16.16 – LA PARABOLA DEI CONTADINI OMICIDI I/II (Matteo 21.33-39)

16.16 – La parabola dei contadini omicidi 1 (Matteo 21. 33-39)

 

33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.

Si concludono apparentemente qui gli interventi di Gesù sui capi del sacerdoti, farisei e scribi che lo avevano interrotto mentre insegnava chiedendogli con quale autorità facesse “queste cose”. In realtà, seguiranno la parabola delle nozze e altri avvenimenti. Comunque, dopo averli messi in difficoltà chiedendo loro se il battesimo di Giovanni venisse da Dio o dagli uomini e confessata la loro ignoranza in merito, Gesù espose la parabola dei due figli mettendo in evidenza il fatto che i pubblicani e le prostitute li precedevano nel regno ed ora, dopo quella dei contadini omicidi, conclude con parole che, dette da Lui, avevano la stessa gravità, autorità e valenza della maledizione sul fico: “Io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti” (v.43).

Credo che la parabola di cui ci occuperemo sia fra le più note e immediate del Vangelo: non c’è nessuna difficoltà a trovare l’identità dei contadini, dei servi, del figlio inviato né tantomeno non possiamo avere dei dubbi attorno alla vigna; ecco perché, lavorando su un materiale conosciuto e privo di punti oscuri, possiamo cercare di trovare quel messaggio latente, qualcosa di nuovo che si cela proprio nei testi semplici, in cui la lettura agevole fa sì, a volte, che divenga frettolosa.

Ora il primo personaggio è il proprietario di un terreno che decide di “piantare una vigna”; la cura che pone per la realizzazione del suo progetto denota una persona con una profonda conoscenza dell’arte vitivinicola, che richiede studio e applicazione: la tipologia di terreno influenza quella di coltivazione, la disposizione delle piantine messe a dimora, come farle crescere, la gestione degli spazi tra i filari e molti altri interventi. Altra caratteristica del proprietario è che non ha lasciato nulla di intentato perché il terreno producesse al meglio delle sue possibilità: prima “la circondò con una siepe” per proteggerla dagli animali, poi “scavò una buca per il torchio” perché in quei territori per pigiare si usava scavare una buca nel sasso, e quindi “costruì una torre” che serviva sia per vigilare e custodire il raccolto. In altri termini, organizzò quel terreno in modo tale che fosse indipendente, funzionale e produttivo.

Il Signore Dio fece lo stesso con Eden, circondandolo con quattro fiumi, ponendovi l’uomo e l’albero della vita, e poi, quando maturarono i tempi, liberando il Suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto per trapiantalo nella terra promessa. Ricordiamo che, se fosse stato fedele, Israele non avrebbe certo impiegato quarant’anni per attraversare il deserto e neppure, una volta arrivato nel paese di Canaan, avrebbe conosciuto pesanti sconfitte e la deportazione a Babilonia, per non parlare delle altre.

Primo ampliamento in proposito è che Gesù presenta una realtà che, tanto ai colti quanto ai semplici del popolo, non poteva sfuggire perché era evidente che si richiamava ad Isaia 5. 1-7 che riporta: “Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo di aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici tra me e la vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi”.

Da questo passo vediamo tutta la sollecitudine di Dio che fa quanto in suo potere perché il popolo da Lui scelto, possa dare frutti secondo le Sue aspettative. È Lui a dissodare e sgombrare dai sassi il terreno, Lui a piantare, a far sì che, circondato dalle Sue attenzioni e protetto, potesse prosperare amandolo e osservando i Suoi statuti e leggi.

È ciò che troviamo anche in Salmo 80.9-14, non privo di considerazioni amare e profondi intrecci col passo precedente: “Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai trapiantata. Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici ed essa ha riempito la terra. La sua ombra copriva le montagne e i suoi rami i cedri più alti. Ha esteso i suoi tralci fino al mare, arrivavano al fiume i suoi germogli. Perché hai aperto brecce nella sua cinta e ne fa vendemmia ogni passante? La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna”.

Gesù, quindi, proponendo la parabola dei lavoratori della vigna in quel modo, pone il Suo uditorio nella condizione di far riferimento ai contesti offerti da Isaia e da Asaf, levita e cantore di Davide, che già avevano messo in risalto gli effetti dei giudizi di Dio nei confronti del loro popolo. Non dando i frutti sperati, quella vigna fu trattata come il fico seccato che abbiamo visto di recente nel senso che subì gli effetti della riprovazione del suo Creatore e Progettista.

Abbiamo poi un fatto apparentemente anomalo, ma in uso ai tempi di Gesù e cioè il dare il possedimento in affitto a dei contadini: in pratica, se il proprietario aveva degli impegni, lo dava a dei lavoranti che si impegnavano a coltivarlo per poi pagare l’affitto in natura, ricevendo percentuale sul raccolto. Infatti, quell’uomo “se ne andò in viaggio”, altra espressione frequente in diverse parabole per indicare l’assenza del padrone che delega ai suoi servi l’andamento della casa o il far fruttare delle monete che affida loro. Una persona di questo tipo, ricca e in quanto tale potente, non dà mai indicazioni sul suo ritorno perché in quanto padrone non era tenuto a farlo. Infatti “…non sapete quando è il momento. È come un uomo che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!” (Marco 13.33-37).

Queste ultime parole, che si adattano alla Chiesa, contengono comunque il tema comune del rendiconto e della necessità di non farsi trovare impreparati o addormentati, il che per noi può avvenire o con la morte, o con il Ritorno di Gesù, ma per i contemporanei di Nostro Signore si sarebbe dovuto verificare con il Suo riconoscimento attivo come Figlio di Dio ora finalmente rivelato, come il “Dio con noi”, quel “un bambino è nato per noi, un figlio di è stato dato” (Isaia 9.5) e, quindi, il dare a lui la parte del ricavato della vigna presentandogli un popolo preparato a riceverlo. Al contrario, quelli che allora avrebbero dovuto essere i pastori di Israele, fecero di tutto per tenere Gesù lontano da lui.

Nel caso di Israele, però, il tema dell’esazione di un raccolto è frequente perché, tutte le volte che Dio si aspettava un risultato tanto in fede quanto in opere, questo veniva a mancare e di qui il suscitare dei profeti perché andassero dai conduttori del popolo per rimproverarli e indicar loro la via per ristabilire il corretto rapporto con Lui. Ecco perché abbiamo letto che Dio chiede cos’altro avrebbe potuto fare perché la vigna prosperasse. Ora, per quanto riguarda i profeti, non dobbiamo pensare solo agli autori dei libri che portano il loro nome, ma anche a tutti quelli che furono uccisi proprio da coloro che, in quanto re e per relazione contadini nella vigna di Dio, avrebbero dovuto dare, figurativamente, quella parte del raccolto pattuita.

“Quando venne il tempo del raccolto – di cui abbiamo parlato – mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto”: ad esempio Uria, figlio di Semaià, inviato al re Ioiakim, che a fronte dei suoi rimproveri inviò dei suoi uomini fino in Egitto per ucciderlo, facendo poi “gettare il suo cadavere nelle fosse della gente comune” (Geremia 26.23). Geremia stesso fu percosso e gettato in prigione dai capi e rinchiuso “in una cisterna sotterranea a volta e rimase là molti giorni” (37. 15,16); lo stesso profeta, poi, “fu calato in una cisterna di fango dove affondò” (38.6). Anche Zaccaria, lapidato “nel cortile del tempio del Signore” (2 Cronache 24.21).

Parlando degli uomini di Dio dell’Antico Patto, l’autore della lettera agli Ebrei scrive: “Altri, poi, furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore resurrezione. Altri, infine, subirono insulti e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, bisognosi, tribolati, maltrattati (di loro il mondo non era degno), vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra” (11.35-39).

Ebbene questa cronologia, che ripercorre la storia di Israele, riprende esattamente le parole di Gesù nella nostra parabola, quando al verso 36 leggiamo “Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo”. Possiamo dire che Dio mandò i suoi profeti ininterrottamente, diciamo a partire da Mosè e proseguì fino a Giovanni Battista, per quanto vi sia un considerevole periodo di silenzio (400 anni circa) fra lui, ultimo dell’Antico Patto, e Malachia, ultimo libro in tutte le versioni cristiane.

Un forte elemento di riflessione, che poi si riferisce anche all’ultima possibilità che quegli uomini avevano di salvarsi, è quel “Da ultimo, mandò il proprio figlio, dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!”, frase che però troviamo più incisiva in Luca 20.13, “Che cosa devo fare? Manderò mio figlio, l’amato, forse avranno rispetto per lui”. Possono sembrare parole strane messe in bocca a un personaggio che rappresenta l’Iddio Onnisciente, ma se non avesse inviato suo figlio e non fosse stato ascoltato dalle guide del popolo e loro seguaci, non solo non avrebbe potuto salvare nessuno, ma nemmeno condannare. Quel “forse avranno rispetto per lui” doveva purtroppo trovare un rifiuto e un oltraggio ufficiale che si sarebbe concretato solo nel momento della crocifissione. Sarebbe stata poi la risurrezione a trionfare sul peccato, sulla morte, sulla sentenza ingiusta emessa su di Lui, e da lì fino a Satana e all’apertura dei cieli.

A leggere il testo fin qui della parabola, notiamo che c’è un crescendo di interventi del proprietario della vigna per arrivare a una soluzione pacifica coi contadini: prima manda dei servi, poi altri in numero maggiore, infine il proprio figlio, che viene inviato “da ultimo”, come estrema risorsa. E ancora una volta possiamo collegarci alla lettera agli Ebrei: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose mediante il quale ha fatto anche il mondo” (1.1,2).

Questo per noi, ma il “Da ultimo” nella parabola rappresenta il tentativo finale del proprietario della vigna per avere quanto gli spetta, che come significato spirituale identifichiamo nelle anime, nel frutto costituito da un popolo ordinato ed osservante grazie al lavoro di quei contadini che però, come già rilevato, anziché per il proprietario, avevano agito esclusivamente in funzione del loro guadagno.

L’aspettativa espressa dalle parole “Avranno rispetto per mio figlio” esprime le due realtà: i contadini avrebbero dovuto riconoscere chi si presentava a loro e dargli quanto dovuto, i capi del popolo paradossalmente fanno altrettanto e coscientemente, come quei lavoratori, stabiliscono di ucciderlo. “Costui è l’erede”. In questa frase, in questo rapporto fra simbolo e riferimento, tutto lascia supporre che farisei, scribi e capi dei sacerdoti sapessero in realtà che Gesù era quello che diceva di essere. Del resto, furono loro a dire ad Erode il Grande che il Re dei Giudei avrebbe dovuto nascere da Bethlehem di Giuda. Proprio nelle prime riflessioni avevamo visto che tutto era stato organizzato da Dio, proprio come per la vigna, perché chiunque investigasse le scritture e nella vita di Gesù potesse trovare conferme al fatto che Lui fosse l’Emmanuele, così come Giovanni Battista il Suo precursore. Preferirono giustificarsi con un ipocrita “Non lo sappiamo” e identificarsi con i contadini omicidi che “lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna – nel quale come Gesù era entrato – e lo uccisero” parole che, per il tempo in cui furono pronunciate, contengono un’altra profezia della Sua morte, che avvenne appunto fuori da Gerusalemme.

Ricordando le parole di Salmo 2. 2,3, esiste una volontà precisa di persone consapevoli di combattere contro Dio e illuse di vincere: “Insorgono i re della terra e i prìncipi congiurano insieme contro il Signore e il suo consacrato: «Spezziamo le loro catene, gettiamo via da noi il loro giogo!»”, quello leggero e non opprimente, squalificante e mortale come quello del peccato. E a proposito di questo verso Atti 4. 27,20 riprenderà “davvero in questa città Erode e Ponzio Pilato, con le nazioni e i popoli d’Israele, si sono alleati contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai consacrato, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano deciso che ciò avvenisse”.

L’invio del Figlio, quindi, rappresentò per il Signore Dio l’ultima possibilità per quei contadini di mantenere i rapporti secondo la logica del contratto, ma, nel loro tentativo di usurpare il Suo diritto in quanto padrone, suscitarono davvero la Sua ira. Amen.

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