16.14 – L’AUTORITÀ DI GESÙ CONTESTATA (Marco 11-27-33)

16.14 – L’autorità di Gesù contestata (Marco 11. 27-33)

 

27Andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti e gli anziani 28e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?». 29Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. 30Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». 31Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: «Dal cielo», risponderà: «Perché allora non gli avete creduto?». 32Diciamo dunque: «Dagli uomini»?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. 33Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

 

            Commentato l’episodio del fico trovato seccato il giorno seguente e l’insegnamento sulla preghiera, Gesù entrò nel tempio e – particolare riferito solo da Matteo – si mise a insegnare. Il luogo era come sappiamo un grandissimo atrio (o cortile) detto “dei gentili”, posto di convegno abituale sia per gli abitanti di Gerusalemme che per chi era di passaggio. I gentili vi andavano per concludere i loro affari e i giudei per ascoltare le lezioni dei Dottori della Legge e le dissertazioni coi loro discepoli. Era diventato, come sappiamo, purtroppo anche un luogo di mercato, fraintendendo (e oltraggiando) il significato stesso del Tempio, che con tutte le sue suddivisioni in zone partiva dalla dimora di Dio nel luogo santissimo fino al cortile dei pagani. Il Tempio non era un luogo aperto, ma recintato e quindi conteneva quell’insegnamento spirituale secondo cui nei progetti del Creatore rientravano tutti gli esseri umani che si sarebbero disposti verso di Lui, ma non i loro interessi carnali.

A questo punto va considerato il comportamento di coloro che si avvicinarono a Gesù, mentre “passeggiava” insegnando, cioè probabilmente stando sotto i portici che ne potevano amplificare la voce. Ora, se prendiamo le tre narrazioni dell’episodio di cui disponiamo, ai “capi dei sacerdoti e gli anziani” Luca aggiunge “gli scribi”, quindi la rappresentanza di tutte le classi del Sinedrio tranne i Sadducei, non citati espressamente, ma qui compresi perché l’aristocrazia giudaica lo era. Il Maestro viene quindi raggiunto da queste persone che rappresentavano il supremo organo religioso della Nazione, con potere di approvare o disapprovare ufficialmente il suo operato.

Sappiamo che l’astio profondo che provavano nei confronti di Gesù era trattenuto dal timore della folla che lo seguiva e che aspettavano il momento migliore per arrestarlo, ma non rinunciavano a tentativi per poterLo mettere in difficoltà consci del fatto che, se vi fossero riusciti, l’imbarazzo da Lui eventualmente provato avrebbe potuto incrinare la fama che aveva agli occhi del popolo.

Le domande che gli rivolsero, “Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?”, denotano infatti tutto il loro contenuto inquisitorio. Se ci chiedessimo quali fossero le “cose” a cui quelli si riferissero, penso dovremmo identificarle negli episodi più recenti: il Suo ingresso trionfale in Gerusalemme senza reprimere le acclamazioni di giubilo dei suoi discepoli e del popolo in genere, la cacciata dei mercanti dal Tempio che nessuno aveva mai fatto prima, oltre ai Suoi  insegnamenti e  tutti gli episodi che avvennero in quel cortile, come ad esempio il perdóno della donna adultera. In merito a quest’ultimo episodio, quel perdóno era stato implicitamente già ammesso da tutti coloro che, dai più anziani fino ai più giovani, se ne andarono lasciandola sola con Gesù che proprio nel Tempio, politicamente parlando territorio del Sinedrio, aveva più di chiunque altro diritto a stare, quale Figlio di Dio. Se si deve quindi parlare di “intrusi”, questi erano proprio coloro che Gli chiedevano con quale autorità facesse quelle cose.

Ecco allora che, se pensiamo a tutte le volte che Nostro Signore si scontrò dottrinalmente con gli scribi, i capi dei sacerdoti, i farisei e i dottori della legge, abbiamo qui il Suo primo conflitto diretto con le autorità di Israele perché si recano da lui organizzàti, praticamente come una delegazione ufficiale sinedrita che non lo convoca, ma va da Lui con lo scopo preciso di costringerlo a una risposta. Sarebbe inutile ipotizzare che, pensando a tutto quanto Gesù aveva fatto nei suoi tre anni circa di ministero, quei personaggi avrebbero potuto darsi una risposta da soli, ma questo non avvenne perché la loro posizione era contro di Lui, non certo a favore.

C’è infatti una polemica che può sorgere da un istintivo, naturale voler difendere le proprie convinzioni e ve n’è un’altra che invece proviene semplicemente da una forza avversa, da un resistere aprioristico, come avvenne ad esempio con Mosè che, quando intervenne in una lite violenta fra due ebrei, si sentì rispondere da chi era in torto “Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi?” (Esodo 2.14); commentando l’episodio, Stefano disse “Egli pensava che i suoi fratelli avrebbero compreso che Dio dava loro salvezza per mezzo suo, ma essi non compresero” certo non perché lenti a capire, ma in quanto non volevano perché, nonostante fossero schiavi e quindi in una condizione umiliante, avevano comunque da mangiare. Ecco perché l’uomo in genere preferisce la tranquilla schiavitù del peccato alla libertà in Cristo, di una personalità che su di Lui si costruisce, si basa e vive.

Ricordiamo anche la domanda rivolta, sempre dal Sinedrio, a Pietro e Giovanni che avevano guarito uno storpio e insegnato nel Tempio, “Con quale potere e in quale nome avete fatto questo?” (Atti 7:27): non sono domande che provengono dall’interno profondo della persona, sintomo del voler trovare una risposta da parte di un cuore che vuole capire, ma di una mente chiusa nel proprio voler esistere prestabilito, del vivere polemico, dell’arroccarsi su posizioni dove l’importante non è se le risposte siano giuste o sbagliate in base alla Verità, ma che provengano da una persona o da un gruppo approvato, simile, consociato. E purtroppo questo avviene anche nel cristianesimo con fazioni, correnti, in cui alla serenità necessaria per affrontare problemi, spesso di poco conto, si ergono muri che vengono sempre di più consolidati. E così abbiamo la zizzania nel campo di grano.

 

La domanda dei rappresentanti del Sinedrio conteneva una trappola importante, perché se Gesù avesse risposto, come si potevano aspettare e come aveva già detto altre volte, che la Sua autorità proveniva da Dio col quale era un tutt’uno, avrebbe potuto essere accusato di bestemmia, come avvenne quando disse al paralitico “Ti sono rimessi i tuoi peccati” (Matteo 9.3) oppure, più avanti, quando alla domanda del sommo sacerdote “«Sei tu il Cristo, il figlio del Benedetto?», Gesù rispose: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi nel cielo». Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia, che vene pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte” (Marco 14. 61-64).

Le domande che vengono rivolte a Gesù, oltre all’intento chiaramente inquisitorio, rivelano la completa assenza di rispetto nei Suoi confronti perché gliele pongono “mentre insegnava”, dimostrandogli tutto il loro disprezzo, quasi che la loro fosse un’operazione di polizia volta a interrompere una riunione non autorizzata.

Prima di esaminare il Suo comportamento, che non sarà quello di rispondere a una domanda con un’altra come potrebbe sembrare, notiamo che Gesù seppe riconoscere immediatamente lo scopo di quell’intervento sia perché onnisciente, ma anche perché prudente, avveduto e soprattutto si chiese la ragione per cui gli ponessero quell’interrogativo. In altre parole non fu distratto e non cadde nella trappola che gli avevano teso. Tema già proposto in un’altra riflessione: se quando prendiamo atto di un certo tipo di comportamento o di domande nei nostri confronti ce ne domandassimo sempre la ragione, sono convinto ci risparmieremmo molte situazioni che si riveleranno poi penose unicamente per la nostra imprudenza. È la catena dei “perché?” che non viene seguita. La vera lettura (quindi analisi) dei comportamenti e delle parole che gli altri ci rivolgono è infatti suggerita nella Scrittura e si può citare l’invito a provare “gli spiriti per vedere se sono da Dio” (1 Giovanni 4.1), cioè sostituire l’approssimazione all’avvedutezza spirituale per non cadere nelle trappole dell’avversario.

Andando alle origini, se Eva si fosse chiesta la ragione per cui il serpente le rivolgeva la parola e avesse tenuto presente che, come essere superiore, non avrebbe dovuto consentirgli un’apertura del genere e un dialogo alla pari, non sarebbe caduta né avrebbe messo Adamo nelle condizioni di peccare. Non è quindi possibile porsi sullo stesso piano di chi non appartiene all’universo, all’àmbito della Grazia di Dio; se lo facciamo, finiremo per pagarne le conseguenze.

Ora veniamo al comportamento di Gesù che non è una tattica per evitare di rispondere, ma un metodo ritenuto normale nelle discussioni fra Dottori della Legge che consisteva, per trovare un punto comune di discussione, di rispondere facendo a propria volta un’interrogazione all’altro. Chi ha letto il Talmud, può testimoniare delle trattazioni lunghissime fatte di domande su domande e di risposte che ne generano di altre fino ad arrivare spesso, come si dice, a spaccare un capello in quattro per poi “filtrare il moscerino e ingoiare il cammello”.

Ora Nostro Signore chiede a quelle persone di pronunciarsi in merito al battesimo di Giovanni Battista, quello di ravvedimento di cui erano stati testimoni, ma al quale non avevano partecipato, anzi, che controllavano di persona (Matteo 3.6) perché “Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati”, che mai quei maggiorenti del popolo avrebbero confessato. Ricordiamo infatti le parole “Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto. Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro” (Luca 7.29,30). Ecco la colpa che torna indietro, ecco che gli interrogati da Gesù si ritrovano a fare i conti col loro passato. È il peccato che ritrova il peccatore.

La trappola quindi che i Giudei avrebbero voluto tendere a Gesù, si ritorce contro di loro perché, dietro loro stessa ammissione, se dichiaravano che il battesimo di Giovanni veniva da Dio, avrebbero dovuto spiegare la ragione per cui non gli credettero; viceversa, dichiarando la sua provenienza umana, il popolo avrebbe loro dato contro, perché “Tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta”, come effettivamente era. Gli umili, i semplici, gli ultimi, erano arrivati là dove i “sapienti” secondo questo mondo si erano tenuti distanti. La sapienza religiosa, quindi, è inutile.

È importante sottolineare però che la domanda posta da Gesù andava in realtà oltre al fatto che quelli, per avere una Sua risposta, avrebbero dovuto replicare a quanto Lui chiedeva, perché coinvolgeva profondamente il destino spirituale di quelle persone: se Giovanni era un profeta mandato come lo spesso citato Elia, tanto il suo battesimo quanto più il suo Ufficio di precursore del Cristo avrebbero dovuto essere seguiti, compreso l’aderire a Lui. Rispondendo quindi che l’autorità di Giovanni proveniva da Dio, sarebbero stati costretti a riconoscere quella di Gesù, ma chiaramente non vollero e scelsero la risposta più indolore, “non lo sappiamo”, anche a costo di rendere inefficace il loro intervento.

Così finisce la questione e quel “non lo sappiamo” rimase lì, senza aver risolto nulla: il problema infatti non era tanto se quel battesimo venisse da Dio o dagli uomini, ma che Gesù andasse combattuto con ogni mezzo in quella frenesia omicida che caratterizzerà il Sinedrio sempre di più. Quell’organo giuridico che avrebbe dovuto essere di guida per il popolo verso la salvezza che veniva offerta, intraprenderà una condotta verso un suicidio di massa, rifiutando a priori la persona e l’opera del Figlio di Dio. Amen.

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