15.19 – LASCIARE E SEGUIRE (Matteo 19.27-30)

15.19 – Lasciare e seguire (Matteo 19.27-30)

 

 27Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». 28E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. 29Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. 30Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi.

 

Il discorso di Gesù sulle ricchezze da abbandonare si completa con le parole provocate da una domanda di Pietro, quello che più di tutti gli altri undici è sempre pronto a farsi domande e soprattutto a porle. Il confronto fra le versioni dei sinottici, poi, ci consentirà di effettuare delle interessanti applicazioni ed estensioni. L’Apostolo, tornando alle sue parole in questo episodio, non esprime dei dubbi sulle parole del Maestro, ma, consapevole di averlo seguito fin dall’inizio del Suo Ministero, (Marco 1.16), gli chiede “Ecco, noi abbiamo lasciati tutto e ti abbiamo seguito: che cosa ne avremo?”. La sua non è una domanda mossa da interesse “venale”, ma dettata da quel “tesoro nel cielo” che avrebbe avuto il ricco se avesse lasciato i suoi beni. In realtà anche le parole “questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”, più che essergli oscure, non sapeva come connetterle a quanto era appena accaduto: quel ricco era andato via da poco, era appena stato detto che persone della sua categoria sarebbero entrate nel regno dei cieli con enorme difficoltà, ma l’apostolo aveva ben presente che lui e i suoi compagni da ormai circa tre anni avevano scelto di vivere diversamente e, quindi, “Che dunque ne avremo?” è la domanda che scaturisce dall’incapacità di trovare da solo una risposta. Anche noi dovremmo fare la stessa cosa, cioè chiedere a Nostro Signore, attraverso il suo Santo Spirito, di illuminarci quando non capiamo, di aiutare la nostra intelligenza spirituale impossibile a gestire con le nostre forze o possibilità umane.

A questo punto, armonizzando i testi, la risposta di Gesù è doppia nel senso che riguarda da un lato i dodici, dall’altro gli altri discepoli, compresi quelli che verranno dopo di loro. I primi avranno un posto elevatissimo “alla rigenerazione del mondo”, termine che il tutto il Nuovo Testamento si trova solo anche in Tito 3.5: “Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito santo”, chiaro riferimento alla nuova nascita, a quell’essere “nati di acqua e di spirito” che costituisce l’unica condizione per entrare nel regno di Dio (Giovanni 3.5).

Ecco allora che con “rigenerazione del mondo” Gesù parla non di quello che conosciamo, ma di una trasformazione che inizierà col Millennio, quando Satana sarà “legato” e si concluderà con la realizzazione di Apocalisse 21.1-5: E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate»”.

Altro dettaglio Gesù lo dà con le parole “Quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria”, cioè quando sarà visibile a tutti come tale, non nella Gloria di Dio Padre nella quale è ora e fu visto dai profeti. L’oggi, in cui si nega l’esistenza di Gesù anche solo come personaggio storico, è l’illusione, la finzione, la fede nelle proprie possibilità e nient’altro, ma in quanto “oggi” è destinato inevitabilmente a finire: Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni” (Matteo 16,27).

Ancora Matteo (25.31,33) chiarisce ulteriormente il concetto: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra”.

Ebbene, nel nostro passo Gesù dà un’importante notizia ai suoi che ribadirà poi più avanti con le parole “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù d’Israele” quando, in 1 Corinti 6.2,3 l’apostolo Paolo sostiene “Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se siete voi a giudicare il mondo, siete forse indegni di giudizi di minore importanza? Non sapete che giudicheremo gli angeli? – quelli che hanno seguito Lucifero – Quanto più le cose di questa vita!”.

Abbiamo quindi due compiti: gli apostoli, ebrei, che perseverarono con lui nelle sue prove, giudicheranno “le dodici tribù d’Israele” proprio in quanto appartenenti allo stesso popolo, gli altri, i credenti, i santi, “giudicheranno il mondo” perché si saranno da lui separati e non avranno voluto condividere i suoi metodi, ideali, morale.

 

Dopo il messaggio specifico, individuale diretto ai dodici – ricordiamo che Giuda verrà sostituito da Mattia, (Atti 1.26) –, abbiamo quello diretto a “chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome”. All’elenco Luca aggiunge la moglie. Sul significato del verbo “lasciare” sono state spese molte parole, ma qui credo che vada inserito un aggiornamento, fermo restando che il senso, come per le ricchezze, è che tutto quanto elencato non deve diventare un pensiero dominante a tal punto da oscurare il servizio e, se così accade, va abbandonato. Ad esempio Pietro, che certamente lasciò ciò che aveva, portò con sé la moglie nel suo ministero, come sappiamo da Paolo che scrive “Non abbiamo noi – plurale che interessa gli apostoli – il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?” (1 Corinti 9.5).

Lasciare “per il mio nome” significa, fatti gli stessi calcoli per la costruzione della torre recentemente citata a proposito dello studio sul matrimonio, porsi nelle condizioni di abbandonarsi a Lui in quanto realmente chiamati a svolgere un compito per cui il doversi occupare di “case, fratelli, sorelle, padre, madre, figli o campi” risulterebbe di intralcio. Questo naturalmente esclude i doveri di assistenza perché un “lasciare” a senso unico, perché colti da misticismo o da un senso religioso facili si ritorcerebbero contro colui che così agisce: infatti 1 Timoteo 5.8 riporta “Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele”. Ecco perché chi “lascia” senza una chiamata ben precisa di Dio si assume un’enorme responsabilità coi quali si ritroverà presto o tardi a fare i conti.

Appare chiaro allora che tutto deve venire svolto sotto l’insegna dell’equilibrio e che non si può all’improvviso abbandonare non tanto gli averi materiali, ma le persone a noi vicine a meno che, come detto e vedremo, non costituiscano un vincolo che impedisce il servizio cristiano se c’è una chiamata in proposito. Anche qui, sbaglieremmo a cercare grandi cose, grandi strade, compiti: tutto parte dall’obiettività, come ad esempio scrisse Paolo parlando della sua condizione di fariseo, di appartenente alla tribù di Beniamino e di scrupoloso osservante la Legge di Mosè: “Queste cose, che per me erano guadagni – ecco un’altra forma di ricchezza –, io le ho considerate una perdita a morivo di Cristo. (…) Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo” (Filippesi 3.7,8). Quello fu il punto di partenza dell’apostolo; pensiamo che abbandonò la grande considerazione che godeva fra i Giudei. Poi vennero le rinunce a tutto il resto, i viaggi, le persecuzioni e le liberazioni di Dio.

“Lasciare”, se è un’azione che viene svolta correttamente, è un atto di profonda maturità e fede che, come nel caso di Abramo, il primo che mise in pratica questo verbo dietro espressa chiamata di Dio, non può che portare a benedizioni: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Genesi 12.1-3).

Sempre parlando di Antico Patto ricordiamo la figura dei leviti, cui era demandato il servizio di cantare, suonare e assistere i sacerdoti oltre al trasporto dell’Arca dell’Alleanza: di Levi, loro capostipite, Mosè dice “…lui che dice del padre e della madre: «Non li ho visti», che non riconosce i suoi fratelli e ignora i suoi figli (…), benedici, Signore, il suo valore e gradisci il lavoro delle sue mani” (Deuteronomio 33.7-10). E se volessimo domandarci cosa significa tutto questo per noi oggi possiamo rifarci al fatto che, semplicemente, non siamo più del mondo e quindi ci troviamo in una condizione in cui il suo abbandono è l’unica scelta possibile: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo lui vi odia” (Giovanni 15.18,19). Partendo da questo principio, ogni cosa viene da sé.

Credo che non esista credente che non abbia abbandonato qualcosa e dobbiamo tenere sempre presente che ogni discorso di Gesù porta sempre con sé affermazioni che vanno interpretate alla condizione della persona e alla realtà in cui si trova e al fatto che, come già riportato altrove, dobbiamo “accomodarci alle cose basse”, al “poco” perché ci venga affidato il “molto”, altrimenti saremmo come quelli che, anziché procurarsi uno sviluppo muscolare armonico con allenamento e fatica, si gonfiano di anabolizzanti ottenendo risultati molto discutibili. La stessa cosa si verifica in ambito spirituale.

Restano da esaminare le ultime parole di Gesù, quelle che riguardano gli effetti dell’abbandono, ma mancando lo spazio, sarà argomento del prossimo capitolo.

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