13.27 – ANTIOCO EPIFANE (FINE) (Giovanni 3.27)

13.27 –Antioco Epifane (fine) (Giovanni 10.22)   

 

22Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno.

 

            Siamo così giunti all’ultima parte del percorso su Antioco IV, di cui Daniele descrive la fine con un verso già citato nello scorso capitolo: “Continuai a guardare a causa delle parole arroganti che quel corno proferiva, e vidi che la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare nel fuoco. Alle altre bestie fu tolto il potere e la durata della loro vita fu fissata fino a un termine prestabilito” (7.11-12). Daniele continua a guardare. È impossibile per lui distogliere lo sguardo dagli avvenimenti che gli vengono mostrati non perché vuole “vedere come va a finire” come se fosse un film o un appassionante episodio di una serie televisiva, ma perché desideroso di partecipare in Spirito alla vittoria finale di Dio, contemplare il Suo giudizio e il riscatto dei Suoi santi. In altri termini, vuole constatare fino a quando alla bestia e al corno verrà concesso di operare, oltre a quando e come si verificherà la sua capitolazione.

            Quindi, nelle “parole arroganti che quel corno proferiva” abbiamo tanto i suoi decreti quanto le azioni, i fatti rovinosi per il popolo d’Israele che abbiamo descritto, ma non ci può sfuggire il fatto che a venire uccisa è la “bestia” e non il “corno”. In realtà l’una non può esistere senza l’altro perché la “bestia” è il sistema e il “corno” il suo artefice, il suo rappresentante.

La “bestia”, a prescindere dall’epoca in cui si manifesta, non può esistere senza sostenitori, progettisti o delegati e con lo scorrere dei secoli cambierà pelle, sembianze, ma sarà sempre e solo di provenienza satanica nell’attesa che compaia il sistema che sarà il suo capolavoro, quello finale, degli ultimi tempi, che sarà peggiore di tutti gli altri e di cui ogni credente attento ne vede già le sembianze e lo stato avanzato dei lavori. Le basi, infatti, sono gettate da tempo.

            Nei versi riportati vediamo che c’è una “bestia” che viene distrutta e che alle “altre bestie fu tolto il potere e la durata della loro vita fu fissata fino a un termine prestabilito”. Morto Antioco IV, muore anche il sistema che aveva costruito. La cronaca di 1 Maccabei 6 riporta così: 1Mentre il re Antioco percorreva le regioni settentrionali, sentì che c’era in Persia la città di Elimàide, famosa per ricchezza, argento e oro; 2che c’era un tempio ricchissimo, dove si trovavano armature d’oro, corazze e armi, lasciate là da Alessandro, figlio di Filippo, il re macèdone che aveva regnato per primo sui Greci. 3Allora vi si recò e cercava di impadronirsi della città e di depredarla, ma non vi riuscì, perché il suo piano fu risaputo dagli abitanti della città, 4che si opposero a lui con le armi; egli fu messo in fuga e dovette ritirarsi con grande tristezza e tornare a Babilonia. 5Venne poi un messaggero in Persia ad annunciargli che erano state sconfitte le truppe inviate contro Giuda. 6Lisia si era mosso con un esercito tra i più agguerriti, ma era stato messo in fuga dai nemici, i quali si erano rinforzati con armi e truppe e ingenti spoglie, tolte alle truppe che avevano sconfitto, 7e inoltre avevano demolito l’abominio da lui innalzato sull’altare a Gerusalemme, avevano cinto di alte mura, come prima, il santuario e Bet-Sur, che era una sua città. 8Il re, sentendo queste notizie, rimase sbigottito e scosso terribilmente; si mise a letto e cadde ammalato per la tristezza, perché non era avvenuto secondo quanto aveva desiderato. 9Rimase così molti giorni, perché si rinnovava in lui una forte depressione e credeva di morire. 10Chiamò tutti i suoi amici e disse loro: «Se ne va il sonno dai miei occhi e l’animo è oppresso dai dispiaceri. 11Ho detto in cuor mio: in quale tribolazione sono giunto, in quale terribile agitazione sono caduto, io che ero così fortunato e benvoluto sul mio trono! 12Ora mi ricordo dei mali che ho commesso a Gerusalemme, portando via tutti gli arredi d’oro e d’argento che vi si trovavano e mandando a sopprimere gli abitanti di Giuda senza ragione. 13Riconosco che a causa di tali cose mi colpiscono questi mali; ed ecco, muoio nella più profonda tristezza in paese straniero». 14Poi chiamò Filippo, uno dei suoi amici, lo costituì reggente su tutto il suo regno 15e gli diede il diadema, la sua veste e l’anello, con l’incarico di guidare Antioco, suo figlio, e di educarlo a regnare. 16Il re Antioco morì in quel luogo l’anno centoquarantanove. 17Lisia fu informato che il re era morto e dispose che regnasse Antioco, suo figlio, che egli aveva educato fin da piccolo, e lo chiamò Eupàtore”.

            Eupàtore fu l’undicesimo re della dinastia dei Seleucidi: la bestia aveva dieci corna, non undici. Antioco IV è “il corno più piccolo”, che cresce tra di esse, ma fa parte comunque delle dieci; può essere visto in un certo senso come la loro sublimazione. I re seleucidi che seguirono ad Antioco, dal 164 al 64 a.C., non ripeterono certo le gesta dei precedenti e, infatti, abbiamo letto che “alle altre bestie fu tolto il potere e la durata della loro vita fu fissata fino a un termine prestabilito”: regnarono, fecero guerre e quindi morirono. Possiamo però, estendendo il significato letterale del verso, che ogni bestia che sarebbe venuta avrebbe avuto un “limite stabilito”; pur essendo ovvio perché, trattandosi di sistemi composti da uomini, è inevitabile che ciò avvenga e sia, abbiamo qui un grosso “memento” nel senso che tutto finisce, ma soprattutto che questo termine è imposto, stabilito da Dio che giudica e il corpo della “bestia”, sempre lo stesso per idee, dottrine e azioni distruttrici, viene “uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare nel fuoco”.

            Queste parole quindi sono di consolazione e di avvertimento che accompagneranno i credenti, che hanno Gesù con loro secondo la sua promessa, fino alla fine perché, quanto all’ultimo sistema, “Ma la Bestia fu catturata e con lei il falso profeta, che alla sua presenza aveva operato i prodigi con i quali aveva sedotto quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo” (Apocalisse 19.20, ma anche 20.10).

            Molto spesso si legge questo verso, o gli altri a lui collegati, senza pensare al fatto che gli elementi lì presenti sono due, fuoco e zolfo, ritenendo il primo sufficiente: il fuoco brucia, ustiona, distrugge. Lo zolfo, però, è un combustibile, quindi produce altra energia termica, quindi è un accrescitivo. Compare la prima volta con Sodoma, quando tutta la sua regione fu interessata da “una pioggia di fuoco e zolfo” (un modo per indicare un bombardamento di meteoriti?), è usato per alludere a una vita impossibile (“tutta la sua terra sarà zolfo, sale, arsura, non sarà seminata e non germoglierà, né erba di sorta vi crescerà, come dopo lo sconvolgimento di Sodoma, di Gomorra, di Adma e di Seboim, distrutte dalla sua ira e dal suo furore”, Deuteronomio 29.22).

Lo zolfo è utilizzato anche per descrivere, come l’apostolo Giovanni poteva stante il fatto che non disponeva di sostantivi adeguati, le armi del futuro: “E così vidi nella visione i cavalli e i loro cavalieri: questi avevano corazze di fuoco, di giacinto – minerale raro e molto lucente – e di zolfo; e le teste dei cavalli erano come teste di leoni e dalle loro bocche usciva fuoco, fumo e zolfo” (Apocalisse 9.27).

            Tornando ora a Daniele 7.12 “Alle altre bestie fu tolto il potere e la durata della loro vita fu fissata fino a un termine stabilito”, vediamo che immediatamente salta a una nuova visione che stupisce perché di colpo abbraccia anche il vero tempo della fine a sottolineare proprio il “tempo stabilito” per tutte le altre che verranno, compresa quella terribile della “gran tribolazione” in cui si dirà “Chi è simile alla bestia? E chi può combattere contro di lei? E le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie. E le fu dato di agire per quarantadue mesi” (Apocalisse 13.4).

            La visione di Daniele fu questa, famigliare a tutti coloro che cercano di capire le dinamiche future anche oggi:“Ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue – quelle sconvolte a Babilonia, poi evolute in quelle moderne – lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto”(7.13,14).

            Lo spazio che qui ci si apre è enorme e possiamo dire che l’importanza negativa che ebbe Antioco IV Epifane ed il suo sistema, con le sue mire di cancellazione del popolo di Dio, gli ebrei allora e il cristianesimo vero in futuro, si identificano proprio in quell’ultima “Bestia” che si sta formando. Non credo sia possibile leggere altrimenti la spiegazione che il profeta ricevette dal suo vicino: “I santi gli saranno dati in mano per un tempo, tempi e la metà di un tempo – tre anni e mezzo –. Si terrà poi il giudizio e gli sarà tolto il potere, quindi verrà distrutto completamente. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno” (7.25-27).

            Ricordiamo le parole di Apocalisse 13.5-8: “Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi – 12+24+6 –. Essa aprì la bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. Le fu concesso di fare guerra contro i santi e di vincerli, e le fu dato potere sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione. La adoreranno tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell’Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo”.

            Tornando ora alla festa della Dedicazione, fu istituita quando il servizio nel Tempio fu ripristinato. Così scrive Giuseppe Flavio nelle sue Antichità Giudaiche XII.324, 325: “Provavano tanto piacere nel rinnovarsi delle loro consuetudini e nell’avere inaspettatamente riacquistato dopo tanto tempo il diritto di tenere la loro celebrazione, che imposero per legge ai loro discendenti di celebrare il ripristino del servizio del tempio per otto giorni. E da quel tempo fino al presente celebriamo questa festa, che chiamiamo festa delle Luci, dandole questo nome, suppongo, per il fatto che avevamo riavuto il diritto di adorare quando meno ce lo aspettavamo”.

Termina qui il nostro breve excursus su Antioco IV, “breve” perché ci sarebbero molti altri passi da analizzare, ma credo che basti per comprendere a grandi linee gli eventi e i significati spirituali che si celano dietro questa festa. Giovanni 10.23 riporta che proprio in occasione di quella, di inverno, “Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone”, probabilmente coi discepoli. Qui lo raggiungeranno, come vedremo col prossimo capitolo, ancora una volta i Giudei con le loro domande insidiose.

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13.25 – LA FESTA DELLA DEDICAZIONE: ANTICO EPIFANE, INTRODUZIONE (Giovanni 10.22)

13.25 – La festa della Dedicazione. Antioco Epifane – Introduzione (Giovanni 10.22)    

 

22Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno.

 

La presenza di Nostro Signore a Gerusalemme ci impone delle domande sui suoi spostamenti, difficili da raccordare basandoci su Luca; dobbiamo considerare che tra la festa delle Capanne (o Tabernacoli) in cui era stato là per l’ultima volta e quella della Dedicazione passarono due mesi e mezzo, periodo che Giovanni omette, ma che viene riportato per quadri da Luca. Il verso 22 che abbiamo riportato, però, ci consente un’apertura su fatti e porzioni di Scrittura che altrimenti non potremmo esaminare perché, di tutte le feste che si celebravano, quella della Dedicazione non era, assieme al Purìm, comandata dalla Legge e venne istituita da Giuda Maccabeo, eroe della ribellione ebraica sotto l’oppressione di Antioco Epifane, re di Siria nel 194 a.C., quando vi fu ricostruzione dell’altare e del Tempio che quello aveva contaminato.

Come avvenuto all’inizio del nostro percorso di lettura dei Vangeli quando ci siamo soffermati su Erode, mi pare giusto affrontare questo personaggio la cui figura fu importante a tal punto da venire profetizzata da Daniele in diversi passi che presentano forti analogie, nel suo linguaggio simbolico, con il libro dell’Apocalisse di Giovanni.

Per questo è necessaria una premessa nel senso che quanto analizzeremo va inteso come fonte per appunti di idee da tener presente quando verranno letti passi profetici soprattutto nell’Apocalisse. Anche la lettura di questo studio, nelle sue parti, andrebbe sviluppata creando schemi perché l’esposizione così come impaginata non si presenta immediatamente comprensibile. Personalmente credo che vada affrontato usando il testo biblico, anche se qui è riportato, annotando a margine ciò che sarà ritenuto opportuno.

Va anche ricordato che tutto il commento ai Vangeli che stiamo sviluppando da tempo non intende, né può, essere esaustivo, ma affronta solo una minima parte della superficie del testo evangelico e che, in particolare ciò che verrà qui presentato, dev’essere oggetto di una lettura personale approfondendo i riferimenti che darà il testo biblico, in particolare quello di Daniele. Come sempre, per sviluppare adeguatamente questo tema, non sarebbero sufficienti molti libri e centinaia di pagine.

La prima visione che ebbe Daniele è reperibile al capitolo settimo:

 

2Io, Daniele, guardavo nella mia visione notturna, ed ecco, i quattro venti dei cielo si abbattevano impetuosamente sul Mare Grande– il Mediterraneo –3E quattro grandi bestie, differenti l’una dall’altra, salivano dal mare.

4La prima era simile ad un leone e aveva ali d’aquila. Mentre io stavo guardando, le furono strappate le ali e fu sollevata da terra e fatta stare su due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d’uomo. 5Poi ecco una seconda bestia, simile a un orso, la quale stava alzata da un lato e aveva tre costole in bocca, fra i denti, e le fu detto: «Su, divora molta carne».

6Dopo di questa, mentre stavo guardando, eccone un’altra simile a un leopardo, la quale aveva quattro ali d’uccello sul dorso; e quella bestia aveva quattro ali d’uccello sul dorso; quella bestia aveva quattro teste e le fu dato il potere.

7Dopo di questa, stavo ancora guardando nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia, spaventosa, terribile, d’una forza straordinaria, con grandi denti di ferro; divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava: era diversa da tutte le altre bestie e aveva dieci corna.

8Stavo osservando queste corna, quand’ecco spuntare in mezzo a quelle un altro corno più piccolo, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte: vidi che quel corno aveva occhi simili a quelli di un uomo e una bocca che proferiva parole arroganti. (…) 11Continuai a guardare a causa delle parole arroganti che quel corno proferiva, e vidi che la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare nel fuoco. 12Alle altre bestie fu tolto il potere e la durata della loro vita fu fissata al termine stabilito”.

 

Daniele, come l’apostolo Giovanni, nonostante lo Spirito che lo pervadeva e la sua capacità direi unica di comprendere sogni e visioni, nella sua condizione di uomo impuro e limitato per natura non sarebbe mai riuscito ad estrarre il senso di ciò che vedeva, per cui chiede “ad uno dei vicini”nella visione la spiegazione dell’evento di cui era stato chiamato ad essere testimone:

 

15Io, Daniele, mi sentii agitato nell’animo, tanto le visioni della mia mente mi avevano turbato; 16mi accostai a uno dei vicini e gli domandai il vero significato di tutte queste cose ed egli mi diede questa spiegazione: «Le quattro grandi bestie rappresentano quattro re, che sorgeranno dalla terra, 18ma i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, in eterno»”.

 

Altro, su queste quattro bestie, non viene rivelato perché l’attenzione di chi parla a Daniele si sposta subito dopo sulla quarta, ma il linguaggio simbolico utilizzato nella Scrittura dai Profeti ci consente comunque delle applicazioni importanti: sappiamo che la “bestia”è un sistema, politico e militare, che in quanto “bestia”, cioè animale, vive per natura senza relazionarsi con Dio o, se preferiamo, come se Lui non esistesse; la bestia segue i suoi istinti e in particolare quelle citate, il leone, l’orso e il leopardo, vivono e sopravvivono cacciando e distruggendo. L’orso, in particolare, onnivoro, non teme lo scontro con animali predatori carnivori e importanti, potendo competere da solo anche con branchi di lupi e grandi felini.

Al verso 2 abbiamo i “quattro venti del cielo”, “del”e non “dal”, quindi quelle forze naturali che soffiano dai quattro punti cardinali sul “mare”, figura dei popoli dell’area del “Mar Grande”, ingrossandone chiaramente le onde, quindi si allude alla forza e al disordine al tempo stesso.

La prima bestia è un “leone”quanto a potenza, ma ha “ali d’aquila”a simboleggiare il territorio che è in grado di coprire col suo volo così come la velocità degli spostamenti e con la quale agisce. È collegabile all’impero dei Caldei, quindi a Babilonia, che abitarono la parte meridionale della Mesopotamia ed operarono tra il 721 e il 539 a.C. Questo accostamento è rilevabile confrontando la descrizione del leone che dà la Scrittura, fiero, che una volta accovacciato nessuno è in grado di rialzarlo, che così resta fino a quando “non abbia divorato la preda e bevuto il sangue degli uccisi”(Numeri 23.24) e anche le parole dello stesso Daniele a Nabucodonosor in 2.37,38 confermano questa interpretazione: “Tu, o re, sei il re dei re; a te il Dio del cielo ha concesso il regno, la potenza, la forza e la gloria. Dovunque si trovino i figli dell’uomo, animali selvatici e uccelli del cielo, egli li ha dati nelle tue mani; tu li domini tutti: tu sei la testa d’oro”.

È interessante notare come Isaia descrive il popolo caldeo: “Egli– il Signore nel suo sdegno – alzerà un segnale a una nazione lontana e farà un fischio all’estremità della terra; ed ecco, essa verrà veloce e leggera. Nessuno fra loro è stanco o inciampa, nessuno sonnecchia o dorme, non si scioglie la cintura dei suoi fianchi e non si slaccia il legaccio dei suoi sandali. Le sue frecce sono acuminate, e ben tesi tutti i suoi archi; gli zoccoli dei suoi cavalli sono come pietre e le ruote dei suoi carri come un turbine, il suo ruggito è come quello di una leonessa, ruggisce come un leoncello; freme e afferra la preda, la pone al sicuro, nessuno gliela stralla. Fremerà su di lui in quel giorno come freme il mare; si guarderà la terra: ecco, saranno tenebre, angoscia, e la luce sarà oscurata dalla caligine”(5.26-30).

Così infine Geremia 4.7: “Il leone è balzato dalla sua boscaglia, il distruttore di nazioni si è messo in marcia, è uscito dalla sua dimora, per ridurre la tua terra a una desolazione: le tue città saranno distrutte, non vi rimarranno abitanti”.

Un richiamo alle “ali d’aquila”a proposito della velocità lo rileviamo al verso 13 quando i Caldei sono paragonati a uno che “sale come le nubi e come un turbine sono i suoi carri, i suoi cavalli sono più veloci delle aquile”.

Ora a questa bestia vengono “tolte le ali, e fu sollevata da terra e fatta stare su due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d’uomo”, cioè, per dirla in parole povere, viene ridotta all’impotenza: tutta la sua invincibilità e forza vengono meno e ciò avvenne quando i Caldei furono conquistati dai persiani nel 539 a.C.

 

La seconda bestia è l’orso. Anche l’imminenza di questo impero fu anticipato da Daniele a Nabucodonosor quando ne interpretò il sogno – “Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo”(2.39) –; l’orso, per la Scrittura, è un animale rozzo, potente e tetro. E infatti i persiani tali erano e furono rispetto ai Caldei. Questa bestia sta “alzata da un lato”perché si alza in un certo senso da un lato del mondo allora conosciuto, cioè dal Levante. Il regno di Persia è raffigurato anche da un “montone che cozzava verso l’occidente, il settentrione e il mezzogiorno e nessuna bestia gli poteva resistere, né alcuno era in grado di liberare dal suo potere: faceva quello che gli pareva e divenne grande”(Daniele 8.4). E sarà qui che questo orso, la bestia che sta “alzata da un lato”, potrà operare.

Essa ha “tre costole in bocca, fra i suoi denti”ad accentuare il carattere famelico, predatore. L’immagine che danno queste ossa sono molto più incisive rispetto ad altre che potrebbero venire citate perché fanno riferimento al torso, sede di tutti gli organi vitali di un corpo. Questo è l’unico animale al quale viene detto “Su, divora molta carne”a significare che agì per ordine di Dio nel senso che gli fu concesso di operare senza porre ostacoli ai suoi piani.

Isaia dà un riferimento a questo popolo con le parole “Come i turbini che si scatenano nel Negheb, così egli viene dal deserto, da una terra orribile. Una visione tremenda mi fu mostrata: il saccheggiatore che saccheggia, il distruttore che distrugge”(21.2).

Dell’orso Daniele non rivela la fine e la sua durata fu di duecento anni circa, fino a quando non terminò per opera di Alessandro Magno, identificato quanto a impero nella terza bestia, il leopardo, altro predatore che si caratterizza rispetto agli altri per la rapidità, velocità degli attacchi. E così si sviluppò il suo impero. Vediamo che questo leopardo ha sul suo dorso “quattro ali d’uccello”, quindi non di aquila come la prima: se l’aquila è potente, raggiunge grandi altezze e cade sulla preda, l’uccello suggerisce una velocità e una strategia diversa: non ci viene detto il tipo, per cui non sappiamo se si tratta di un migratore che percorre enormi distanze o un altro che, molto rapido, si sposta da un luogo a un altro. Credo che le quattro ali, numero che suggerisce la perfezione della natura, siano un accrescitivo della capacità del leopardo.

Infine abbiamo “quattro teste e le fu dato potere”e infatti, dopo la morte di Alessandro nel 323, il suo regno fu diviso in quattro satrapie. A parte i testi di storia che possono essere consultati per tutti gli imperi fin qui citati, riporto 1 Maccabei 1.1-10 che costituisce al tempo stesso la fine di questa prima parte e l’inizio della seconda, quando affronteremo la quarta bestia.

“Queste cose avvennero dopo che Alessandro il Macedone, figlio di Filippo, uscito dalla regione dei Chittìm, sconfisse Dario, re dei Persiani e dei Medi, e regnò al suo posto cominciando dalla Grecia. Egli intraprese molte guerre, si impadronì di fortezze e uccise i re della terra; arrivò ai confini della terra e raccolse le spoglie di molti popoli. La terra ammutolì davanti a lui; ma egli si esaltò e il suo cuore montò in superbia. Radunò forze ingenti e conquistò regioni, popoli e prìncipi, che divennero suoi tributari. Dopo questo cadde ammalato e comprese che stava per morire. Allora chiamò i suoi ufficiali più illustri, che erano stati educati con lui fin dalla giovinezza, e divise tra loro il suo regno mentre era ancora vivo. Alessandro dunque aveva regnato dodici anni quando morì. I suoi ufficiali assunsero il potere, ognuno nella sua regione; dopo la sua morte cinsero tutti il diadema e, dopo di loro, i loro figli per molti anni, moltiplicando i mali sulla terra. Uscì da loro una radice perversa, Antioco Epifane, figlio de re Antioco, che era stato ostaggio a Roma, e cominciò a regnare nell’anno centotrentasette del regno dei Greci”.

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