16.06 – LA CACCIATA DEI VENDITORI DAL TEMPIO (Marco 11.15-19)

11.06 – La cacciata dei venditori dal tempio (Marco 11.19)

 

15Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 16e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. 17E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni?  Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». 18Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento.

            Secondo il resoconto di Marco, questo fu l’unico evento pubblico che caratterizzò la giornata di Gesù e i suoi in Gerusalemme lunedì, il secondo giorno della settimana. A colmare questo “vuoto narrativo”, concorrono le cronache degli altri evangelisti che esamineremo, ma è indubbio che questa fu la prima azione di Nostro Signore, ciò secondo la cronologia adottata che, più che una verità, propone molto spesso solo una semplice scelta.

Il primo sentimento che mi ha colto leggendo questo episodio è stato di amarezza perché sappiamo che questa fu la seconda volta che Gesù agì in quel modo, adottando gli stessi comportamenti, come leggiamo in Giovanni 2.13 e seg.: “Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!»”. Ebbene quel Suo primo intervento non fu capito, soprattutto il contrasto fra la “casa del Padre mio” e “un mercato”, tra loro in chiara antitesi.

La domanda che mi sono posto era se ciò che si era venuto a creare fosse legittimo o meno, soprattutto alla luce della legge sulle decime che il popolo era tenuto ad osservare: “Dovrai prelevare la decima da tutto il frutto della tua semente, che in campo produce ogni anno. Mangerai davanti al Signore, tuo Dio, nel luogo dove avrà scelto di stabilire il suo nome, la decima del tuo frumento, del tuo mosto, del tuo olio e i primi parti del tuo bestiame grosso e minuto, perché tu impari a temere sempre il Signore, tuo Dio” (Deuteronomio 19. 22.23). Ora è chiaro che quel “mangiare davanti al Signore” non poteva essere paragonato ad una festa che si caratterizzava come le nostre, ma aveva il fine di riflettere sulle benedizioni che Dio dava al suo popolo e soprattutto era un rito col fine di imparare “a temere sempre” il Signore. È, per relazione, l’atteggiamento che deve caratterizzare le adunanze della Chiesa quando celebra il culto, che i Corinzi non rispettavano rendendo così quell’ambiente molto simile a quello rimproverato nel Tempio: “Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?” (1 Corinti 11.20-22), versi che sono preceduti dalla descrizione sulle divisioni presenti causate da “un cuore lontano da me”.

Proseguendo poi la lettura del testo di Deuteronomio, versi da 24 a 26, abbiamo la licenza ad utilizzare del denaro per comprare il necessario a fronte di  una distanza eccessiva: “Se il cammino è troppo lungo per te e tu non puoi trasportare quelle decime, perché è troppo lontano da te il luogo dove il Signore, tuo Dio, avrà scelto di stabilire il tuo nome, perché il Signore tuo Dio ti avrà benedetto, allora le convertirai in denaro e, tenendolo in mano, andrai al luogo che il Signore, tuo Dio, avrà scelto e lo impiegherai per comprarti quanto desideri: bestiame grosso o minuto, vino, bevande inebrianti o qualunque cosa di tuo gusto e mangerai davanti al Signore, tuo Dio, e gioirai tu e la tua famiglia”.

Credo che la lettura di questi versi sia sufficiente a far comprendere che il “denaro” utilizzato per la celebrazione delle decime, quando il popolo comprava da altri il necessario per celebrarle, escludesse la possibilità di un arricchimento di chi vendeva e l’organizzazione di un commercio in tal senso, ma tutto avrebbe dovuto svolgersi all’insegna della sobrietà e tenendo a mente che quanto avveniva sarebbe stato col fine di onorare il Signore e non approfittare della situazione per trarne un guadagno personale.

La scrittura insegna che è molto facile varcare il confine tra il servizio e il proprio interesse: questo avvenne, ad esempio, coi figli di Samuele, che quando fu vecchio li stabilì come giudici in Israele, di cui è detto che “non camminavano sulle sue orme, perché deviavano dietro il guadagno, accettavano regali e stravolgevano il diritto” (1 Samuele 8.3). Ricordiamo la preghiera in Salmo 119.36, “Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti, e non verso il guadagno”, la domanda in Isaia 55.2, “Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia?”.

Ora, per evidenziare il contrasto fra l’entrare di Gesù nel Tempio e la realtà che in esso trovò, basta citare Malachia 3.1,2: “Ecco, io manderò il mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire”. Il giorno prima – secondo Marco – Gesù era stato acclamato da una folla festante che lo acclamava come Messia, ora entra “nel suo tempio” ed è costretto a cacciare uomini che miravano solo al loro profitto, approfittando dell’occasione. Credo che una realtà simile la sperimenti oggi chiunque si trovi a visitare la basilica di San Pietro a Roma e consideri il commercio di oggetti cosiddetti “sacri” nelle sue zone limitrofe e i tesori in essa contenuti.

Nel cortile dei gentili, in quei giorni, una parte di esso prendeva il nome di “botteghe” proprio per il traffico che avveniva e va ricordato che il mercato orientale è caratterizzato da continue discussioni sul prezzo anche animate e che, per la mentalità di quei popoli, è inammissibile acquistare qualcosa senza trattative anche estenuanti. Chi non si comporta così, provoca il disappunto degli stessi commercianti. Questo, unitamente ai rumori della folla, ai muggiti e ai belati degli animali, fu lo scenario che si presentò a Gesù, che reagì con l’energia descritta da  Marco e Matteo tanto all’inizio che alla fine del Suo Ministero.

Le parole di Nostro Signore al verso 17 sono la citazione di Isaia 56.7, ma Marco è l’unico a citarla completa perché Matteo e Luca si fermano a “casa di preghiera”, omettendo quindi “per tutti i popoli”, a voler sottolineare che Gesù volle rimarcare il fatto che Israele aveva fallito nel suo compito: quanto stava avvenendo, infatti, era l’esatto contrario di quella manifestazione mediante la quale l’uomo confessa la propria incapacità a comprendere le cose di Dio e si umilia davanti a Lui; leggiamo nel libro della Sapienza, che pur non canonico presenta spunti interessanti di riflessione, che “I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, poiché un corpo corruttibile opprime l’anima  la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano, ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?” (9. 14-17). Ora, nel caso di specie, non si trattava neppure di avere “sapienza dall’alto”, ma di avere un comportamento dettato da un cuore umile, timoroso di Dio e quindi di non offenderLo.

La “casa di preghiera”, perché potesse diventare “per tutte le nazioni”, chiedeva ad Israele di essere d’esempio e non, come avverrà poi, che il regno di Dio venisse loro “tolto” per darlo “a un popolo che ne produca i frutti”, come Lui stesso dirà al verso 43 di questo stesso capitolo. Abbiamo infatti due realtà, quella affidata al popolo eletto come testimone fra le genti, e quella che si verificherà nel futuro quando “Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Perché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore” (Isaia 2.2,3). Si tratta di un passo che ha molti riferimenti e significati, ma delle epoche cui il testo fa riferimento certo quella che il Creatore si aspettava era la prima, quella che il Suo popolo, per la sua “dura cervice”, non comprese.

C’è poi la seconda parte della nostra pericope, “ne avete fatto un covo di ladri”, espressione presa, da Geremia 7.6-11, “Ma voi confidate in parole false, che non giovano: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dèi che non conoscevate. Poi venite e vi presentate davanti a me in questo tempio, sul quale è invocato il mio nome, e dite: «Siamo salvi!» e poi continuate a compiere tutti questi abomini, Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul quale è invocato il mio nome? Anch’io però vedo tutto questo! Oracolo del Signore”.

Ora è indubbio che questa citazione aveva lo scopo di far riflettere i presenti più che essere un rimprovero fine a se stesso, dato che Marco scrive “insegnava loro”. Possiamo ricordare le parole di Proverbi 7.2,3, “Osserva i miei precetti e vivrai, il mio insegnamento sia come la pupilla dei tuoi occhi – perché, nonostante vediamo, senza di esso siamo ciechi –. Legali alle tue dita, scrivili sulla tavola del tuo cuore”.

Dal comportamento della gente nel Tempio, da cui traspare un evidente menefreghismo e voluta contaminazione, vediamo la posizione del popolo tanto ai tempi del profeta Geremia e di Gesù che, in questo caso, ricorda implicitamente i castighi che si riversarono su Israele prima con la deportazione in Babilonia e con la distruzione del Tempio di Salomone, che avrebbe subito poi un altro giudizio con la distruzione del secondo Tempio, costruito da Zorobabele e poi abbellito da Erode il Grande.

Il rimprovero di Gesù quindi non colpisce solo il traffico dei mercanti, ma come già rilevato la loro avarizia, le loro estorsioni, i loro inganni nel mercanteggiare tirando sul prezzo dentro la “casa” destinata al servizio di Dio. E credo sia un’accusa che viene fatta anche oggi a quelle Chiese che da un lato amministrano a parole la Parola di Dio e, dall’altro, l’annullano con pratiche, comportamenti e concessioni con lo scopo di aumentare il numero dei propri “fedeli”, naturalmente non disdegnando il tornaconto economico che ne può derivare.

E giungiamo così alla conclusione dell’episodio. Matteo ci informa che, dopo la cacciata dei commercianti dal Tempio, “gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì”, confermando ancora una volta la Sua autorità nel senso che quanto aveva appena fatto, cacciano i mercanti e non permettendo “che fossero trasportate cose attraverso il tempio”, non era certo il frutto di una mente esaltata, ma la ribellione dell’uomo-Dio all’avidità umana che aveva preso il posto del timore del Signore.

Marco annota questo particolare: “Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui – proprio come i demoni – perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento”, nota che si raccorda tanto all’evento del giorno precedente, tanto a quelli che devono ancora accadere e che esamineremo prossimamente. Amen.

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