15.29 – TRA VOI NON È COSÌ (Marco 10.41-45)

15.29 – Tra voi non è così (Marco 10.41-45)

 

41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

 

Il verso 41 è la chiave di lettura non tanto delle parole di Gesù, ma di tutto l’episodio iniziato con l’avvicinarsi a Lui di Giacomo e Giovanni, sostenuti dalla loro madre, per chiedergli di poter sedere l’uno alla Sua destra e l’altro alla Sua sinistra una volta venuta la Sua gloria. È un verso sottovalutato, letto con frettolosità e soprattutto con la nostra mentalità che lo interpreta vedendo i dieci scandalizzati dalla proposta appena fatta al loro Maestro e nient’altro. Ciò ho pensato io stesso per anni, ma questa interpretazione non tiene conto del carattere dei dodici e dei rapporti che si instauravano fra loro soprattutto quando Gesù non era presente.

I Dodici erano uomini scelti da Gesù e a loro sarebbe stata affidata la costituzione e costruzione della Chiesa; in quanto tali, va sempre tenuto presente che la loro vita passò attraverso tre tappe fondamentali, vale a dire la chiamata, la formazione e l’azione vera, quest’ultima possibile solo una volta disceso lo Spirito Santo che non solo avrebbe ricordato loro quanto detto dal Maestro, ma soprattutto li avrebbe posti nelle condizioni di comprendere ed attualizzare quelle parole.

Nel Vangelo, quando si parla dei Dodici, va sempre tenuto presente che tutto quanto da loro fatto e detto avviene nel periodo intermedio e quindi, nonostante non fossero certo persone rozze o negative, erano quelli che erano, cioè uomini. Così li vediamo tante volte discutere tra loro su “chi fosse il maggiore”, quindi il capo o comunque il più importante, litigare perché nessuno di loro aveva pensato di comprare il pane (Matteo 16.5-7), vietare a una persona di cacciare i demoni nel nome di Gesù perché non era dei loro (Luca 9.49), cercare di guarire un epilettico dando per scontato di riuscirvi (Marco 9.18 e seg.), non credere all’annuncio della risurrezione da parte delle donne, non capire tante cose tra le quali un punto fondamentale qual era la morte e resurrezione imminenti del loro Maestro.

Allora, anche in virtù del tipo di insegnamento che verrà dato loro dal verso 42 in poi, è molto più facile che l’indignazione dei dieci verso Giacomo e Giovanni non fosse dovuta al fatto che i due avevano frainteso un principio importante qual era il posto preparato a destra e sinistra di Gesù, ma perché erano stati preceduti in tal senso ed erano invidiosi! E le parole di Gesù che seguono confermano questa tesi perché apre il suo discorso con i “governanti delle nazioni” che “dominano su di esse e i capi le opprimono”, quindi accennando a intrighi di palazzo e calcoli per avere favori, posizioni di prestigio e soprattutto mantenerle ad ogni costo.

“Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”, con tutto quel che segue, la avrebbe voluta pronunciare ciascuno dei dodici con i medesimi scopi e ricordiamo che già Pietro, poco tempo addietro, aveva chiesto a Gesù “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?” (Matteo 19.27) avendo in risposta una promessa che tutti gli altri avevano sentito, “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”.

Ecco allora che Nostro Signore, nel passo in esame, conscio che il fraintendimento di Giacomo e Giovanni non costituiva un caso isolato, provvede a chiamarli a sé come aveva fatto tutte le volte in cui era necessario che ricevessero un insegnamento mirato e importante. Questo inizia come abbiamo accennato, “Voi sapete che coloro che sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono”, cioè li esorta a riflettere partendo dalla semplice osservazione di ciò che è tangibile.

In questa frase abbiamo due soggetti, “i governanti” e “i capi”, quindi viene chiamata in causa la totalità del potere, la sua architettura volta a reprimere e opprimere nei modi più svariati i suoi sottoposti. La prima cosa che si sa di una società è che questa non può reggersi senza un apparato repressivo che la mantenga, concedendo una libertà più o meno ampia ai suoi membri che, il più delle volte, liberi sono solo in apparenza. Non esiste nessun Paese, nessuno Stato in cui essere veramente liberi.

Se quindi, tornando ai nostri versi, il sedere alla destra e alla sinistra di Gesù nella sua gloria era un desiderio ispirato dalla carne, ecco che Lui provvede immediatamente a sgombrare il campo dalle illusioni e dalle consuetudini: “Tra voi però non è così”, cioè non può essere perché, se siete miei discepoli, anzi apostoli con tutto quello che comporta, ciò a cui dovete aspirare non è il pervenire ad una società gerarchica, piramidale, con onori e rituali di varia natura, perché siete/sarete Chiesa, quindi una realtà completamente diversa.

“Tra voi però non è così”, cioè nel momento in cui vi organizzerete con “governanti” e “capi” che “dominano” e “opprimono”, cesserete di essere miei rappresentanti, perderete la capacità di predicare il Vangelo e di portare delle anime alla salvezza, predicherete vuoto e illusione. Attenzione perché tutto questo non autorizza l’anarchia, ma inquadra semplicemente la vera autorità spirituale in seno alla Chiesa ed ecco perché “chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore”, principio che è un filtro teso a bloccare qualunque ambizione perché chi aspira a diventare importante in senso umano nella Comunità cristiana rifuggerà subito il concetto di servire e ancor di più il secondo principio, cioè “chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. I due termini, “servitore” e “schiavo”, possiamo vederli come i più bassi della scala sociale del tempo e nostra, per quanto non più in uso ma concettualmente impiegati.

A conferma poi che il principio stabilito in quella sede non sia filosofico, Gesù parla subito di sé: “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”, quindi in pratica se Lui aveva tutto il diritto di venire adorato in quanto Figlio di Dio, come Figlio dell’uomo era venuto per “servire”, cioè porsi allo stesso livello della creatura bisognosa e mettersi al suo servizio nel senso di indicarle la strada verso la salvezza fino a “dare la sua vita in riscatto per molti”, quindi una posizione, un ruolo più totale di quello era impossibile. Poteva giudicare tutti come Dio puro e non lo fece. Poteva accettare gli onori che avrebbero voluto attribuirgli quanti lo riconoscevano come Messia, ma non volle nemmeno questo, servendo fino a “dare la sua vita in riscatto per molti”, quella vita alla quale nessun uomo vuole mai rinunciare.

È importante sottolineare che i termini “servitore” e “schiavo” vanno rapportati non a una posizione subordinata ai desideri altrui, ma al “servire” di Gesù, che divenne “servo” non al volere capriccioso degli uomini, ma del loro voler elevarsi, cercare per trovare davvero, risolvere nel senso più nobile del termine un’esistenza che altrimenti, indipendentemente dalla loro posizione sociale, si sarebbe trascinata fino all’inconcludenza della morte, che poi della vita è è il punto di arrivo.

Non va neppure dimenticato quel suo “dare la sua vita in riscatto per molti”, termine che nella Scrittura allude a un pagamento quale equivalente per una vita tolta (Esodo 21.30), al prezzo per la liberazione di uno schiavo (Levitico 25.51), al risarcimento interiore di sofferenze (Proverbi 13.8), al prezzo di redenzione per un condannato a morte (Esodo 21,80) ed è usato per indicare liberazione da morte, calamità o peccato (Salmo 49.7,8; Isaia 35.10). Ecco cosa ha comportato il riscattare la creatura da parte di Gesù.

A questo punto, andando più in profondità nei due termini “servitore” e “schiavo”, il greco ha per il primo diàkonos, parola che nella Chiesa verrà utilizzata per quelli che ministravano ai poveri e agli infermi e attendevano alle necessità della Comunità cristiana, mentre per il secondo abbiamo doùlos, molto più forte, correttamente tradotta nella nostra versione e in altre.

Credo che, nella storia della Chiesa, nessun uomo sia stato più “servo” dell’apostolo Paolo, che dalla sua conversione, superato il periodo della formazione curata personalmente da Dio, affrontò ogni genere di persecuzione, prigionia, percosse, viaggi, malattie e sofferenze pur di portare il Vangelo agli altri. Anche senza la lettura del libro degli Atti, fondamentale per conoscere le vicende della Chiesa primitiva, l’esame delle cartine dei viaggi dell’Apostolo che troviamo in pressoché tutte le Bibbie non può lasciarci indifferenti se pensiamo ai mezzi allora in uso per spostarsi. E certo il “servire” di Paolo non si limitò alle fatiche nella carne, ma comprese quelle spirituali non solo nel formare quelli che sarebbero stati i futuri responsabili delle varie Chiesa, ma anche nel soffrire perché il Vangelo veniva interpretato falsamente e con scopi diversi dalla salvezza delle anime, senza contare tutto l’impegno profuso nelle lettere che costituiscono il quinto vangelo, senza le quali noi stessi non avremmo tutti quegli orientamenti dottrinali che Gesù non poté dare perché disse “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera perché non parlerà da sé, ma dirà tutto quello che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo vi ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà” (Giovanni 16.12-15).

Possiamo infine concludere con il nostro Esempio e Riferimento per eccellenza, Gesù Cristo e al suo “servire”, commentato da Paolo in questo modo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!» a gloria di Dio Padre” (Filippesi 2.5-11). Amen.

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