18.21 – I SADDUCEI E LA RISURREZIONE (Luca 20.27-39)

16.21 – I sadducei e la risurrezione (Luca 20. 27-39)

 

27Gli si avvicinarono alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». 39Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». 40E non osavano più rivolgergli alcuna domanda. 

 

L’intervento dei Sadducei su Gesù fu il terzo che i Suoi oppositori gli fecero nel martedì della passione: usciti di scena i capi dei sacerdoti con gli scribi, subentrarono gli erodiani con i discepoli dei farisei e quindi intervennero costoro, che nel campo delle varie fazioni giudaiche costituivano un caso a parte sotto molti aspetti, compreso quello della mancanza di scritti loro attribuibili. Da alcuni testi del Nuovo Testamento sappiamo che alcuni sadducei si recarono a vedere Giovanni Battista che battezzava e li chiamò “Razza di vipere” (Matteo 3.7), che si avvicinarono a Gesù per chiedergli “un segno dal cielo” (16.1), che parlò del “lievito dei farisei e dei sadducei”, che non credevano nella risurrezione, che la loro era una corrente che faceva parte del Sinedrio che giudicò gli apostoli Pietro e Giovanni (Atti 4.1; 5.17) e intervennero in una disputa con l’apostolo Paolo che “Sapendo che un parte era di sadducei e una parte di farisei, disse a gran voce nel sinedrio: «Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella resurrezione dei morti». Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa fra farisei e sadducei e l’assemblea si divise. I sadducei infatti affermano che non c’è risurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei invece proclamano tutte queste cose”.

A parte questi dati, il resto è incerto perché sulla loro origine esistono solo teorie tramandate; fatto sta che si caratterizzavano per l’assoluto rifiuto della legge orale farisaica, pretendevano di attenersi alla sola Legge di Mosè, negavano l’esistenza del destino e la prescienza divina con l’uomo che, in grado di scegliere fra bene e male, poteva attirare su di sé il benessere o la sventura. Negavano anche l’esistenza di premi o punizioni nell’Ade e la persistenza dell’anima dopo la morte del corpo. I sommi sacerdoti Anna e Caiafa erano fra questi.

I Sadducei, per quanto in pochi, erano influenti perché erano persone fra le più ricche del popolo e d’alto rango e, come i farisei, erano un partito non solo religioso, ma politico, per quanto non amati dal popolo a differenza dei primi, che ostacolavano tutto ciò che non apparteneva alla tradizione giudaica. Con la catastrofe del 70, questi scomparvero dalla storia anche se i capisaldi della loro dottrina sopravvissero come forma di eresia e purtroppo attecchirono nelle Comunità cristiane.

Ad esempio l’apostolo Paolo sarà costretto a combattere contro coloro che, nella Chiesa di Corinto, negavano la resurrezione: “Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è resurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota è allora la nostra predicazione, vuota anche la nostra fede. (…) Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perditi. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini”. (1°, 15.12-19)

Il modo con cui i sadducei si rivolgono a Gesù e il caso che espongono, del tutto ipotetico, riflette lo stile delle discussioni accademiche che si svolgevano nelle varie scuole religiose: in questo caso si prende spunto dalla Legge sul levirato di Deuteronomio 25.5,6 che proteggeva la discendenza, “Quando i fratelli abiteranno insieme – cioè non si saranno ancora divisi in famiglie – e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà con uno di fuori, con un estraneo. Suo cognato si unirà a lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere di cognato. Il primogenito che ella metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto perché il nome di questi non si estingua in Israele”.

Ora il fine della Legge era quello di impedire l’estinzione di qualsiasi famiglia di tutte le tribù e la relativa alienazione dei beni che sarebbe avvenuta qualora la donna si fosse maritata con “un estraneo”, chiaramente alla famiglia dello sposo defunto. Da questo principio i sadducei traggono una vicenda che aveva come unico scopo quello di mettere Gesù in difficoltà, essendo secondo loro la questione irrisolvibile.

In realtà sulla resurrezione c’era confusione anche presso i farisei, poiché secondo loro questa assomigliava al ridestarsi da un lungo sonno per cui chi si svegliava riprendeva a compiere le stesse attività che aveva prima di morire.

Quello su cui a mio avviso va posto l’accento è il fatto che i sadducei non avevano senso perché, non credendo nella resurrezione, e quindi di un premio o un castigo dopo la morte, non si capisce quale utilità avesse la loro credenza, al di là di una forma di moda alla quale da sempre l’aristocrazia è sensibile. Eppure ammettevano la Scrittura, rigettando la tradizione orale farisaica. In realtà le opinioni su cosa accettassero e cosa no le opinioni sono discordi, poiché vi è chi sostiene riconoscessero la sola Legge di Mosè e chi invece si limitassero al rifiuto della tradizione orale farisaica. Gesù comunque, rispondendo alla loro tortuosa domanda, cita proprio Mosè quando sentì la voce di Dio che gli si presentò: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abrahamo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”.

Ebbene con questa frase il Signore certamente fornì a Mosè le proprie credenziali e citando i Padri non fece solo un riferimento al passato, ma soprattutto al presente, al fatto che Abrahamo, Isacco e Giacobbe certo erano morti con il corpo, ma erano “viventi” oltre quella porta del sepolcro che si era inevitabilmente chiusa. Da notare poi che YHWH non aveva promesso di essere il loro Dio a termine, cioè fino alla loro morte, ma in eterno, quindi oltre e per sempre.

Dicendo Gesù che “Dio non è dei morti, ma dei viventi, perché tutti vivono per lui”, dà un insegnamento assoluto alla frase di Esodo da Lui citata, ma non solo, anche per relazione a Genesi 17.7 quando disse ad Abramo “Stabilirò la mia alleanza con te e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te”: che senso avrebbe un’alleanza con Dio fino a quando l’essere umano è in vita per il battito cardiaco? Se così fosse, tutte quelle moltitudini di morti avrebbero vissuto invano. L’alleanza “perenne”, se è Dio a dichiararla tale, non può essere incrinata dalla morte o da altri eventi, compreso un Suo ipotetico ripensamento, essendo Lui il Legislatore e non potendo sconfessarsi.

Luca, nel riportare questo episodio, non cita le parole di Gesù rivolte ai sadducei che invece Matteo e Marco inseriscono: “Vi ingannate, perché non conoscete le scritture, né la potenza di Dio” (Matteo 22.29), “Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le scritture, né la potenza di Dio?”. L’errore, quindi, esiste, germina e si diffonde per questi due motivi. E non conoscere la Sua potenza significa vivere con la mancanza di fede come condizione, àmbito, consuetudine.

Non si crede perché esiste un testo, ma perché si sa, si è sperimentato l’amore, l’assistenza e si è creduto nella potenza di Dio per come tramandata attraverso i secoli. Ogni cristiano, poi, l’ha sperimentata con interventi nella propria vita e non solo con la liberazione dal dominio del peccato e della morte. Tutto quello che troviamo scritto è un deposito di sapere che il Creatore ha rivelato, ad esempio, a Giobbe, vissuto si reputa in un periodo addirittura antecedente a quello di Abramo.

Ebbene Giobbe disse “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro” (19.25-27). Quindi, quell’uomo viveva con uno scopo. Ricordiamo le parole di Davide in Salmo 17. 15, “Ma io nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine”, 48.16 dei figli di Core, 15 “Certo, Dio riscatterà la mia vita, mi strapperà dalla mano degli inferi”.

Isaia 26.19 “Ma di nuovo vivranno i tuoi morti. I miei cadaveri risorgeranno! Svegliatevi ed esultate, voi che giacete nella polvere” e, per finire, chiarissimo a chiusura del discorso, 1 Samuele 2.26, “Il Signore fa morire e fa rivivere, fa scendere nello Scheol e fa risalire”.

Inoltre Gesù spiega molto bene la sorte dei risuscitati, che si troveranno con un corpo diverso, trasformato rispetto a quello che li caratterizzava quando erano nella loro vita terrena: si noti “quelli che sono giudicati degni della vita futura”, quindi non tutti. Il processo di trasformazione alla risurrezione trova un suo significato proprio nelle parole del verso 35 e 36: nella vita futura infatti si diventa “figli della resurrezione” appropriandosi in maniera visibile della qualifica di “figli di Dio” che si aveva già nella carne, ma in modo limitato a causa della debolezza di essa. Figli di Dio e quindi “eredi”, che diventano tali appieno nel momento in cui l’eredità viene loro data.

“Non possono morire” perché è scritto che la morte verrà eliminata per sempre (Isaia 25.8), perché la promessa è “Li strapperò di mano agli inferi, li riscatterò dalla morte? Dov’è, o morte, la tua peste? Dov’è, o inferi, il vostro sterminio?” (Osea 13.14). Del resto, su tutto abbiamo la parola di Gesù a Marta, “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede  in me, non morirà in eterno” (Giovanni 11.25,26).

E proprio l’apostolo Giovanni, per lo Spirito, forse meditando queste parole, ebbe una rivelazione importante che scrisse nella sua prima lettera: “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. (3.2). La compatibilità del corpo spirituale che finalmente potrà vedere Dio e vivere.

L’episodio si chiude con l’apprezzamento di “alcuni scribi”, non tutti, possiamo pensare di quella parte di loro che credeva in Gesù, ma senza palesarlo per timore degli altri; “Maestro, hai parlato bene” può anche costituire un’approvazione generica perché i sadducei erano stati sconfessati pubblicamente e quindi avevano perso, fatto sta che tutti rimasero senza argomenti contro di Lui non solo in merito alla resurrezione, ma non trovarono un tema da sottoporgli che potesse costituire un tranello. Questo, naturalmente, durò poco tempo, perché sappiamo che vi fu la questione del comandamento più grande, sorta da un anonimo Dottore della Legge e la domanda, questa volta da parte di Gesù, sulla relazione fra Gesù figlio di Davide e Signore: lì sì è scritto che “Nessuno era in grado di rispondergli e da quel giorno nessuno osò più interrogarlo” (Matteo 22.46). Resta la tristezza nel constatare che, con tutti gli argomenti che avrebbero potuto sottoporGli per crescere, si misero sempre nella condizione di escogitare questioni che non portassero da nessuna parte. Ma così fa ogni uomo che disprezza la propria vita, nonostante creda di amarla. Amen.

* * * * *

 

Lascia un commento