12.18 – ABRAMO PER PADRE I/IV (Giovanni 8.39-41)

12.18 – Abramo per padre 1 (Giovanni 8.39-41)

39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!».

Credo che, per capire questi versi, sia necessario raccordarci a quelli precedenti, affrontati nello scorso capitolo, e vari approfondimenti. Ricordiamo il testo già esaminato da 31 a 38: “Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abrahamo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire «Diventerete liberi»?. Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abrahamo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro”.

A proposito del nome di Abrahamo, si noti che lo riporto con la “h” intermedia anziché, come in molte versioni moderne, senza di essa. Queste distinguono fra “Abram”e “Abramo”a seconda del momento storico in cui si parla di lui. Questa versione però, pur agevole a leggersi, non è corretta perché non riproduce il testo quando Iddio stesso cambiò nome da “Abramo”, cioè “Padre grande”, in “Abrahamo”, “Padre di una moltitudine” (Genesi 17.4,5): “Quanto a me ecco, la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni. Non ti chiamerai più Abramo, ma ti chiamerai Abrahamo, perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò”.

Ora quando si parla di lui viene sempre alla mente la sua fede, i passi del Nuovo Testamento che lo nominano, il sacrificio di Isacco e le promesse che ebbe da Dio e questo, di per sé, è sufficiente per capire le parole di Gesù “Se foste figli di Abrahamo, fareste le opere di Abrahamo”, ma vale la pena di allargare un poco il discorso su di lui, perché la sua storia non si limitò a questi episodi, ma implica molto altro.

Di Abramo abbiamo la genealogia in Genesi 11.10-26 dalla quale risulta essere discendente di Sem, primogenito di Noè, cui fu riservata la benedizione “Benedetto sia il Signore, il Dio di Sem, e sia Canaan suo servo”(9.26), quindi apparteneva alla stirpe di coloro che avrebbero ereditato le promesse di assistenza e doni da parte di YHWH. Di Jafet è detto che avrebbe abitato “nei tabernacoli di Sem”,promessa quindi di una esperienza futura con Dio. Abramo, nella genealogia citata, occupa il decimo posto, il numero della completezza e dell’azione; da lui infatti si può dire che parta una storia nuova, quella che porterà in breve tempo, biblicamente parlando, alle dodici tribù di Israele e da lì a tutta l’attuazione del piano di salvezza attraverso i secoli, prima e dopo Cristo.

Abramo viveva la propria quotidianità ad Ur dei Caldei anche se poi la sua famiglia si stabilì ad Haran (detta anche Carran, o Carre), nell’odierna Turchia, città religiosamente importante perché in lei si praticava più che in altre il culto al dio della Luna, presente anche in Ur e Babilonia. Interessante è il fatto il fatto che gli dèi là venerati fossero tre, Sin come primo, seguito da Shamash e Istar.

Ebbene, a parte la singolarità del numero degli dèi presenti a Carran, le due città in cui Abramo visse il primo periodo della sua vita ci parlano di un’esistenza pesantemente condizionata dall’idolatria altrui che probabilmente lo coinvolse come avvenuto ad esempio per i suoi parenti, di cui è detto che avevano delle statuette che evidentemente veneravano: emblematico in proposito è l’episodio in cui Rachele ruba gli idoli di famiglia appartenenti al di lei padre Labano, provocandogli una reazione caratterizzata da una ricerca angosciata e ossessiva per ritrovarli (Genesi 31.19,34,35).

Fu a Caran, quindi in mezzo ai pagani, che Abramo ascoltò per la prima volta la voce di Dio, che evidentemente seppe riconoscere fra le tante che ascoltava dentro e attorno a sé: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”(12.1-3).

Abramo quindi sentì una voce che riconobbe diversa da quella dei suoi pensieri, si pose in ascolto e mise in pratica, certo non senza fatica, le parole che aveva udito: “Allora Abramo partì come il Signore gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Haran”(12.5). Solo successivamente quest’uomo fu beneficiario non più di un semplice messaggio, ma di un’apparizione: “Allora il Signore apparve ad Abramo– non ci è detto in che modo, ma sono convinto in forma umana come vedremo – e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza»”(v.7). Si trattò quindi di una chiamata inequivocabile, importante a tal punto che fu proprio da quell’episodio che Stefano, a distanza di circa duemila anni, iniziò la sua testimonianza (Atti 7.2). Il tutto avvenne senza che Abramo lo volesse nel senso che sapeva che certamente esisteva un Creatore, ma lo conosceva attraverso le tradizioni della sua gente, inquinate dal paganesimo. Le parole a lui rivolte, poi, ci parlano del fatto che per seguire e servire Dio bisogna “andarsene”dalla propria gente, uscire dall’ambiente inquinato, contaminante che la caratterizza; per farlo ci vuole però una chiamata, quindi un’esperienza individuale e precisa, oltre a un’accettazione incondizionata delle Sue parole altrimenti il cammino sarà solo a metà, in bilico, privo di un’identità chiara per quanto con buone intenzioni. E Abramo, per ubbidire all’ordine di Dio, fece un viaggio di più di 800 km. da Carran a Canaan che, a quel tempo, dovette essere fortemente impegnativo.

 

Altro episodio saliente lo abbiamo in Egitto quando, temendo di venire ucciso a causa della bellezza della di lui moglie Sarai, le ordinò di dire che fosse sua sorella (12.11-13), mezza verità perché lei, come dirà lui stesso ad Abimelek re di Gerar, “…è veramente mia sorella, figlia di mio padre, ma non figlia di mia madre, ed è poi divenuta mia moglie”(20.12). Si tratta di due episodi simili, ma la loro lettura (che si consiglia per meglio capire queste note) differisce in particolari non di poco conto: il faraone egiziano, il cui termine significa “difensore” o “liberatore” fu colpito da Dio con piaghe, mentre ad Abimelek andò a parlare e impedì che fosse commesso un peccato. Infatti “Dio venne da Abimelek in un sogno di notte, e gli disse: «Ecco, tu stai per morire a motivo della donna che hai preso, perché ella è sposata»”(20.3). Riflettendo sui due episodi e sul diverso trattamento ricevuto dai due uomini, vediamo che il faraone si caratterizzava con presunzione e arroganza anche nel nome, ma ad Abimelek Iddio riconobbe un cuore integro: “Sì, lo so che hai fatto questo nell’integrità del tuo cuore e ti ho quindi impedito dal peccare contro di me: per questo non ti ho permesso di toccarla”(20.6).

 

Altro avvenimento nella vita di Abramo è riportato al capitolo 14 in cui abbiamo la liberazione di Lot, catturato a Sodoma da “Chedorlaomèr e dagli altri re che erano con lui”: è dopo la sua liberazione che abbiamo l’incontro con un personaggio particolarissimo, “Melchisedec re di Salem”(Gerusalemme) in cui va riconosciuta la presenza del Figlio di Dio secondo le parole di Paolo in Ebrei 7.1-4: “Questo Melchisedec, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dall’aver sconfitto i re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa. Anzitutto il suo nome significa «re di giustizia»; poi è anche re di Salem, cioè «re di pace». Egli, senza padre– umano – senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre. Considerate dunque quanto sia grande costui, al quale Abramo, il patriarca, diede la decima del suo bottino”.

L’incontro fra Abramo e Melchisedec fu quello fra due mondi, furono due dispensazioni che si incrociarono per un attimo con una portata immensa vista nell’offerta di “pane e vino”, cioè senza un sacrificio espiatorio! Da un lato fu data a Lui “la decima di tutto”, ma Abramo rifiutò di ricevere dal re di Sodoma qualunque cosa, per non contaminarsi, dicendo “Alzo la mano davanti al Signore, il Dio altissimo– giuramento – creatore del cielo e della terra: né un filo né un legaccio di sandalo, niente io prenderò di ciò che è tuo; non potrai dire: io ho arricchito Abramo. Per me niente, se non quello che i servi hanno mangiato”(14.22-24). Fu dopo questo che “La parola del Signore fu rivolta ad Abramo, in visione, con questi termini: «Non temere, Abramo, io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande»”(15,1).

In queste parole risiede tutta la realtà della vita di quest’uomo, che sperimentò come Noè prima di lui, sotto l’aspetto del venire custodito, cosa significasse accettare di essere uno strumento nelle mani di Dio; ricordiamo Salmo 3.4 “Ma sei il mio scudo, Signore, sei la mia gloria e tieni alta la mia testa”, 5.13 “Tu benedici il giusto, Signore, come scudo lo circondi di benevolenza”, 84.12 “Perché sole e scudo è il Signore Dio; il Signore concede grazia e gloria, non rifiuta il bene a chi cammina nell’integrità”, 91.4 “Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio, la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza”, 119.114 “Tu sei mio rifugio e mio scudo: spero nella tua parola”.

Possiamo concludere questa prima panoramica su Abramo con quanto avvenne poco dopo, quando ricevette la promessa di una discendenza in 15.3-6: “«Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza»”. Infine, l’autore della Genesi chiude l’episodio con una nota a noi famigliare: “Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia”.

Già da questi dati raccolti, tornando ai versi oggetto di considerazione in Giovanni, vediamo quanto fossero distanti quei Giudei che proclamavano di avere “Abramo per padre”: non solo non avevano nessuna delle sue caratteristiche né di cuore, né di fede, ma non erano neppure in grado di ascoltare, valutare, considerare altro se non ciò che proveniva dal loro cuore indurito. Per questo Gesù disse loro “Voi fate le opere del padre vostro”, ben diverso dal Suo, da identificare nel “principe di questo mondo”. Amen.

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