10.4 – La prima moltiplicazione dei pani e dei pesci I (Marco 6.35-44)
“35Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; 36congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». 37Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». 38Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci». 39E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. 40E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. 41Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti. 42Tutti mangiarono a sazietà, 43e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. 44Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini”.
Si tratta di un episodio in cui abbiamo ben quattro versioni che, armonizzate tra loro, ci offrono una visione d’insieme molto utile e ricca di applicazioni spirituali. Ciò che avvenne prima di quel “Essendosi ormai fatto tardi”, che Marco usa per significare che “il giorno cominciava a declinare”(Luca 9.12), ci è noto: Gesù, ritiratosi coi dodici su una collina nei pressi di Betsaida, era stato raggiunto dalla folla ed aveva guarito molti malati che gli avevano portato, oltre ad “insegnare loro molte cose”senza fermarsi nel senso che non sentì il tempo che stanca e ci rende soggetti ad orari che rispettiamo quasi senza rendercene conto: la vita ha un ritmo che comporta l’azione, l’attenzione, il mangiare e il dormire, esigenze e ritmi che gli apostoli, al contrario del loro Maestro, avevano ben presente: il primo non ne era vincolato, i secondi sì. Certo anche in questa circostanza seguivano con l’interesse di sempre i Suoi discorsi, ma da persone terrene si rendevano conto che, guardando il sole che iniziava a declinare, quella gente, se non fosse stata licenziata, avrebbe dovuto fare i conti con la realtà della situazione: erano più di cinquemila persone, lontani da casa e da un centro abitato, senza cibo ed infatti Luca riporta le parole “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne– in realtà agroùs, poderi – dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”(9.12). Fu il loro un intervento inopportuno perché, così facendo, i dodici pensarono di capire meglio del loro Maestro la situazione e di dovergli suggerire qualcosa cui non aveva pensato.
A proposito di “sera”, va ricordato che per gli ebrei ve n’erano due: la prima iniziava alle tre del pomeriggio, la seconda al tramonto o poco dopo. Luca scrive del “giorno(che) cominciava a declinare”(9.12), ma non basta a farci stabilire che si trattasse della seconda, come vedremo.
Aiutandoci con le versioni che i quattro Evangelisti ci hanno lasciato, il dialogo tra Gesù e i suoi avvenne in questo modo: dopo l’invito a congedare la folla, vi fu la risposta che non capirono: “Non occorre che vadano, voi stessi date loro da mangiare”(Matteo 14.16) e poi, rivolto a Filippo per metterlo alla prova, “«Dove andremo a comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Gli rispose Filippo: «Duecento denari – che Giuda aveva nella borsa? – di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma cos’è questo per tanta gente?»(Giovanni 6.5-9). Sappiamo che a questo punto Gesù ordinò ai dodici di far sedere tutti, a gruppi di cento e di cinquanta, sull’erba verde, dettaglio che conferma la Pasqua imminente, che cadeva in primavera, altrimenti l’erba non vi sarebbe stata, oppure sarebbe stata di colore marroncino, arsa dal sole.
Ora, sostando su quanto fin qui accaduto, una prima nota va fatta sul luogo, cioè il territorio di Betsaida, che viene spontaneo identificare nella patria di Andrea, Pietro e Filippo, ma che non trova tutti i commentatori concordi e stabilire se vi fossero, come per Betlehem che aveva quella di Giuda e quella di Efrata, due Betsaida con lo stesso nome. Stabilirlo con certezza è arduo e le teorie sono contrastanti. Il fatto che Giovanni scriva “Filippo era di Betsaida di Galilea”(12.21) sembra essere una precisazione necessaria per distinguerla da un’altra. Da un lato la Betsaida dei tre apostoli tutto poteva essere tranne che un luogo deserto essendo che, rinomata per la pesca e meta di grandi carovane che a lei confluivano proprio per il mercato del pesce che si svolgeva sulla spiaggia, difficilmente avrebbe potuto avere spazi isolati. Il biblista John Lee Thompson sostiene che la città era posta alla foce del Giordano ed era però divisa in due parti, una appartenente alla Galilea, l’altra, restaurata da Erode Filippo cui diede il nome di Julia in onore della figlia di Augusto, nella Gaulonite e fu probabilmente qui che Gesù e i dodici trovarono modo di sostare.
A parte questa indicazione, incerta stante i dubbi anche fra gli archeologi, abbiamo dall’episodio una grande quantità di dati che cercheremo di mettere in ordine a partire dai numeri, che iniziano ad emergere subito dopo la frase“Voi stessi date loro da mangiare”, che se Gesù non fosse stato “La parola fatta carne”e quindi lo stesso Dio che sfamò il popolo d’Israele con la manna nel deserto, sarebbe essere stata pronunciata da una persona fuori dalla realtà, stante la presenza di cinque pani e due pesci, cifre sinonimo di penalizzazione e ambivalenza.
CINQUE
, È il numero di mesi in cui Elisabetta, futura madre di Giovani Battista, si tenne nascosta (Luca 1.23). Pensiamo poi alle vergini stolte e alle savie dell’omonima parabola, per cui è un riferimento anche alla selezione e scelte dell’uomo. L’apostolo Paolo, in 1 Corinti 4.18, scrive “…in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue”, per cui il riferimento è anche all’essenzialità nel poco, a ciò che basta. Ancora, il cinque si riferisce a ciò che è minimo e a prima vista trascurabile:“Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio”(Luca 12.6).
Se da un lato abbiamo questi riferimenti, il cinque indica qualcosa che può venir moltiplicato, quanto a forza, dalla potenza di Dio: pensiamo a Levitico 26 quando il Signore dice “Se seguirete le mie leggi, se osserverete i miei comandi e li metterete in pratica,(…) io stabilirò la pace sulla terra, e quando vi coricherete, nulla vi turberà– pensiamo alle preoccupazioni e ai pensieri che si accentuano soprattutto di notte –. Farò sparire dalla terra le bestie nocive– che oggi sterminiamo con sostanze inquinanti e di cui tutta l’umanità pagherà il prezzo a suo tempo – e la spada non passerà sui vostri territori. Voi inseguirete i vostri nemici ed essi cadranno dinnanzi a voi colpiti di spada. Cinque di voi ne inseguiranno cento, cento di voi ne inseguiranno diecimila”(3-8). Abbiamo anche i talenti dati a quel servo che ne fruttò altrettanti in Matteo 25. Il “cinque”, allora, rappresenta ciò che possiede l’uomo, ciò che esiste e resterebbe privo di significato senza un intervento diretto di Dio, o qualcosa fatto in suo Nome o per Lui.
DUE
Nonostante sia già stato sviluppato più volte, possiamo riferirlo anche all’esercizio del libero arbitrio: pensiamo alla bigamia che Lamek, figlio di Caino, esercitò per primo. Se guardiamo agli animali che entrarono nell’arca e non solo, è un numero che ci parla della sopravvivenza di una specie vista nella presenza del maschio e della femmina. Possiamo connetterlo al numero di volte in cui Mosè percosse la roccia in Kades, azione che gli costò il mancato ingresso nella terra promessa. Ancora il due come numero penalizzante lo vediamo in Geremia 2.13 a proposito dei peccati commessi dal popolo: “Ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato delle cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua”.
Ora Gesù, dicendo ai dodici “Date voi loro da mangiare”, li autorizzava a farsi da tramite, veicoli, collaboratori della potenza dell’Iddio Vivente e Vero per poter sfamare la folla presente, figura di chiunque ascolta la Parola di Dio: sta a lui riconoscere il miracolo della moltiplicazione del messaggio e dei concetti, oppure limitarsi a prendere atto che esistono, senza poi ricordarsene. Mi spiego: tra le persone che verranno divise a gruppi di cinquanta e di cento, non tutti erano pronti a credere o erano lì perché desiderosi di diventare dei discepoli. C’erano persone curiose, ma anche avversari, eppure tutti mangeranno, cioè in un modo o in un altro verranno fatti partecipi della persona di Gesù. La maggioranza non capirà il senso di quel miracolo talché Luca ci dice che, una volta sfamata la folla, “Sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo”(9.15). La responsabilità quindi dell’essere umano, tanto allora quanto oggi, risiede nel decidere cosa farsene di quel “pane”che i discepoli gli danno. Portare la Parola di Dio al prossimo, oggi, significa renderlo partecipe di eventi di cui abbiamo testimonianza certa e che vediamo per fede non perché abbiamo bisogno di credere in qualcosa, ma in quanto portatori di un miracolo assoluto e totale visto nella nostra salvezza, nell’essere stati “strappati”da quel mondo di cui altrimenti condivideremmo la fine senza alcuna speranza.
Per concludere questa prima parte restano da esaminare i numeri “cinquanta” e “cento”, cioè i componenti dei gruppi in cui fu suddivisa la gente sul posto. La suddivisione in quel modo avvenne per ordine pratico, per evitare il caos che una distribuzione non ordinata avrebbe comportato: code, liti, prevaricazioni dei più forti verso i più deboli, forse accaparramento incontrollato. E sappiamo che “il nostro non è un Dio di confusione, ma di ordine”. Se Matteo scrive che Gesù ordinò alla folla di “sedersi sull’erba verde”, Marco cita i numeri cinquanta e cento, Luca riporta “di cinquanta circa”e in questo caso dovettero formarsi cento nuclei di persone, dieci circa per ogni apostolo che distribuiva i pani e i pesci anche se possiamo pensare che a loro si aggiunsero altri discepoli arrivati lì in con la folla. Possiamo comunque immaginare quanto tempo ci sia voluto non solo per organizzare la gente, ma anche per distribuire i pani e i pesci.
CENTO
La prima volta che incontriamo questo numero nella Scrittura è riferito agli anni che ebbe Abrahamo quando generò Isacco, il figlio promesso, a differenza degli ottantasei, cifra insignificante che non verrà più utilizzata, di quando ebbe Ismaele da Agar sua schiava. “Cento”esprime la sufficienza nel senso di quanto basta agli occhi di Dio, mentre per l’uomo è un multiplo che indica soddisfazione, il plenum. Possiamo citare i cento cubiti del recinto della Dimora, i cento uomini inseguiti da cinque del passo di Levitico 26 citato poco sopra, i cento prepuzi dei Filistei uccisi che Davide dovette portare a Saulle. Ricordiamo anche l’enormità del debito del servitore spietato, diecimila talenti, cioè cento per cento. Possiamo ricordare anche il primo risultato della morte del chicco di grano (Matteo 13.8), la pecora perduta che completa il gregge delle novantanove già presenti (Luca 15.1-7).
CINQUANTA
È i numero dell’ipotesi e della libertà: ricorda la preghiera di Abrahamo in favore di Lot suo nipote, la Pentecoste avvenuta cinquanta giorni dopo la morte di Gesù e il Giubileo, che si celebrava ogni cinquant’anni che si caratterizzava attraverso la liberazione di tutti coloro che erano soggetti a un vincolo, debitori e schiavi.
Tutti questi elementi, espressi attraverso i numeri, sono quelli sotto certi aspetti “nascosti” in un miracolo che apparirà completamente diverso dagli altri e che meraviglierà tanto la gente quanto gli apostoli e i discepoli. E tutto partì da pani d’orzo e pesci che aveva “un ragazzo” che li aveva portati con sé per mangiarli, o per venderli.
La domanda di Gesù fu “Quanti pani avete? Andate a vedere”: è un invito a verificare le loro possibilità, mettere da parte il dato e attendere ciò che Dio avrebbe fatto di ciò che avrebbero avuto, che era apparentemente un nulla, come disse Andrea: “…ma cos’è questo per sfamare tanta gente?”(Giovanni 6.9). Se allora Eliseo, con la vedova di Sarepta, confermò di essere un profeta del Dio Vivente e Vero, Nostro Signore intervenne sulle molecole dei pani e dei pesci come Dio Creatore facendo in modo non solo che non finissero, ma che si avanzassero dodici ceste.
* * * * *