16.17 – La parabola dei contadini omicidi II/II (Matteo 21. 28-32)
40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». 42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi? 43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. 44Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato». 45Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. 46Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.
Terminata la parabola, viene il momento di tirarne le somme. Qui non si tratta più di parlare “…perché guardando non comprendono, udendo non ascoltano e non comprendono”, ma di maieutica, cioè far sì che una persona dotata di pensiero giunga da sola alla soluzione di un problema, o argomento che non comprende. Così, anziché dire “guarda che sbagli” spiegandone il motivo, ecco che esponendo un episodio simbolico adatto alla realtà di uno o più individui, questi trovano da sé la soluzione, o giungono comunque a un punto fermo. È quanto fece, ad esempio, il profeta Natan con Davide per fargli comprendere il peccato commesso nei confronti di Dio, quando commise adulterio con la moglie di Uria e poi creò le situazioni affinché venisse ucciso (2 Samuele 12).
L’uomo nella carne ha sempre un concetto di sé molto elevato: sembra che solo lui sappia, sia nel giusto, vede le colpe solo negli altri, li giudica e non si accorge che commette esattamente gli stessi errori, se non peggio. Un proverbio latino dice che il creatore ha messo addosso ad ogni uomo due borse, una davanti e una dietro e tutti vedono quella degli altri. E le persone interrogate da Gesù rispondono correttamente, andando addirittura oltre, alle conseguenze che vanno al di là del concetto di castigo (“li farà morire miseramente”), ma anche ai provvedimenti successivi, “darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo”, anticipando cioè il loro destino.
Credo che se l’uomo, quindi anche noi come credenti, non si pone nella posizione dell’osservatore distaccato di se stesso e non si valuta continuamente, rischia non di fare la fine dei personaggi cui Nostro Signore si rivolge, ma di chi pensa a giudicare gli altri ritenendosi immune da errori. Lo dice anche l’apostolo Paolo in un passo che dovremmo conoscere: “Perciò chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l’altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose” (Romani 2.1). Più incisivo ancora 2.3: “Tu che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio?”.
La domanda “Quando verrà dunque il padrone della vigna, cosa farà a quei contadini?”, personalmente, mi fa tremare perché penso all’assurda speranza di quelle persone di restare impunite, anzi, di aver vinto sul padrone che “verrà”. Non si sa quando, ma comparirà nel momento in cui meno se le aspetteranno e allora tutti i progetti, l’eterno presente in cui quelle persone avranno vissuto, finirà in modo terribile. Proprio su questo tema l’autore della lettera agli Ebrei scrive “Quando qualcuno ha violato la Legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza, dal quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia?” (10. 22,23).
Se penso al “peggior castigo”, va da sé che questo vada ad aggravare ancora di più quanto già anticipato da Dio in caso di disubbidienza sistematica, di rifiuto al Suo ascolto, per cui possiamo trarre le nostre conclusioni: “Se non mi darete ascolto, se non metterete in pratica tutti questi comandi, se disprezzerete le mie leggi e rigetterete le mie prescrizioni, non mettendo in pratica tutti i miei comandi e infrangendo la mia alleanza, ecco come vi tratterò: manderò contro di voi il terrore, la consunzione e la febbre, che vi faranno languire gli occhi e vi consumeranno la vita. Seminerete invano le vostre sementi: le mangeranno i vostri nemici. Volgerò il mio volto contro di voi e sarete sconfitti dai nemici; quelli che vi odiano vi opprimeranno e vi darete alla fuga, senza che alcuno vi insegua” (Levitico 26. 14-16). Sono sette conseguenze, quindi la totalità del dolore, fisico e morale, aggravato dal fatto che verrà improvviso a distruggere ogni speranza presente, e chiaramente futura. E può essere chiuso l’argomento con Daniele 9.26 che profetizza l’evento quando “Dopo sessantadue settimane, un consacrato sarà soppresso senza colpa in lui. Il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine sarà un’inondazione e guerra e desolazioni sono decretate fino all’ultimo”.
Ma veniamo alle parole degli avversari di Gesù, quando dopo aver parlato della morte dei contadini, dicono “darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo”: naturalmente è immediato il collegamento alle parole “Il regno di Dio vi sarà tolto” del verso 43, ma quello di cui non si parla sono le conseguenze, che ci pensa Isaia a ricordare. In 65. 13,14 leggiamo “Ecco, i miei servi mangeranno e voi avrete fame; ecco, i miei servi berranno e voi avrete sete; ecco, i miei servi gioiranno e voi resterete delusi; ecco, i miei servi giubileranno per la gioia del cuore, voi griderete per il dolore del cuore, urlerete per lo spirito affranto”.
Vedo molta atrocità in questo perché si tratta di sofferenze che non porteranno da nessuna parte perché non si tratterà di un dolore necessario per transitare da una condizione ad un’altra, come l’avere una malattia che poi si risolve, ma di un giudizio definitivo, di uno stato stabile che non risolve nel grido e nell’urlo, ma trova in questi ultimi la sua espressione. Infatti, nella visione della salvezza universale, il Signore Dio dice “Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme – cioè il loro tormento interiore – non morirà, il loro fuoco – quello che dovrebbe bruciare i cadaveri – non si spegnerà e saranno un abominio per tutti” (66.24).
Proseguendo, nel “gli consegneranno i frutti a suo tempo” vediamo la descrizione, finalmente, di un rapporto rispettoso e consolidato, dove ciascuno fa ciò che deve, in obbedienza al contratto stipulato, nel quale è chiaro vedere la Nuova Alleanza e i suoi appartenenti.
Ora però, se confrontiamo tra loro i racconti dei sinottici, incontriamo un problema nel senso che Marco e Luca attribuiscono a Gesù la risposta alla domanda su cosa sarebbe accaduto: “Verrà, e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri” (Marco 12.9), Luca addirittura aggiunge, dopo la stessa frase, “Udito questo, dissero: «Così non sia!». Allora Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse…” (20.16). Occorre chiedersene la ragione, perché stravolgerebbe in parte il senso di quanto abbiamo finora estratto. Soprattutto Luca, facendo dire ai farisei e capi sacerdoti “Così non sia!”, ribalta l’ipotesi fatta secondo la quale quei personaggi avessero in un certo senso profetizzato inconsapevolmente sul loro destino. Alcuni commentatori hanno ipotizzato che quel “dissero” sia riferito agli uditori esterni, ma credo sia una teoria che non regga.
Penso piuttosto che, dato che la Scrittura non può contraddire sé stessa, se molto spesso gli evangelisti pongono l’accento su situazioni diverse all’interno degli stessi episodi, Matteo abbia voluto riferire l’accaduto dal punto di vista dell’ebraismo, descrivendo l’evento come effettivamente andò, mentre Marco e Luca riportino le parole di quella parte degli oppositori che non avevano capito il senso delle parole di Gesù. Tutti e tre gli evangelisti, quando scrivono “dissero”, non possono alludere a una risposta corale in cui tutti pronunciano le stesse parole all’unisono – il che sarebbe ridicolo – per cui, alla fine della parabola, sorse un mormorio discorde e i sinottici inserirono le varie risposte e le frasi di tutti, ciascuno appropriandosene in base a quanto voleva sottolineare, altrimenti avrebbero dovuto dare una descrizione univoca, cosa che raramente avviene. Ad esempio, può essere che la sorte dei contadini sia stata anticipata da qualcuno degli interpellati, altri l’abbiano rifiutata (“Così non sia!”) e Gesù l’abbia dovuta ribadire. Non lo sappiamo, ma personalmente non vedo contraddizioni fra le tre cronache, se viste sotto questo aspetto.
Non per nulla è diverso anche il dopo perché Matteo fa spiegare a Gesù il significato della pietra scartata dai costruttori, Luca lascia intuire che i suoi avversari compresero che parlava di loro, Marco e Matteo lo scrivono esplicitamente: “Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano infatti capito che aveva detto quella parabola contro di loro”. Anche qui vediamo la lettura a senso unico di quelle persone, perché più che “contro” era “per”. Ma chi è avverso a priori, non può né vuole sentire ragioni, conta quello che pensa lui e non si pone il problema se sia giusto o sbagliato.
Gesù presenta a questo punto ai Suoi avversari un verso molto importante, appartenente al Salmo 118 (v. 22 e 23, “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore, una meraviglia ai nostri occhi”), ritenuto profetico sul Messia dai rabbini (v.26, “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”) e quindi anche da quella delegazione che si era a Lui presentata. La “pietra” è il Signore Gesù stesso, “Figlio dell’Iddio vivente” come dichiararono l’apostolo Pietro e Marta sorella di Lazzaro, verità assolutamente contestata dai capi del popolo che la scartarono, verbo greco “apodokimàzo” che allude non al semplice eliminare, ma ad uno “scartare dopo attento esame”. I Giudei dunque, sia “condadini” che “costruttori”, respinsero quella pietra, ma divenne poi quella angolare, cioè che tiene unite due mura sopportando il peso della costruzione e tenendo in piedi la casa. È la prima pietra che viene posata, ma può essere anche identificata come la “chiave di volta”, quella che la costruzione la completa e qui possiamo avere il riferimento a Cristo come “primo e ultimo, Alfa e Oméga”.
A questo punto arriviamo alle conclusioni di Gesù: al di là di tutti i riferimenti, peraltro corretti, che sono stati presentati, con la frase “Il regno di Dio vi sarà tolto” viene decretata la fine dell’egemonia di Israele come Suo popolo. Citando il “regno di Dio” nostro Signore non parla del Suo, ma di quello del Padre, di YHWH, quindi decreta la fine dei privilegi spirituali e temporali di Israele, ma al tempo stesso, parlando di “popolo che ne produca i frutti”, non parla dei gentili, ma di “éthnos”, cioè una società spirituale composta sia da ebrei che da gentili credenti, veri eredi delle promesse contenute nel patto di Dio con Abramo.
Infatti: “Non c’è Giudeo né Greco, non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abrahamo, eredi secondo la promessa” (Galati 3. 28,29). Anche Efesi 2. 19,20 “Così voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione in Dio per mezzo dello Spirito”.
Concludendo resta il verso 24, “Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà, e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato”: è un richiamo assoluto a Isaia 8.13-15 in cui è rivelato che proprio il Signore Dio, a parole amato e osservato, sarà causa di vita o di morte. Abbiamo infatti: “Il Signore degli eserciti, lui solo ritenete santo. Egli sia l’oggetto del vostro timore, della vostra paura. Egli sarà insidia e pietra di ostacolo e scoglio d’inciampo per le due case di Israele – Giuda e le dieci tribù –, laccio e trabocchetto per gli abitanti di Gerusalemme. Tra di loro molti inciamperanno, cadranno e si sfracelleranno, saranno presi e catturati”.
Quindi scartare quella pietra porterà delle conseguenze proprio perché non sarà stata ritenuta inidonea così, per partito preso, per superficialità, ma come abbiamo visto dopo attento esame. Una pietra d’angolo senza la quale nessuna costruzione può sussistere. Non la nostra, non la Chiesa. Amen.
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