15.38 – LA CONGIURA CONTRO GESÙ (Giovanni 12.9-10)

15.38 – La congiura contro Gesù (Giovanni 12. 9-10)

 

9Intanto una gran folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là ed accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva resuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù”

 

Sembra strano dedicare un capitolo ad un’intenzione che, lo ricorderemo certamente, non è la prima volta che viene segnalata nei Vangeli. Proprio per questo, proprio perché viene letta quasi “en passant” e soprattutto è scambiata per un moto interiore “politico” o religioso (nel senso che in essa si tende a vedere la reazione quasi ovvia che ha da sempre un potere quando viene minacciato), è necessario stendere alcuni appunti: leggere il Vangelo o la Scrittura infatti non comporta una mera lettura, ma richiede un ascolto spirituale, una seria indagine: farsi domande, lasciare emergere dubbi e risolverli, non evitare il verso “scomodo”, ma lasciarlo libero di poter suscitare pensieri destinati a risolversi con un tempo che non sta a noi stabilire.

Per affrontare, più che comprendere perché sono versi dal contenuto chiarissimo, quanto troviamo descritto, dobbiamo ricordare le volte in cui i Giudei, quindi scribi, farisei e alti sacerdoti, presero decisioni contro Gesù. La prima volta che un Evangelista annota qualcosa in proposito lo abbiamo in Matteo 12 (parallelo in Marco 3) quando Gesù guarì un uomo dalla mano anchilosata nella Sinagoga di Capernaum: quel miracolo avvenne in giorno di sabato e per questo leggiamo che “i farisei uscirono e tennero consiglio contro di lui per farlo morire” (12.14). Analoga nota la presenta Marco in 3.6 in cui aggiunge che, unitamente ai loro, c’erano anche gli erodiani, gruppo minore che parteggiava e sosteneva Erode.

Non credo sia il caso di ricordare tutti gli episodi in cui fu deliberato l’omicidio di Gesù perché credo che chiunque abbia letto e legga i Vangeli sappia che le reazioni di violenta avversione nei Suoi confronti si verificarono ogni qualvolta Lui pose le persone di fronte alla prova di essere Figlio di Dio: le prese di posizione avverse si presentarono di fronte ai miracoli e ai discorsi contro i quali non riuscirono a controbattere – attenzione – non per poca cultura, ma perché le parole e le azioni di vita non hanno nulla a che fare con quelle di morte, che sappiamo destinata ad essere sconfitta.

Quindi, di fronte a un miracolo che si presenta sempre e soltanto come frutto del perdóno e dell’amore di Dio sul peccatore o su un enunciato di verità, non resta altro che gioire o capitolare, vale a dire ammettere di essersi sbagliati fino a quel momento e quindi convertirsi, cambiare modo di pensare.

Certo che poi, parlando a proposito della prima volta in cui ci fu intenzione di uccidere Gesù, questa fu da parte di Erode il Grande, che temeva fosse nato Uno che sarebbe diventato Re dei Giudei e lo avrebbe spodestato. Ricordiamo infatti le parole dell’angelo a Giuseppe, “Erode vuole cercare il bambino per ucciderlo” (Matteo 2.13).

Il problema allora non risiede tanto nel fatto che le persone avverse a Nostro Signore progettarono la Sua morte per ignoranza, ma in quanto appartenenti a una categoria umana e spirituale diversa: “Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore” (Giovanni 10.26), parole che ci riconducono ad un altro Suo intervento proprio verso di loro: “Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo non mi ascoltate: perché non siete da Dio” (8.46,47).

Ecco allora che viene chiamato in causa l’ascolto, possibile solo se esiste volontà di capire per crescere, imparare; l’ascolto interviene quando una persona è consapevole di essere mancante di qualcosa e per questo mette tutto il proprio impegno per mutare la situazione di difetto in cui si trova.

E allora, anche se si tratta di un argomento già affrontato, andiamo ancora una volta a Caino e Abele, che cercherò di trattare in un modo diverso da quanto fatto finora. Si tratta chiaramente di una vicenda molto nota, che possiamo introdurre secondo 1 Giovanni 3.11,12: “Per quale motivo lo uccise? Perché le sue opere erano malvage, mentre quelle di suo fratello erano giuste”. Caino, quindi, fu “contro” Abele, ne fu l’avversario, con tutto quello che comporta questo termine, e lo fu per scelta, per non avere ascoltato le parole che Dio gli rivolse per correggerlo.

Nel trattare i due fratelli va ricordato che esiste una lettura ebraica dell’episodio in base alla quale i due fossero gemelli, elemento che viene dedotto dal fatto che il testo di Genesi 4.1,2, “Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino. (…). Poi partorì ancora Abele, suo fratello”, fa riferimento a un concepimento e due parti. La parola “ancóra”, poi, in ebraico “asàf”, significa “aggiungere qualcosa” per cui la nascita di Abele sarebbe stata aggiunta a quella di Caino.

Secondo questa interpretazione, che va presa come un’ipotesi francamente interessante, Caino e Abele partono nel cammino della loro vita terrena assolutamente pari, hanno esperienze educative comuni, sicuramente vengono informati dai loro genitori sul perché della sofferenza e del lavoro cui erano costretti per sopravvivere, ma ben presto prendono direzioni diverse, cioè uno lavora la terra e l’altro cura e alleva le pecore, rivelando in tal modo la loro personalità. Caino eredita una parte del lavoro del padre Adamo, che ricordiamo udì la sentenza che Dio emise su di lui, “Maledetto sarà il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai cibo tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto” (Genesi 3.17-19). In 3.23 è ancora di più evidenziata l’attività di Adamo quando leggiamo “Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto”. Prima Adamo trovava diletto e piena espressione di sé nel curare il Giardino, nella terra contaminata, invece, a dominare sono il dolore e il sudore del volto.

Ora abbiamo qualcosa di profondamente interessante nel verbo “lavorare”, “avàd” e “ovèd”, “lavorante” che significa letteralmente “servo”: Adamo, col suo peccato, divenne “servo della terra” non solo a livello lavorativo, ma soprattutto spirituale, immerso in una condizione totalmente asservita ad un suolo che prima, come accennato dominava perfettamente.

Caino quindi fu “servo” doppiamente, della terra in cui era stato inserito senza averlo chiesto ai propri genitori, ma ancora di più di se stesso, dei suoi impulsi, delle sue tendenze. Dal testo del racconto non solo emerge l’interessamento di Dio nei confronti di Caino per metterlo in condizione di essere come il fratello, cioè un uomo a Lui gradito, ma lo pone in guardia da qualcosa di terribile che voleva dominarlo: “Se non agisci bene – cioè spiritualmente – il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai – se vorrai essere come tuo fratello, cioè a me gradito –.“ (4.7).

Ora, dettaglio che non può emergere in nessuna traduzione italiana, è il fatto che la parola ebraica per “peccato” è di genere femminile, mentre il pronome “suo” e l’articolo “lo” sono maschili, da cui ne consegue che Caino avrebbe dovuto guardarsi da qualcosa di ben peggiore rispetto al semplice “peccato”, cioè non la trasgressione a ciò che allora era la legge della coscienza, ma ciò che lo muoveva, lo generava, lo suggeriva, allora come oggi. E chi, se non l’Avversario, che se ne serve per rompere in alcuni casi irrimediabilmente la comunione fra Creatore e creatura?

Caino tuttavia, presumiamo dopo aver meditato le parole rivoltegli, scelse di perpetrare l’omicidio del fratello illudendosi così di risolvere il problema: non sarebbe stato più umiliato dal vedere Abele benedetto. La decisione di quell’omicidio si potrebbe dire, da una prima lettura, che fu causata dall’invidia e certamente è vero, ma il motore di tutto risiedé nel fatto che Caino, anziché mettere in pratica il consiglio di Dio, si diede all’Avversario diventando in tal modo un suo angelo, cioè un portatore dei metodi e ideali distruttivi di Satana, appunto “omicida fin dal principio” (Giovanni 8.44). Non solo, ma mentre Adamo, come detto, trasmise alla sua discendenza le ragioni della sofferenza e della morte, Caino, figlio primogenito, alla propria stirpe tramandò ideali di autonomia e violenza, a conferma del rifiuto del concetto di dipendenza da Dio che invece praticava il fratello.

Infatti leggiamo che “Caino si allontanò dal Signore – con tutto ciò che il termine comporta – e abitò nella regione di Nod – che significa “esilio” – a oriente di Eden” (4.16). Tra i suoi figli abbiamo Lamec, che si diede alla poligamia, Tubal-Kain, che lavorò il ferro e il bronzo, cioè le armi, Iabal che “fu il padre di quanti abitano sotto le tende, presso il bestiame”, quindi fu l’ideatore della città intesa come protezione e difesa coi propri mezzi che porterà poi a Babele, che tutti conosciamo.

E si possono citare in proposito le parole di Guido Vignelli: “Il modello del globalismo contemporaneo è la Torre di Babele, targato Onu e Ue. Una pretesa di costruire un regno fondandolo non in obbedienza alla legge divina, come era stato il patto di Noè, ma su un mero contratto sociale, ricomparso ad Abu Dhabi come “fraternità universale”. Babele fu il primo tentativo di creare un nuovo ordine mondiale, costruendo una società multietnica, multiculturale e multireligiosa, basate sul consenso a una ideologia e una legislazione laiche. Un assalto al cielo, un tentativo di riprendersi i poteri soprannaturali perduti col peccato originale, al fine di realizzare un nuovo paradiso terrestre. I babelici non desideravano che Dio scendesse da loro, ma pretendevano di salire da Lui; non speravano di essere salvati dall’Incarnazione di Dio, ma pretendevano di salvarsi da soli elevandosi al livello divino, probabilmente mediante il ricorso ad arti magiche e ad influenze demoniache. Si ripeté il peccato di superbia dei nostri progenitori. Un delirio di onnipotenza: e Dio intervenne per far fallire l’empio progetto. Confuse le menti e le lingue, e non riuscirono più a capirsi e a intendersi tra loro. Sorsero contrasti e divisioni che interruppero la costruzione e poi mandarono in rovina l’intera città. Quella costruzione politica, invece dell’intesa, dell’unione e della pace universali, provocò quelle incomprensioni, diffidenze e odi che sono tuttora le cause degli umani conflitti. Da allora fino alla Pentecoste il genere umano non riuscì più a unirsi per compiere un’opera comune, perché “se non è Dio a porre le fondamenta della Città, invano si affaticano i suoi costruttori” (Salmo 126, 1). Babele non voleva affratellare le genti nella verità e nella carità, ma schiavizzarle nell’errore e nell’ingiustizia, costruendo sulla terra non un paradiso, ma un inferno. Questo tentativo è avvenuto più volte nel corso dei secoli (cfr Dan 2,31-43) destinato a crollare perché privo di fondamento religioso e morale. Si pensi ai disastrosi progetti dei movimenti politici utopistici della storia moderna”.

Se Caino aveva erroneamente visto nella morte del fratello la soluzione al problema dell’umiliazione conseguente al fatto di venire posto costantemente di fronte al proprio fallimento, così i farisei e i capi religiosi, in quella di Gesù, vedevano il ripristino di una religione con un metodo di pensiero e opere che non avevano in realtà più alcun senso, come dimostrato non solo con la Risurrezione, ma anche dalla cortina del tempio, che si squarciò in due (Matteo 27.51).

Tornando al nostro testo, abbiamo letto che “I capi dei sacerdoti decisero di uccidere anche Lazzaro”, cioè praticare la forma più estrema per l’annullamento del miracolo della sua risurrezione, che vedeva la morte impotente di fronte alla Parola di Dio, “Lazzaro, vieni fuori!”.

Se l’omicidio di Abele provocò la nascita di Set (“sostituto”) con risultati ancora più forti perché con suo figlio Enos “si cominciò a invocare il Nome del Signore” (4.26), la morte di Gesù ebbe come conseguenza la nascita della Chiesa con la discesa dello Spirito Santo, di coloro che un tempo erano “stranieri e nemici, con la mente intente nelle opere cattive; ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua cane mediante la morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinnanzi a lui, purché restiate fondati e fermi nella fede, irremovibili nella speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunciato in tutta la creazione che è sotto il cielo” (Colossesi1.21-23).

Credo sia quindi stato necessario affrontare, seppur molto brevemente, le due genealogie a confronto: l’idea dell’omicidio di Lazzaro e di Gesù non nasce da un banale impeto né da un progetto politico religioso, ma dall’avversione profonda che prova una generazione appartenente all’Avversario verso tutto ciò che è opera di Dio. Amen.

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