16.04 – L’INGRESSO DI GESÙ A GERUSALEMME (Marco 11.11; Matteo 21.10,11)

16.04 – L’ingresso a Gerusalemme (Marco 11.11 – Matteo 21.10,11)

 

11Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.

 

Dal momento in cui Gesù entra a Gerusalemme la successione degli avvenimenti presenta dei problemi di ordine cronologico non risolvibili con certezza perché, confrontando la narrazione dei quattro evangelisti, è innegabile che vi sia unitarietà di narrazione in cui ciascuno aggiunge dei particolari, ma purtroppo abbiamo discordanza nella successione degli eventi. Ho ritenuto iniziare l’esame di quanto avvenne con un solo verso di Marco perché è l’unico ad occuparsi della suddivisione della settimana della Passione di Nostro Signore, ma anche qui la certezza assoluta che abbiamo del primo giorno è che a un certo punto Gesù esce dalla città per andare a Betania per passarvi la notte. Secondo me il punto nodale della questione è nella decifrazione delle parole “e dopo aver guardato ogni cosa attorno”, che possono voler significare tanto che volle sincerarsi di persona di ciò che accadeva nel Tempio, rimandando al giorno successivo le iniziative da prendere, oppure che si sia occupato di cacciare i mercanti da lì, guarire i ciechi e gli storpi e infine ricevere la lode dai bambini, come descritto dagli altri evangelisti. A mio parere esistono punti a favore di entrambe le teorie anche se è innegabile che, entrando nel Tempio, la prima situazione che poteva emergere era quella dei venditori di animali e cambiavalute che, come già sappiamo, erano accampati nel cortile dei gentili e quindi difficilmente una reazione di Gesù si sarebbe fatta attendere. Il problema risiede nell’ora che si era fatta, data dal tempo trascorso da quando era stato ordinato a Pietro e Giovanni di andare a prendere il puledro d’asina all’arrivo al monte degli Ulivi e di lì a Gerusalemme, che non possiamo sapere.

Certo è che quanto avvenne all’ingresso in città, di cui non ci siamo occupati finora, è riportato da Matteo 21. 10-11:

 

10Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». 11E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazareth di Galilea».

 

L’ingresso in città fu qualcosa che la stravolse: mancavano pochi giorni alla Pasqua per cui era piena di pellegrini, la folla dei discepoli lo acclamava come mai aveva fatto, la gente accorreva a vedere e forse, nell’atteggiamento dei discepoli e della gente che comunque seguiva Gesù, possiamo trovare un parallelo nell’episodio in cui, dopo aver moltiplicato i pani, è scritto che “venivano a prenderlo per farlo re” (Giovanni 6), solo che quella volta “si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo”. A quel tempo si estromise, qui invece non ferma la folla acclamante perché era nella “città del gran re”, quindi la Sua, era il figlio di Davide e veniva nel Nome del Signore. La folla dei discepoli lo acclamava come sappiamo e anche se l’idea che avevano di lui non corrispondeva pienamente a quella spirituale, ciò non toglieva che fosse il Messia atteso.

Abbiamo letto che Matteo scrive “Tutta la città fu presa da agitazione e diceva…”, cioè tratta Gerusalemme come se fosse una persona, quindi come “un corpo composto da tante membra” perché così doveva essere e, certo concettualmente, non vi è grande differenza fra quello che avrebbe dovuto essere Israele e ciò che dovrebbe essere la Chiesa, oggi purtroppo nominalmente non più una sola, senza contare le enormi differenze anche solo considerandone una sola parte, o ramo. E ragionando su questa “agitazione”, va sottolineato che ciò avvenne per la seconda volta, dopo l’episodio di una trentina d’anni prima quando la carovana dei Magi arrivò a Gerusalemme. Era una delle tante che giungevano in città, non avrebbe attirato l’attenzione di nessuno se non che quelli chiesero “Dov’è nato il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” (2.2). Era una domanda precisa fatta da persone autorevoli, studiose, acculturate, fra le più importanti del loro popolo, che chiedevano della nascita di un re appartenente a gente non loro che erano venuti ad adorare. Sono convinto che le parole “Il re dei Giudei” e “la sua stella” siano stati gli elementi che più abbiano impressionato gli abitanti. Il verso 3 riporta che “All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”. Ecco la regìa di Dio: fare in modo che la gente, sforzandosi, capisca, darle degli elementi sparsi da ricomporre come un puzzle perché sono convinto che ciò che Lui vuole è proprio che l’uomo arrivi alla Sua conoscenza componendo dei pezzi, metta in ordine corretto i dati che mette a sua disposizione. Del resto, la stessa cosa avviene per chiunque si metta seriamente alla Sua ricerca perché difficilmente si ha una rivelazione folgorante, anzi.

Ecco allora che Gerusalemme come “persona” avrebbe dovuto ricordarsi che quel re, che veniva a lei montato su un asino su cui nessuno era mai salito, era lo stesso di cui circa trent’anni prima avevano chiesto quei “Magi d’Oriente” venuti ad adorarlo. Quelle persone, che certo non avevano i rotoli dei profeti, ma solo degli elementi sparsi che la loro tradizione aveva tramandato basandosi sulle parole di Daniele, avevano compreso molto di più degli abitanti della città che dopo un trentennio si chiedevano ancora “Chi è costui?”.

Cittadini e pellegrini che non Lo conoscevano si chiedevano chi fosse e la folla dei discepoli, testimoni di quanto aveva fatto o coinvolti da Lui comunque, rispondevano come da verso 11, “«Questi è il profeta Gesù, da Nazareth di Galilea»”. Non sono parole a caso come potrebbe sembrare, contengono ancora una volta tutti gli elementi per identificare Gesù e possiamo pensare che questo fosse un’ulteriore occasione data agli abitanti della città per riconoscere in Lui il re.

Infatti abbiamo “il profeta Gesù”, la qualifica anteposta al nome secondo quanto riconosciuto dai testimoni ai suoi miracoli, in particolare la resurrezione del figlio della vedova di Nain quando “Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto fra noi» e: «Dio ha visitato il suo popolo»” (Luca 7.16). Abbiamo però di più, quando all’episodio già ricordato della moltiplicazione dei pani d’orzo: “Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!»” (Giovanni 6.14, ma si può considerare anche 7.40 e 9.17).

Pietro, nel suo discorso nel Tempio al portico di Salomone, ricordò tra le alte cose Mosè che “infatti disse: Il Signore vostro Dio farà sorgere per voi, dai vostri fratelli, un profeta come me; voi lo ascolterete in tutto quello che egli vi dirà. E avverrà che chiunque non ascolterà quel profeta, sarà estirpato di mezzo al popolo” (Atti 3.22,23; Deuteronomio 18.15).

 

“Il profeta Gesù”: il nome dopo la qualifica indica che, se possono esserci molti profeti provenienti da Dio, nessuno è come lui. Allora, “il profeta Gesù” è il nome, ora rivelato a tutti e se Mosè aveva condotto il popolo fino ai confini della terra promessa, Gesù farà altrettanto fino ai nuovi cieli e nuova terra.

Abbiamo poi un altro elemento che viene fornito a chi s’interrogava su quell’uomo che causava tanto clamore in città, “da Nazareth di Galilea”: ecco, qui il testo si fa più complicato, ma solo in apparenza, perché sappiamo che la città di Nazareth e soprattutto i suoi abitanti non godevano di buona fama nei territori limitrofi. Sull’identità di Gesù come uomo e come Dio sappiamo che nacque a Bethlehem perché il “Re dei Giudei” avrebbe dovuto nascere lì secondo le profezie che lo riguardavano (Michea 5.1,2), ma Giuseppe, suo padre, “Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno»” (Matteo 2.22,23). Si tratta di un’allusione non alla cittadina, ma al nome da cui Nazareth proviene, cioè Nezer, “germoglio”, chiaro riferimento, come già abbiamo rilevato all’inizio di questo percorso di riflessioni, a Isaia 11.1-5: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse – padre di Davide –, un virgulto spunterà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire, ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi”.

Questo è il riferimento più usato per spiegare il “Germoglio”, ma ve ne sono altri non meno importanti, ad esempio Geremia 33.15, “In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra”, Zaccaria 3.8, “Ecco, io manderò il mio servo Germoglio”, 6.12 “Dice il Signore degli eserciti: «Ecco un uomo che si chiama Germoglio: fiorirà dove si trova e ricostruirà il tempio del Signore”.

“Da Nazareth” quindi non si riferiva alla provenienza geografica di Gesù, ma alla promessa di Dio che, dopo tanto tempo, era finalmente germogliata, veniva al suo popolo e alla santa città che lo rappresentava.

Si può citare, a conclusione di questo giorno basandoci sulla cronologia di Marco, quanto avverrà prima o mentre Nostro Signore guarderà “ogni cosa attorno” e quindi, ancora una volta, l’amara, allarmatissima osservazione dei farisei, sacerdoti e capi del popolo: “Vedete che non ottenete nulla? Ecco: il mondo è andato dietro a lui!” (Giovanni 12.19): questa va ad aggravare ulteriormente il loro stato di allarme già espresso alla resurrezione di Lazzaro, “Che cosa facciamo? Quest’uomo fa molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione” (11.47,48).

Giunti a questo punto, non possiamo sapere esattamente cosa successe, come detto all’inizio di queste riflessioni; personalmente, preferisco attenermi a Marco, che conclude con l’ora tarda e il rientro di Gesù e i dodici a Betania.

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