dovuto impiegare perché neppure un granello fosse presente nelle loro case. Anche il parallelo di Esodo 12.19 è eloquente: “Per sette giorni, non si trovi lievito nelle vostre case, perché chiunque mangerà del lievitato dal giorno primo al settimo, quella persona sarà eliminata da Israele”. Quando ci presentiamo davanti al Signore – e lo siamo sempre – ecco allora che la cura perché il lievito sia assente dev’essere continua, abbiamo il dovere e la necessità di “fare attenzione” e “guardarci” proprio perché non ne siamo esenti.
Il lievito, allora, solo in senso lato può essere ammesso come figura del peccato, poiché in realtà è riferito a ciò che lo produce, cioè il voler essere indipendenti da Dio e se Caino espresse questa volontà ufficialmente allontanandosi da Lui dopo il giudizio, altri lo fanno aggiungendo o togliendo dalla Scrittura, come i farisei e i sadducei, adagiandosi sul sistema da loro organizzato.
Tutto questo era racchiuso nelle parole che Gesù disse ai suoi, ma sappiamo che non lo ascoltarono, perché leggiamo “Ma – forte avversativo – essi parlavano tra loro e dicevano: «Non abbiamo preso del pane!»”, cioè si preoccupavano per qualcosa di enormemente basso confrontato all’insegnamento che avrebbero dovuto ricevere. Non erano preoccupati, ma “discutevano fra loro perché non avevano pane” (Marco), quindi da un lato esprimevano preoccupazione perché quel pane che avevano non sarebbe bastato a sfamarli, ma anche si accusavano reciprocamente, interrogandosi su chi di loro avrebbe dovuto pensare a comprarlo mentre il loro Maestro discuteva coi farisei e sadducei e si accusavano l’un l’altro.
“Gente di poca fede” è il rimprovero che fu loro rivolto, ma leggiamo le parole di Marco: “«Perché discutete che non avete pane? – infatti non ne avevano motivo – Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchie non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non capite ancora?»” (8.17-21). Da notare che, alle prime quattro domande, i discepoli non seppero rispondere. Qui Gesù pone di fronte i Suoi a quanto fosse inutile il loro parlare, perché avevano con loro chi, come più volte dimostrato, avrebbe certamente provveduto. Basta ricordare che li inviò in missione senza nulla. E ricorda le “ceste colme” di pani e pesci raccolti che parlavano del fatto che Dio, quando dona, va sempre oltre, anche nella necessità più cupa espressa da Davide in Salmo 55.18, 19 che si trovava in una situazione ben più seria di quella dei presenti nel nostro episodio: “Di sera, al mattino, a mezzogiorno vivo nell’ansia e nel sospiro, ma egli ascolta la mia voce; in pace riscatta la mia vita da quelli che mi combattono: sono tanti i miei avversari”.
I dodici avevano dimenticato con chi erano, era bastata l’insufficienza del pane a disorientarli, a impedir loro di capire. E sì che, dalle loro risposte, ricordavano i due episodi della “moltiplicazione”, ma non erano in grado di collegarli alle loro persone. E il nostro testo riporta che Gesù riprende da capo: “Come mai non capite che non vi parlavo di pane? Guardatevi invece dal lievito dei farisei e dei sadducei. Allora essi compresero che egli non aveva detto di guardarsi dal lievito del pane, ma dall’insegnamento dei farisei e dei sadducei”. Ecco perché “l’uomo naturale non comprende le cose di Dio”, non sa né può senza una rivelazione dello Spirito, senza un’appartenenza a Lui. Senza una vera e radicata fede nel Figlio, l’uomo resta solo, potremmo dire un essere patetico. E infatti “Senza di me non potete far nulla”.
Concludendo, il “lievito dei farisei” è composto dalle dottrine aggiunte alla Parola. Il “lievito dei sadducei” rappresenta le verità negate, come quella della resurrezione e, infine, quello “di Erode” è costituito dalle “verità laiche”, dall’inquinamento del mondo sulla Fede e a Verità. E il mondo, non avendo nulla a che fare con Cristo, vorrebbe entrare con forza nella Chiesa e spesso ci riesce. Tutti questi tre elementi tendono a ribaltare la verità del Dio che si fa uomo a vantaggio dell’uomo che si fa dio. Quando questi tre lieviti s’insinuano, va da sé che producano una reazione a catena negativa le cui conseguenze sono purtroppo sotto gli occhi di chiunque abbia un minimo di discernimento spirituale. Amen.
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