5.13 – Sesto, non uccidere II/IV (Matteo 5.21-26)
“21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!”.
Dopo quello commesso da Caino, vediamo il secondo esempio di omicidio, quello perpetrato dal re Davide ai danni di Uria l’Ittita in 2 Samuele ai capitoli 11 e 12. Si tratta di un episodio che rivela una metodologia molto più sottile rispetto a quella utilizzata da Caino col quale Davide non è paragonabile perché, mentre il primo apparve fin dall’inizio per ciò che era, cioè un ostile, il secondo era già stato uno strumento nelle mani di Dio: conduttore militare, re di Israele, valoroso guerriero, Davide giunse a punto della sua vita in cui gli agi e gli onori ricevuti, oltre alla sontuosa reggia che si era fatto costruire, gli fecero dimenticare i propri doveri di re non andando in guerra con le sue truppe. Leggiamo l’episodio: “Al tempo in cui i re sono soliti andare in guerra (…) Davide rimaneva a Gerusalemme. Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella d’aspetto. Davide mandò a informarsi sulla donna. Gli fu detto: «È Betsabea, figlia di Eliàm, moglie di Uria l’Ittita». Allora Davide mandò messaggeri a prenderla. Ella andò da lui ed egli giacque con lei, che si era appena purificata dalla sua impurità. Poi ella tornò a casa. La donna concepì e mandò ad annunciare a Davide: «Sono incinta»” (11.1-4). A questo punto Davide progettò che Uria, chiamato da lui a corte, si giacesse con la propria moglie col chiaro intendo che il bambino gli fosse attribuito, ma questo tentativo andò a vuoto. Uria gli disse “«L’arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, Ioab mio signore e i servi del mio signore sono accampati in aperta campagna e io dovrei entrare in casa mia per mangiare e bere e per giacere con mia moglie? Per la tua vita, per la vita della tua persona, non farò mai cosa simile»!(…) Davide lo invitò a mangiare e a bere con sé e lo fece ubriacare; la sera Uria uscì per andarsene a dormire sul suo giaciglio con i servi del suo signore e non scese a casa sua. La mattina dopo Davide scrisse una lettera a Ioab – un suo generale – gliela mandò per mano di Uria. Nella lettera aveva scritto così: «Ponete Uria sul fronte della battaglia più dura; poi ritiratevi da lui perché resti colpito e muoia». Allora Ioab, che assediava la città, pose Uria nel luogo dove sapeva che c’erano uomini valorosi. Gli uomini della città fecero una sortita e attaccarono Ioab; caddero parecchi della truppa e dei servi di Davide e perì anche Uria l’Ittita” (…). La moglie di Uria, saputo che Uria, suo marito, era morto, fece il lamento per il suo signore. Passati i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere e l’aggregò alla sua casa. Ella diventò sua moglie e gli partorì un figlio. Ma ciò che Davide aveva fatto era male agli occhi del Signore”.
Fu così che Dio mandò a Davide il profeta Nathan per rivelargli il duplice peccato commesso, adulterio e omicidio, lasciando che fosse lui stesso a giudicarsi. Così gli parlò Nathan: “«Due uomini erano nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero, mentre il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina, che egli aveva comprato. Essa era vissuta e cresciuta insieme con lui e con i figli, mangiando del suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Era per lui come una figlia. Un viandante arrivò dall’uomo ricco e questi, evitando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso quanto era da servire al viaggiatore che era venuto da lui, prese la pecorella di quell’uomo povero e la servì all’uomo che era venuto da lui». Davide si adirò contro quell’uomo e disse a Natan: «Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non averla evitata». Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele: «Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi aggiungerei anche altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Uria l’Ittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l’Ittita». Così dice il Signore: «Ecco, io sto per suscitare contro di te il male dalla tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un altro, che giacerà con loro alla luce di questo sole. Poiché tu l’hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole»” (12. 1-12).
A differenza di Caino, Davide comprese quanto si fosse allontanato da Dio e che le grandi imprese operate fino ad allora non gli avevano impedito di commettere un atto totalmente ingiusto e terribile, ma si pentì dicendo “«Ho peccato contro il Signore!». Narthan rispose a Davide «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai. Tuttavia, poiché con quest’azione tu hai insultato il Signore, il figlio che ti è nato dovrà morire». Natan tornò a casa. Il Signore dunque colpì il bambino che la moglie di Uria aveva partorito a Davide e il bambino si ammalò gravemente. Davide allora fece suppliche a Dio per il bambino, si mise a digiunare e, quando rientrava per passare la notte, dormiva per terra. Gli anziani della sua casa insistevano presso di lui perché si alzasse da terra, ma egli non volle e non prese cibo con loro. Ora il settimo giorno il bambino morì e i servi di Davide temevano di annunciargli che il bambino era morto, perché dicevano «Ecco, quando il bambino era ancora vivo, noi gli abbiamo parlato e non ha ascoltato le nostre parole; come faremo ora a dirgli che il bambino è morto? Farà di peggio!» Ma Davide si accorse che i suoi servi bisbigliavano fra loro, comprese che il bambino era morto e disse ai suoi servi: «È morto il bambino?». Quelli risposero «È morto». Allora Davide si alzò da terra, si lavò, si unse e cambiò le vesti; poi andò nella casa del Signore e si prostrò. Rientrato in casa, chiese che gli portassero del cibo e mangiò. I suoi servi gli dissero: «Che cosa fai? Per il bambino ancora vivo hai digiunato e pianto e, ora che è morto, ti alzi e mangi!». Egli rispose: «Quando il bambino era ancora vivo, digiunavo e piangevo, perché dicevo: «Chissà? Il Signore avrà forse pietà di me e il bambino resterà vivo». Ma ora egli è morto: perché digiunare? Potrei forse farlo ritornare? Andrò io da lui, ma lui non tornerà da me!». Poi Davide consolò Betsabea sua moglie, andando da lei e giacendo con lei: così partorì un figlio, che egli chiamò Salomone”.
Per capire l’atteggiamento di Davide possiamo citare il Salmo 51 che meriterebbe uno studio approfondito per le verità che contiene:
1Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.
2Quando il profeta Natan andò da lui,
che era andato con Betsabea.
3Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
4Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
5Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
6Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto:
così sei giusto nella tua sentenza,
sei retto nel tuo giudizio.
7Ecco, nella colpa io sono nato,
nel peccato mi ha concepito mia madre.
8Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo,
nel segreto del cuore mi insegni la sapienza.
9Aspergimi con rami d’issòpo e sarò puro;
lavami e sarò più bianco della neve.
10Fammi sentire gioia e letizia:
esulteranno le ossa che hai spezzato.
11Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe.
12Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
13Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
14Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
15Insegnerò ai ribelli le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.
16Liberami dal sangue, o Dio, Dio mia salvezza:
la mia lingua esalterà la tua giustizia.
17Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
18Tu non gradisci il sacrificio;
se offro olocausti, tu non li accetti.
19Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.
20Nella tua bontà fa’ grazia a Sion,
ricostruisci le mura di Gerusalemme.
21Allora gradirai i sacrifici legittimi,
l’olocausto e l’intera oblazione;
allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.
Per quanto uomini vissuti sotto dispensazioni diverse, Caino e Davide commettono lo stesso peccato ma, mentre per il primo il crimine commesso era il risultato di un’anima che rifiutava di sottomettersi a Dio e di uno spirito a Lui ostile, nel caso di Davide si trattava di un’azione commessa a seguito di una omessa vigilanza su se stesso lasciando che la propria carne fosse dominante su di lui, come ricordano le parole dello stesso Uria – che era uno straniero – quando gli spiegò che, andando a casa propria da sua moglie come il re lo spingeva a fare, avrebbe fatto un affronto a quanti erano sul campo di battaglia. Soprattutto Davide, che si lasciò dominare dalla sua umanità corrotta alla quale non volle porre freno, riconobbe la propria colpa e con le parole “Lavami dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro”, dovette ammettere di non avere alternative al perdono che Dio poteva accordargli. E il ruolo che aveva, ciò di cui poteva disporre, erano ben superiori a quanto era nella disponibilità di Caino. Ricordiamo, al proposito del perdono. le parole “Quand’anche i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve” (Isaia 1.18).
Con la figura delle ossa spezzate Davide descrive la potenza del dolore che provava per il peccato commesso a tal punto da paralizzarlo e causargli una profonda e reale sofferenza, ma colpisce soprattutto la supplica di non scacciarlo dalla Sua presenza e di non privarlo del Suo Santo Spirito senza il quale sarebbe stato orribilmente solo. Davide aveva paura di questo là dove un altro – Caino – a fronte di quell’abbandono non avrebbe provato nulla, anzi ci sperava nell’illusione di essere finalmente libero da vincoli morali per soddisfarsi.
C’è poi la supplica “Aspergimi– altri traducono con “purificami” – con rami d’issòpo”, pianta erbacea dal gusto amaro e medicinale figura della protezione e cura di Dio, come rileviamo dalle istruzioni date agli ebrei prima della decima piaga d’Egitto, quella della morte dei primogeniti: “Prenderete un mazzetto di issòpo lo intingerete nel sangue che è nel catino, e con il sangue che è nel catino spruzzerete l’architrave e i due stipiti delle porte e nessuno di voi uscirà dalla porta di casa fino al mattino” (Esodo 12.22). Con la frase relativa al fatto che Dio non disprezza un cuore contrito e affranto, poi, Davide fa esplicito riferimento alla sua condizione di prostrazione causata dalla consapevolezza del peccato, certo di essere nelle condizioni di venire consolato in virtù della sua confessione e non perché avesse dei meriti acquisiti in passato. Quel re, che per un tempo aveva dato ascolto alla carne forse illudendosi di essere sopra a tutti, si vedeva per com’era nella realtà provando una profonda angoscia e per questo fu perdonato e ristabilito, poiché il primogenito da Bersabea, moglie di Uria, sarà il suo decimo figlio, Salomone, che proprio Nathan chiamerà Jedidiah, “Amato da Dio”.
Abbiamo visto così due omicidi, sicuramente in modo limitato e molte sono le riflessioni possibili da parte di ciascuno di noi; l’obiettivo che mi sono prefissato, stante la vastità e le implicazioni dell’argomento, era fornire degli elementi che serviranno per introdurre il prossimo studio che riguarderà il sesto comandamento alla luce della Legge e della carità di Dio.
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