5.9 – Il sermone sul monte : le beatitudini VIII (Matteo 5.3-12)
“3«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 4Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. 5Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. 6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 7Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. 8Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. 9Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 10Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.11Beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi”.
BEATI I PERSEGUITATI PER LA GIUSTIZIA
È l’ultima beatitudine, che termina come la prima, “perché di essi è il regno dei cieli”, che però per gli uditori di Gesù era di significato più oscuro e, infatti, Lui stesso si preoccuperà di spiegarla nei due versetti successivi. Due beatitudini sono al presente, le altre al futuro, segno che c’è continuità fra loro e che il cristiano non ne possiede una soltanto; l’ottava è però particolarmente complessa perché riguarda il compiersi di avvenimenti che, al momento dell’esposizione, non si erano ancora verificati. Nessuno di loro era stato ancora perseguitato.
Se ci soffermiamo sulla parola “giustizia”, sappiamo già che l’esserne affamati e assetati comporta l’esserne saziati in futuro, che questa viene data a chi crede nell’Iddio Vivente rivelato: i “giusti” dell’Antico Patto erano coloro che affiancavano alla Legge un sentimento di profondo essere un tutt’uno con YHWH e la ritenevano un mezzo per essere uniti a lui, non il fine. C’era una giustizia esteriore vista nell’osservanza e nel rimedio a fronte di una trasgressione, ma sarebbe stata inutile senza il riconoscimento dell’unicità di Dio dentro di sé, l’acquisire coscienza del fatto di appartenere al popolo eletto, composto da più individui che, in quanto tali, potevano avere un rapporto unico con Colui che aveva progettato un cammino per ciascuno. Abbiamo letto, per quanto riguarda il Vangelo, di persone considerate giuste: pensiamo a Zaccaria ed Elisabetta, a Giuseppe marito di Maria, a Simeone, Anna, Natanaele ed altri che avevano in comune proprio l’attesa consapevole del Consolatore di Israele, sentimento impossibile da possedere senza un riconoscersi mancanti di un’identità, di avere bisogno di Lui.
Ora, però, quella moltitudine radunata sul monte aveva davanti a lei la Giustizia di Dio vista nel quel Gesù di Nazareth che predicava, l’unico che avrebbe soddisfatto le esigenze di santità del Padre: credendo in Lui, questi avrebbero prodotto una profonda rottura con le credenze sulle quali i giudei che Lo avrebbero rifiutato si sarebbero arroccati. Anni più tardi l’apostolo Paolo scriverà ai romani “Il desiderio del mio cuore e la mia preghiera salgono a Dio per la loro – dei giudei-salvezza. Infatti rendo loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza. Perché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede”. Gesù sostituiva la Legge ed era Lui stesso giustizia, unico mezzo sicuro per mantenersi in rapporto con Dio, messaggio rivoluzionario divenuto per gli ebrei inaccettabile e infatti i cristiani, come testimonia lo stesso libro degli Atti, saranno perseguitati da loro per primi.
Pensiamo alla giustizia di Dio, alla perfetta conoscenza che ha di ogni essere umano, al fatto che lo vede come realmente è, e poniamo questo dato in relazione all’episodio del paralitico che a Capernaum quattro uomini avevano fatto calare dal tetto della casa in cui si trovava Gesù: alla presenza dei farisei fu detto “Che cosa è più facile, dire al paralitico «I tuoi peccati ti sono perdonati», oppure dirgli «Alzati, prendi il tuo lettino e cammina?» Ma, affinché sappiate il che il Figlio dell’uomo ha sulla terra autorità di perdonare i peccati, io ti dico, disse al paralitico, «Alzati, prendi il tuo lettino e vattene a casa tua»” (Marco 2. 9-11). Se pensiamo che prima di quel miracolo i farisei avevano appena finito di dire “Chi può perdonare i peccati, se non solo Dio?”, non ci vuole molto a riconoscere in Gesù quel Dio che loro affermavano di servire e seguire. Difficilmente potremmo sostenere che il perdono, o la remissione di un peccato, non sia cosa che coinvolga la giustizia di Dio che così decide secondo il suo giudizio insindacabile.
Torniamo però di nuovo ai farisei, che espressero una verità: in un altro episodio, non sapendo cosa rispondere, dichiararono che Gesù scacciava i demoni con l’aiuto di Baal-zebub loro principe, cosa impossibile perché “Ogni regno diviso in parti contrarie sarà ridotto in deserto ed ogni città o casa divisa in parti contrarie non potrà reggere. E se Satana caccia Satana, egli è diviso contro se stesso; come dunque potrà sussistere il suo regno? (…) Ma, se è per l’aiuto dello Spirito di Dio che io caccio i demoni, è dunque pervenuto fino a voi il regno di Dio” (Matteo 12.24-28).
Altra osservazione utile per queste riflessioni la fa Paolo nella sua lettera ai Colossesi, che risentiva dottrinalmente delle influenze del giudaismo legale, e pagane: “Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e voi avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo di ogni Principato e di ogni Potestà” (2. 8-10). “Tutta la pienezza” tra le quali non possiamo non contare la giustizia e, infatti, è in lui che vengono saziati tutti coloro che sono affamati ed assetati di essa.
In un simile quadro allora, ecco che la giustizia sotto l’ottica di Gesù causerà persecuzione, e sarà caratterizzata dall’ insulto, dalla persecuzione e dalla menzogna, cose che Lui patì prima di tutti gli altri che lo avrebbero seguito credendo nella Sua persona ed opera. L’insultoè un’offesa grave e volontaria ai sentimenti e alla dignità della persona arrecata con parole ingiuriose, con atti di spregio volgare o anche con un contegno intenzionalmente offensivo e umiliante; nel caso di Nostro Signore, lo vediamo soprattutto alla crocifissione, con le percosse alle quali seguiva la frase “Indovina chi ti ha colpito”, con gli sputi e le prese in giro dei capi dei sacerdoti, scribi e anziani “Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso”. La persecuzioneallude a un complesso di sistematiche azioni di forza intese a stroncare una persona o un movimento politico o religioso, a ridurre o addirittura ad eliminare una minoranza etnica o sociale. Che Gesù sia stato perseguitato, e con lui i primi cristiani (ma anche oggi nel mondo i cristiani perseguitati sono milioni) credo non sia un mistero per nessuno; però è indicativo che alla persecuzione si sia sempre accompagnata la menzogna, cioè un’affermazione contraria a ciò che si sa o si crede sia vero, o anche contraria a ciò che si pensa, alterazione (o negazione o anche occultamento) consapevole e intenzionale della verità. Ricordiamo ad esempio quanto concordarono i sacerdoti e gli anziani del popolo assieme ai soldati romani che testimoniarono loro di avere visto l’angelo che rotolava la pietra del sepolcro: “…dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati dicendo «Dite così: i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i giudei fino ad oggi” (Matteo 28.13-15). Furono quindi sordi al racconto di quegli uomini e anteposero la loro volontà di sopravvivenza assieme alle proprie dottrine evidentemente decadute. Così infatti era avvenuto: “Un angelo del Signore, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere sopra di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte” (Ibidem, 2-4).
Lo stesso processo a Gesù, che esamineremo a suo tempo, studiato da un punto di vista strettamente legale, presentò una serie infinita di irregolarità alla luce della Legge che il popolo di Israele aveva ricevuto, ma qui ci occuperemo di pochi versi: “I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono «Costui ha dichiarato: posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni»”(Matteo 26.59-61): si noti la sottigliezza del metodo vista nel fatto che si cercavano falsi testimoni ma, non trovandosene, si trovò il modo di estrapolare una frase che Gesù aveva effettivamente detto riferendosi al suo corpo, per piegarla ai loro scopi.
Questo è stato fatto a Nostro Signore. Per chi avrebbe creduto in Lui, possiamo citare le persecuzioni subite da Pietro, Giovanni, dall’apostolo Paolo e da Stefano, primo martire cristiano che troviamo al capitolo sesto del libro degli Atti che, “Pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni fra il popolo. Allora alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenei, degli Alessandrini e di quelli della Cilicia e dell’Asia, si alzarono a discutere con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava. Allora istigarono alcuni di loro perché dicessero «Lo abbiamo udito pronunciare parole blasfeme contro Mosè e contro Dio». E così sollevarono il popolo e gli scribi gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio. Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero «Costui non fa altro che parlare contro questo luogo santo e contro la legge. Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato” (Atti 6.8-14).
Ecco la menzogna organizzata, ma ecco anche la beatitudine di Stefano: prima è scritto che “Tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo” (v.15), ma poi quello che ha attirato la mia attenzione è stato il modo in cui concluse la sua esistenza terrena, poiché dopo aver esposto le sue ragioni con una predicazione toccante, leggiamo “Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”(Ibidem, 7.15). Fu poi lapidato fuori Gerusalemme, pregando “Signore, non imputare loro questo peccato”.
Credo che la visione di Stefano fu il modo che ebbe Iddio per rincuorarlo e consentirgli di affrontare la morte serenamente e metterlo in condizione di andare oltre il dolore per quelle pietre che lo colpivano. Fu anche l’adempimento pratico delle parole che abbiamo letto, “Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”, che appunto Stefano intravide. Gesù disse che “I nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa” (Matteo 10.36) alludendo proprio a quella di Israele, persecutrice prima di Roma di fronte ai cui metodi inorridiamo, dimenticando che invece i primi persecutori furono, appunto, quegli ebrei che, a differenza dei pagani superstiziosamente religiosi, avrebbero avuto tutti gli elementi per credere in Gesù Cristo e tutt’ora lo rifiutano.
Per ultima, abbiamo la frase “Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi”: pensiamo a Geremia, gettato nella cisterna di Malchia (Geremia 38), o prima di lui Elia, che Gezabele moglie del re Acab voleva uccidere (1 Re 19 e ss.). Ancora Isaia, arrestato e condannato a morte da Manasse secondo una tradizione ebraica, re di Giuda e figlio di Ezechia, oppure Uzia, perseguitato dal re Ioiachim (Geremia 26.21) oltre che Zaccaria, lapidato “nel cortile del Tempio del Signore” (2 Cronache 24.21), episodio sconcertante: “Dopo la morte di Ioiadà, i comandanti di Giuda andarono a prostrarsi davanti al re, che diede loro ascolto. Costoro trascurarono il tempio del Signore, Dio dei loro padri, per venerare i pali sacri e gli idoli. Per questa loro colpa l’ira di Dio fu su Giuda e su Gerusalemme. Il Signore mandò loro dei profeti perché li facessero tornare a lui. Questi testimoniarono contro di loro, ma non furono ascoltati. Allora lo spirito di Dio investì Zaccaria, figlio del sacerdote Ioiadà, che si alzò in mezzo al popolo e disse «Dice Dio: «Perché trasgredite i comandi del Signore? Per questo non avete successo; poiché avete abbandonato il Signore, anch’egli vi abbandona». Ma congiurarono contro di lui e per ordine del re lo lapidarono nel cortile del tempio del Signore. Il re Ioas non si ricordò del favore fattogli da Ioiadà, padre di Zaccaria, ma ne uccise il figlio, che morendo disse «Il Signore veda e ne chieda conto!” (2 Cronache 24.17-22).
Ci sono poi le parole di quello Stefano che abbiamo citato: “Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, acosì siete anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata». All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano” (Atti 7.51-53).
Chiedersi il significato dell’ultima beatitudine per noi è giusto, per quanti sono convinto che Gesù, con le parole sui “perseguitati per causa di giustizia”, si riferisse all’immediatezza di quanto sarebbe avvenuto a quanti lo avessero seguito. Credo che sia l’apostolo Pietro ad aggiornarci quando scrive “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati nel nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria, che è Spirito di Dio, riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro, malfattore o delatore. Ma se uno soffre come cristiano, non se ne vergogni, ma anzi dia gloria a Dio” (1 Pietro 4.13-16), parole indirizzate a tutti quei fratelli o sorelle che, anche in questo tempo definito “civile” in cui viviamo, in molte zone della terra sono attuali e vive. Amen.
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