16.01 – Troverete un’asina (Luca 19. 28-35)
28Ora, dette queste cose, egli li precedeva, salendo a Gerusalemme. 29Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli 30dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. 31E se qualcuno vi domanda: «Perché lo slegate?», risponderete così: «Il Signore ne ha bisogno»». 32Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. 33Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». 34Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». 35Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù.
Con questi versi entriamo ufficialmente nell’ultima settimana di Gesù prima di essere arrestato e crocifisso. Come già rilevato in Marco 10.32, quando “Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti, coloro che lo seguivano erano impauriti”, vediamo che precede quanti lo seguono, segno che il desiderio di compiere la missione che aveva era più forte di qualsiasi altro sentimento, come quello umanamente istintivo di repulsione verso tutto ciò che è sofferenza, che si tratti di un semplice fastidio o di una morte violenta. E il comportamento di Nostro Signore può essere spiegato solo con l’amore totale verso la propria creatura e verso il Padre che si concretò da un lato nel totale compatimento (per noi) e nella totale ubbidienza a Lui, sapendo che solo il Suo sacrificio avrebbe potuto eliminare l’incompatibilità fra Dio e l’uomo instauratasi a causa del peccato di Adamo.
Un passo importante in proposito lo troviamo in Colossesi 2.13,14 che recita: “Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandovi tutte le vostre colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce”. Ora cerchiamo di sottolineare alcuni termini qui presenti: le parole “morti” e “colpe”, fanno certamente riferimento a una situazione di irrimediabilità dal punto di vista umano nel senso che mai avremmo potuto fare qualcosa per modificare la nostra situazione di morte e colpa – pensiamo a quanti tentativi avranno fatto Adamo e sua moglie per ritornare alla loro purezza originaria –, però queste, secondo l’insegnamento dell’Apostolo, sono state annullate come rilevabile dal “dato vita”, “eravate”, “perdonandovi”, “annullando” e “tolto di mezzo” che fanno riferimento al radicale ribaltamento della situazione di prima. Nostro Signore, quindi, non vedeva l’ora, come Figlio di Dio e figlio dell’uomo, che tutto questo si verificasse e infatti abbiamo letto in 12.50 di questo Vangelo “Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto”.
Tornando al nostro episodio Gesù e il suo seguito, quindi, percorrono la strada che da Betania portava a Gerusalemme (2,5 km circa) e passava vicino al villaggio di Bethphage così chiamato, “casa dei fichi”, perché in quella zona questa pianta dava frutti prima rispetto alle altre. Fu in un punto che suppongo più o meno equidistante fra i due centri abitati che verrà affidato a due discepoli il compito di andare a prelevare un puledro d’asina (in realtà lui con sua madre) usando parole che presentano differenti possibilità di lettura di cui ne vedremo alcune.
Primo, Gesù anche qui si dimostra come l’onnisciente, dando particolari precisi sul dove, sul quando e sul come avrebbero trovato i due animali, che certo dove stava sostando coi discepoli non poteva vedere. Nessuno degli elementi comunicati è sbagliato o approssimativo, ma riflette una situazione certa descritta nei dettagli. Il Maestro avverte i due discepoli di una situazione che avrebbero trovato e dà loro istruzioni su come comportarsi, ma questo anticipare i tempi da parte Sua ci deve ricordare tutte le altre volte in cui, parlando loro, si espresse altrettanto chiaramente su cosa avrebbero trovato non in un preciso villaggio, ma nella vita quotidiana in conseguenza del principio in base al quale “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (luca 9.23) e “Chi vorrà salvare la propria via, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (v.24).
“Troverete un puledro legato” è l’anticipo di ciò che avrebbero trovato i due discepoli appena entrati nel villaggio, ma per noi vale quel “troverete”, che possiamo a sua volta collegarlo alla promessa conseguente al “cercare” della persona che vuole realmente “trovare” Dio attraverso il proprio Figlio, Gesù Cristo uomo. Se quindi era impossibile che quei due non trovassero quel puledro, lo è altrettanto che la pace con e di Dio non possa essere finalmente ottenuta da chi la cerca, perché si tratta di due anticipazioni, per quanto diverse, che provengono dalla stessa Persona.
Seconda osservazione, il puledro e sua madre si trovavano legati accanto a quella casa e a quell’incrocio solo apparentemente per caso e da qui possiamo capire che, nella vita del cristiano, non vi è nulla di casuale, ma ogni cosa ha un suo motivo e solo noi siamo chiamati a comprenderlo, valutarlo, analizzarlo nel nostro interesse perché siamo proprietà di Dio. E qui – apro una parentesi e la chiudo – viene alla mente il libro dei Proverbi con tutte le raccomandazioni alla prudenza, nemica dell’impeto così intimamente legato al sentimento, da sempre elemento fuorviante e dannoso nella condotta della persona soprattutto quanto alle scelte spirituali. Ecco perché, nelle nostre preghiere, dovremmo sempre chiedere al Padre il discernimento e contenimento opportuno per le nostre scelte, richiesta che è una lontana parente delle preghiere di Gesù quando, nelle sue veglie, si consultava sugli itinerari da percorrere e sulle persone che avrebbe incontrato.
Terza osservazione possibile è sui due discepoli scelti da Gesù per andare a prendere il puledro (in realtà con sua madre, come dai paralleli) che possiamo identificare con buona probabilità in Pietro e Giovanni perché a loro fu affidato, questa volta citati per nome, il compito di trovare il luogo dove avrebbero celebrato la cena pasquale, con modalità simili a quella del nostro episodio: “Gesù mandò Giovanni e Pietro dicendo: «Andate a preparare per noi la Pasqua, perché possiamo mangiare». Gli chiesero: «Dove vuoi che la prepariamo?». Ed egli rispose: «Appena entrati in città, vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d’acqua. Seguitelo nella casa dove entrerà, e direte al padrone di casa: Il Maestro ti dice: Dove è la stanza in cui posso mangiare con i miei discepoli? Egli vi mostrerà una sala al piano superiore, grande e addobbata; là preparate»” (Luca 22.8.12).
L’ipotesi sull’identità di Pietro e Giovanni non si basa solo su questo passo, ma nel caso di Pietro emerge dalla ricchezza di particolari che poi trasmise a Marco, che nel suo Vangelo scrive non “e trovarono come aveva loro detto” (il nostro passo di Luca), ma “Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada – originale “al congiungimento di due strade –, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?» ed essi risposero come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.” (11.4,5).
Quarto elemento di considerazione: il Maestro non li manda senza prima dir loro cosa dire a chi avesse chiesto ragione del loro comportamento. In pratica bandisce l’improvvisazione nel senso che non lascia a Pietro e Giovanni l’iniziativa di dire – ad esempio – “Te lo chiediamo in prestito, ma te lo riporteremo”, o “Siamo discepoli di Gesù che ti chiede questo animale”, ma ordina di dire una frase precisa, “Il Signore ne ha bisogno”, utilizzando per la prima volta questo titolo riferendolo a se stesso. Questo ci parla del fatto che quando una persona ci chiede ragione di un nostro comportamento o della fede che abbiamo, la risposta deve basarsi sulle parole e le promesse di vita di Gesù e non su elementi estranei a questi, che denotano un comportamento settario e falso in chi li porta eventualmente avanti.
Quinto elemento è chiaramente la definizione che Nostro Signore dà di se stesso, “Signore”. Evidentemente i due discepoli, spiegando la ragione del loro slegare l’asino, avrebbero parlato a chi Gesù lo conosceva ma non era Suo amico come Lazzaro, ma perché Lo aveva già riconosciuto come “Signore”, quindi una persona che era stata da Lui salvata e perdonata, non sappiamo se anche attraverso un miracolo. In pratica, dicendo “Il Signore ne ha bisogno”, Pietro e Giovanni avrebbero espresso un concetto ben più inequivocabile rispetto a “Gesù ne ha bisogno”. Il puledro e l’asina erano importanti non perché Gesù non aveva voglia di percorrere la breve distanza fra il luogo in cui si trovava e Gerusalemme, ma perché erano necessari per adempiere la profezia di Zaccaria 9.9 che Matteo si preoccuperà di evidenziare, cioè “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio di asina”. Molti commentatori scrivono che il puledro e l’asina furono dati perché a monte c’era la certezza di averli indietro, ma non credo sia stato necessariamente così perché non viene detto cosa Gesù ne avrebbe fatto: “Il Signore – quindi Colui che tutto può e tutto dispone – ne ha bisogno”, non serviva altro.
Sesta considerazione la possiamo fare sul testo parallelo di Matteo 21, quando Nostro Signore dice ai due discepoli “Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina legata, e con essa un puledro; slegateli e portatemeli” (v.2), questo perché il puledro, non abituato a stare lontano dalla madre, si sarebbe agitato. Mi sono chiesto se Gesù avesse voluto i due animali solo per questo, ma non credo; piuttosto così facendo abbiamo il rispetto della dignità dell’animale in quanto essere senziente e il rifiuto del maltrattamento o del voler piegare a tutti i costi un essere vivente alla volontà umana. Ricordiamo infatti che gli animali, nonostante alcuni di loro fossero destinati ai sacrifici, erano protetti dalla Legge in numerosi passi. Gli stessi sacrifici, che gli esseni arbitrariamente non praticavano, erano tesi a far comprendere all’essere umano che in assenza di spargimento di sangue la remissione era impossibile e, dal Sacrificio per eccellenza di Gesù, cessarono. Infatti: “Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna” (Ebrei 9.12).
Il settimo punto riguarda il verso 35: Pietro e Giovanni portano a Gesù il puledro con sua madre, si tolgono le loro vesti di sopra per fargli una sorta di sella, lo sollevano sulle loro braccia e lo mettono a cavallo dimostrando ossequio e deferenza e abbiamo così quest’immagine dei discepoli che si mettono a servirlo, non volendo che salga da solo o che si privasse del vestito. Che “Signore” sarebbe altrimenti stato?
Il comportamento dei discepoli però non fu solo espressione della considerazione in cui tenevano il loro Maestro, ma del fatto che lo ritenevano loro Re, essendovi un rapporto assolutamente preciso fra il loro gesto e quello descritto in 2 Re 9 quando un servo del profeta Eliseo unse Ieu come re di Israele. Leggiamo nei versi da 12 a 13; “Così dice il Signore: «Ti ungo re d’Israele». Allora – gli ufficiali – si affrettarono e presero ciascuno il proprio mantello e lo stesero sui gradini sotto di lui, suonarono il corno e gridarono: «Ieu è re»”. Ecco perché abbiamo letto al verso 36 che “mentre camminava, stendevano i loro mantelli sulla via”.
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