14.01 – COLORO CHE SI SALVANO I/II (Luca 13.22-25)

14.01 – Coloro che si salvano I/II (Luca 13.22-25)      

 

22Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: «Signore, aprici!». Ma egli vi risponderà: «Non so di dove siete».

 

            Poco dopo la festa della Dedicazione, sappiamo da Giovanni che Gesù si recò nella Perea (10.40-42), nei territori in cui Giovanni Battista aveva svolto il suo ministero. Riprende così l’ultimo viaggio di Gesù prima di tornare a Gerusalemme, anche qui, per l’ultima volta.

Il tema della “porta stretta” fu uno dei primi sviluppati da Nostro Signore e lo abbiamo incontrato nel sermone sul monte quando Matteo così lo condensò: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e pochi sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!” (7.13,14). Se però nel passo di Matteo ci troviamo di fronte a un messaggio universale, pronunciato davanti alla folla venuta per ascoltare, qui abbiamo una risposta (quasi) individuale a fronte di una specifica domanda, oltre ad un panorama più ampio rispetto a quello dato sul monte.

Lasciato il verso 22, che ci parla di quanto siano stati numerosi gli eventi di cui i Dodici furono testimoni e di cui non hanno scritto, troviamo questo “tale” che, per la domanda rivoltagli e alcuni particolari della risposta, non era una persona del popolo, ma un cólto che, udito Gesù parlare, aveva fatto un collegamento con quanto esposto nel IV libro di Esdra, risalente al V secolo a.C. detto anche «Apocalisse di Esdra», in cui si legge che “L’Altissimo ha fatto questa età per molti, ma quella futura per pochi” (8.1), “Molti sono quelli che sono stati creati, ma pochi coloro che si salveranno” (v.3), “Tu non essere curioso sul modo con cui gli empi verranno tormentati, ma chiedi di come saranno salvati i giusti, e di chi sarà il mondo e per chi” (9.15).

Ricordiamo, a parte Matteo 7.13,14, anche il principio secondo cui “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti” (20.16), senza contare le numerose parabole che parlano di premio per i servi fedeli e di castigo per gli infedeli, come le ultime su cui abbiamo riflettuto ed altre ancora da sviluppare.

 

Al verso 24 notiamo che alla domanda di un singolo corrisponde una risposta data a molti – “Disse loro” – ed occupa quattro spazi precisi divisi in blocchi di due: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta” è il primo e contiene un preciso invito ad agire verso qualcosa, appunto la porta che, in una riflessione precedente, abbiamo individuato come primo riferimento nella “cruna dell’ago” perché tutti noi la connettiamo con la parabola del “cammello”, ma poteva essere anche quella porticina che, nei palazzi dei potenti, serviva anche a far passare gli invitati alle feste per essere sicuri che non entrassero estranei. In pratica, i servi posti all’ingresso verificavano l’identità dei convenuti che si presentavano lì col vestito che il padrone aveva spedito loro precedentemente.

Il verbo utilizzato per “sforzatevi” è “agonìzomai” che ha tra i suoi significati “gareggiare, lottare, combattere, contendere” non solo a livello strettamente fisico, ma anche teorico, come nel caso del dibattere una questione in pubblico o all’impegno per difendersi in un processo. Si tratta comunque di uno sforzo che ben conosceva l’apostolo Paolo che, scrivendo ai Corinti, parla proprio delle fatiche sostenute per il Vangelo: “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventare partecipe con loro. Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che, dopo aver predicato agli altri, non venga squalificato” (1a, 9.22-27).

Queste parole, che vanno oltre l’insegnamento specifico di Gesù, rivelano quale sia il senso del combattimento e dello sforzo cristiano e quell’ “uno solo” certo non si riferisce al fatto che sarà salvata una sola persona per l’impegno che ha messo, ma è un richiamo a non dare la salvezza per scontata, cioè garantita a prescindere da ciò che facciamo e pensiamo. Poi, parte difficile, al non guardare alla condotta degli altri perché ciascuno deve agire vigilando su se stesso, facendo attenzione a non appartenere alla categoria di quelli che, con la trave nell’occhio, desiderano togliere la pagliuzza da quello degli altri. Di fronte alla necessità di dare un consiglio o un’esortazione, infatti, dobbiamo sempre chiederci se abbiamo il diritto di esprimerlo/a verificando la nostra condotta in proposito.

Lo “sforzatevi” di Gesù implica quindi, sotto l’aspetto del verbo, un totale coinvolgimento del corpo e della mente perché si tratta, certo non da soli ma con l’aiuto dello Spirito Santo, di “gettare via tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni che escono dalla vostra bocca. Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato” (Colossesi 3.9,10). Se allora l’uomo vecchio è stato “svestito”, certo non senza “sforzo”, allora va da sé che non saremo, né potremo essere, quelli di prima.

 

Dobbiamo chiederci però, nonostante la correttezza di queste applicazioni, se fosse quello il messaggio di Gesù ai presenti, e la risposta è negativa: se mai quanto letto, coi riferimenti che abbiamo proposto, vale oggi per noi, cioè i versi citati saranno del tutto attuali e veri in un contesto differente, quello della Chiesa che, quando Nostro Signore parlava, non era ancora nata. Lo sforzo cui Gesù allude sì a un combattimento interno ed esterno ma, ancora una volta, contro la religione e il cuore umano indurito, contro le facili scappatoie che da sempre essi propongono, sempre pronti a giustificare e quindi dare una falsa innocenza perché, purtroppo, per ogni crimine esiste sempre una giustificazione, per quanto aberrante essa sia. È il famoso falso buonismo, che purtroppo si è ormai diffuso anche nel cristianesimo, dove la pietà non è più per le vittime, ma per gli autori dei crimini, dove gli aiuti vengono dati ad alcuni a discapito di altri, dove si cerca una solidarietà sociale in realtà totalmente svuotata d’amore e soprattutto giustizia.

Quindi, nel “Regno dei Cieli” entrano tutti coloro che vanno contro corrente, che combattono per far tacere “l’uomo vecchio”, rifiutano la facile filosofia del mondo per incamminarsi per un sentiero diverso. Infatti “Dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Matteo 11.12), certo non quelli della terra.

 

Venendo ora alla seconda parte del verso 24, “Molti cercheranno di entrare, ma non vi riusciranno”, è un passaggio che suggerisce l’idea di una calca, di confusione e disordine, tutte cose che si contrappongono in antitesi a Dio che non è “un Dio di confusione, ma di ordine” (1 Corinti 14.33), tradotto da altri anche con “pace”.

Altro punto importante è poi la differenza tra lo “Sforzatevi”, che abbiamo sviluppato brevemente,  e il “cercheranno”, verbo “Zetéo” che, se confrontato col precedente, può avere gli stessi significati, ma in modo più blando: abbiamo infatti “andare in cerca di qualcosa, investigare, cercare di ottenere, bramare, chiedere, sentire desiderio di qualcosa”. Nello “sforzarsi” c’è tutta una volontà sostenuta dal voler raggiungere a tutti costi un obiettivo, nel “cercare” c’è un “tendere a” più generico, direi poco convinto. Guardando al tempo in cui visse Gesù, pensiamo a quelli che avevano accolto l’invito di Giovanni Battista “Ravvedetevi perché il Regno dei Cieli è vicino” facendosi battezzare, confessando i loro peccati – e qui abbiamo lo “Sforzatevi” – e quanti invece erano lì, testimoni non coinvolti, tranquilli e convinti di aver già trovato nella Legge e nei loro riti e tradizioni il senso della loro esistenza. Chi non si lasciava coinvolgere dalla conversione o dal pentimento rientrava comunque in quelli che “cercheranno”: infatti avevano tutta la loro cerimonialità in cui rifugiarsi. Avevano preghiere ad orari fissi, abluzioni, letture, frequentavano la Sinagoga e, quando potevano se non distanti da Gerusalemme, il Tempio. Anche queste manifestazioni, per quanto in modo differente e al tempo stesso così simile, le abbiamo nel cristianesimo che ha standardizzato comportamenti, preghiere e funzioni svuotandole completamente di significato. O, meglio, questo c’è, ma rimane occultato da un incedere monotono, da una recitazione sterile che rende molto difficile in cambiamento interiore, la rivoluzione cristiana. E così tutto resta come prima, come sempre, nulla cambia.

Lo “sforzo” allora, è appunto lo spogliarsi dell’uomo vecchio, quello che da sempre rivendica un Ego che non può né deve avere perché, se presente, lo fa dipendere come uno schiavo da tutto ciò che possiede senza essere mai in grado di dire “basta”, come nella parabola di Proverbi 30.15,16 sulle “Tre cose che non si saziano mai, anzi quattro non dicono mai «Basta!»: gli inferi, il grembo sterile, la terra mai sazia d’acqua e il fuoco”.

Come in molti insegnamenti di Gesù, però, c’è una scadenza, qui vista nel “padrone di casa” che “si alzerà e chiuderà la porta” (v. 25), immagine che non lascia adito a dubbi sul fatto che si tratta di un gesto cui le persone di fuori non possono porre più alcun rimedio. In proposito possiamo fare la connessione con Apocalisse 3.7, “Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre, nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre”, o “può aprire” secondo altre traduzioni.

A questo punto dobbiamo necessariamente pensare a quelli che restano fuori dalla porta che, dai versi che seguono il nostro passo, sono convinti in un primo momento di essere stati esclusi per una sorta di errore, avendo dato al “Signore” una confidenza che non spettava loro instaurare. Solo per il fatto che avessero “Mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”, come vedremo, ritenevano di aver diritto ad entrare. E qui vediamo quanto sia mirato il messaggio di Gesù, proprio agli israeliti che ritenevano l’appartenenza al popolo di Dio come qualcosa di acquisto, di automatico e che fosse sufficiente comportarsi così come avveniva da sempre. Del resto, non erano tutti figli di Abrahamo?

Giungiamo così alla fine di questa prima parte, con “Signore, aprici!”, che denota tutta la presunzione dei richiedenti: lo accusano di impazienza, di aver chiuso la porta troppo presto quindi, secondo loro, doveva tornare sui suoi passi perché si era sbagliato. Invece l’essere umano, procrastinatore per natura, che vorrebbe ogni cosa fatta a sua misura come ricordo dell’Eden perduto, non accetta l’idea che quando una cosa è trascorsa, passata, lo è per sempre. Così, in questo caso, lo è per la porta chiusa alla quale i personaggi della parabola bussano, ma il tempo del “bussate e vi sarà aperto”, che resta valido fino a quando proprio il Creatore e Signore di ogni cosa, visibile e invisibile, non ne decreta la fine, è qui concluso. E di tale avvenimento ne aveva ampiamente parlato.

Un fratello ha fatto notare che il passaggio tra il “cercare” e lo “sforzatevi”, nelle persone rimaste fuori, si verifica proprio nel momento in cui la porta viene chiusa: “quando poi quelli che per tutto quel tempo si erano pigramente cullati con l’idea che ci sarebbe sempre stato tempo per entrare, si trovano l’uscio chiuso e la loro energia si risveglia”.

Ultima nota può essere fatta sulla risposta del padrone, “Non so di dove siete”, cioè da dove venite: se quelle persone sono ebree, li dichiara completamente fuori dalla fede e dalla pietà di Abrahamo; se sono cristiani, allora si identificano in quelli rigettati in quanto tiepidi secondo Apocalisse 3. 15,16 che ogni tanto ricordo. Anche qui, abbiamo il cristianesimo di nome e non di fatto. Quello che allontana, inconcludente ed ipocrita, da Lui. Amen.

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