15.25 – LA RISURREZIONE DI LAZZARO (Giovanni 11.38-46)

15.25 – La risurrezione di Lazzaro (Giovanni 11.38-46)

 

38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare». 45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quello che aveva compiuto, credettero in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono quello che Gesù aveva fatto”

 

Gesù quindi, “ancora una volta commosso profondamente” per le ragioni che abbiamo esposto, “si recò al sepolcro” con Marta e Maria seguìto dai Giudei. Il “sepolcro” cui dà cenno Giovanni era, data la famiglia benestante, costruito nel tufo orizzontalmente con un piccolo atrio dal quale si accedeva alla camera funeraria vera e propria. L’atrio era quello che comunicava con l’esterno con una porta che veniva, a sepoltura ultimata, chiusa da una grossa e pesante pietra che vi veniva fatta rotolare sopra. Questi erano i sepolcri nei terreni collinosi; in quelli pianeggianti lo scavo era verticale.

A questo punto abbiamo l’ordine di Gesù, “Togliete la pietra!” sul quale possiamo fare qualche riflessione: prima, nessuno ne capì il motivo e fu trovato da tutti illogico, Marta per prima. Per lei era assurdo che Nostro Signore potesse far qualcosa per il fratello visto che era lì “da quattro giorni”, proprio quando l’anima, secondo una tradizione giudaica, dopo aver cercato inutilmente per tre giorni di tornare nel corpo, il quarto vi rinunciava e lo abbandonava per sempre. Seconda osservazione riguarda i presenti perché era proibito aprire un sepolcro per evitare la contaminazione dovuta al contatto col cadavere. Suppongo che grande fu la riluttanza in proposito e credo che fu aperto solo perché Gesù a Betania era molto conosciuto.

Terza considerazione la farei sull’ambiente e cioè che lì ogni cosa “sapeva di morte”: abbiamo il dolore per la dipartita di Lazzaro, le lacrime sparse, quel silenzio così anomalo che riflette lo stato d’animo dei presenti, interrotto magari da qualche mormorio o calpestio, comunque un ambiente “pesante”, destinato a mutare radicalmente qualche istante dopo l’ordine di Dio di togliere via la pietra. Quarta considerazione: nessuno sapeva cosa sarebbe successo tranne Gesù, che avrebbe chiamato Lazzaro dalla morte alla vita. E così è sempre, anche nel caso del credente che, nel momento in cui accoglie il Figlio di Dio dentro di sé, risorge a nuova vita: infatti si affida a Colui che “dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono” (Romani 4.17) e noi siamo quelli che “da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo” (Efesi 2.5).

Quinta e ultima considerazione: nessuno tra i presenti – è stato già scritto – comprese quell’ordine perché nessun uomo potrà mai comprendere il piano di Dio se Lui stesso non glielo rivela. Isaia 55.8 riporta “I miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie vie”. La presenza di Gesù in quel luogo poteva essere garanzia di consolazione, ma nessuno tra i presenti poteva sapere come avrebbe agito, neppure una volta dato l’ordine di togliere la pietra che copriva l’ingresso del sepolcro.

La risposta di Marta è interessante perché in essa possiamo intravedere due sentimenti il primo dei quali – non necessariamente nell’ordine che le vennero alla mente – è l’assurdità della situazione: aprire un sepolcro con dentro un morto che per giunta già mandava cattivo odore era cosa del tutto inutile; poi, in qualità di sorella maggiore, si preoccupa del fratello non desiderando che il suo corpo fosse disturbato, quindi abbiamo un profondo senso di rispetto per lui.

Anche qui mi viene un paragone con Pietro, forse perché entrambi sono personaggi accomunati da una grande forza d’animo, di carattere e impulsivi: Marta, come l’apostolo, aveva dato da poco una formidabile testimonianza col suo credere in Gesù definendolo “Il Cristo, il Figlio di Dio, colui che deve venire nel mondo”, ma ora non ha idea di cosa Lui stia per fare e si frappone, per quanto inconsapevole, fra la resurrezione del fratello (che non immaginava sarebbe avvenuta) e l’artefice di questa proprio come Pietro che, all’annuncio del Maestro in merito alla Sua futura morte, reagì rimproverandolo “Dio non voglia, Signore, questo non ti accadrà mai” (Matteo 16.22). Sono certo due circostanze diverse, ma l’intento ostativo è lo stesso: l’essere umano raramente accetta immediatamente il volere o il piano che Dio ha per lui ed ecco perché per Marta abbiamo il richiamo “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?”.

E che cos’è la “gloria di Dio”? Tutto ciò che esula dall’ordinario umano, che lo vince, che trascende. “Gloria di Dio” è un’anima che si converte e ne dà testimonianza, è l’inizio di una nuova vita, un’esistenza che pone Cristo al centro e da lì fino a un corpo che risorge, la Nuova Gerusalemme, i Nuovi cieli e Nuova terra, la nostra esistenza là. La “Gloria di Dio” è il tutto cui siamo destinati: “saremo per sempre col Signore” (1 Tessalonicesi 4.17).

Poi, “Vedrai la gloria di Dio” non è solo una promessa fatta a Marta, ma ad ogni persona che crede nella morte e resurrezione di Gesù per il riscatto dei propri peccati, nell’ “Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”; Marta, e i presenti con lei, ebbero un’ennesima prova di come il Signore può operare nei confronti di un corpo non solo inerte, ma sotto decomposizione cioè quando ogni organo dà prova ufficiale di una corruzione cui è impossibile porre rimedio.

A questo punto, tolta la pietra a chiusura del sepolcro facendola rotolare, abbiamo un intervento verbale di ringraziamento di Gesù al Padre. Non è quello che definiremmo “preghiera” in senso stretto perché non chiede nulla, ma lo è se andiamo oltre il termine, che contempla la comunicazione di qualunque sentimento o necessità per cui “preghiera” è per noi studio, lavoro, dialogo con Lui, attesa, silenzio e contemplazione.

Le parole di Gesù furono pronunciate ad alta voce e vediamo che iniziano con un ringraziamento, “Padre, io ti rendo grazie perché mi hai ascoltato”, parole dette “per la gente che mi sta attorno, perché credano che mi hai mandato”: qui dobbiamo prestare la massima attenzione perché i presenti, testimoni di un evento che nessuno avrebbe potuto contestare, dovevano sapere sì che Gesù era Figlio di Dio e come tale in grado di risuscitare un morto, ma soprattutto lo dovevano riconoscere tanto come Uno con il Padre, quando come Colui che tutto faceva tranne che l’agire da solo ed ecco perché pregava continuamente! Nessuna guarigione, piccola o grande, avveniva dietro iniziativa personale ed i presenti avevano bisogno di sapere che chi aveva visto lui aveva visto il Padre (14.9), che il Figlio da sé non poteva far nulla (5.17) e che quindi tutta la sua vita era di sottomissione a Lui per il pieno, perfetto recupero della creatura caduta, ferita e umiliata dal peccato. Ecco perché abbiamo il ringraziamento.

C’è però un’altra lettura per la preghiera di Gesù ad alta voce e cioè che, consapevole dell’ascolto del Padre, si sottopone al giudizio di tutti i presenti: Deuteronomio 18.22 afferma che “Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui”.

 

Finito questo intervento, abbiamo il secondo imperativo, questa volta a Lazzaro come persona, quindi rivolto alla sua realtà, spirito, anima e corpo, “Lazzaro, vieni fuori!”. Lo chiama per nome e Lazzaro non può fare a meno di sentire e di ubbidire a quella voce, cosa impensabile e assolutamente straordinaria per tutti, ma non per chi crede perché sa già di essere destinato alla resurrezione che porta alla vita eterna. Gesù ha fatto qualcosa di straordinario per noi che abitiamo un corpo di carne, ma non per Lui che, prima di occuparsi dell’uomo alla creazione, era là col Padre che stendeva l’Universo. Con la resurrezione dell’amico, il Figlio di Dio ha voluto anticipare, dare un esempio di quello che sarà la resurrezione di tutti, che non potranno non rispondere alla “tromba di Dio” che li chiamerà a risorgere.

Qui si parla di tutti gli uomini e le donne vissuti/e da Adamo in poi. Si parla di corpi di cui non esiste nemmeno la polvere, corpi che sono andati ben oltre la decomposizione di quattro giorni, ma che sono stati bruciati, che sono affogati, seppelliti sotto frane o valanghe, esseri di cui non esiste più memoria, ma sappiamo ciò che vide l’apostolo Giovanni: “il mare restituì i morti che esso custodiva, la Morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere” (Apocalisse 20.13).

La risurrezione di Lazzaro rende quindi testimonianza di tutte queste cose, è un miracolo che va oltre, confermando che di fronte alla chiamata rigeneratrice di Dio, in salvezza o in giudizio, sarà impossibile nascondersi e resistere perché la volontà umana non esisterà più nel senso che ogni scelta sarà già stata fatta e sarà finito il tempo del libero arbitrio.

Mi sono chiesto quanto tempo passò da quando Gesù ordinò a Lazzaro di uscire e a quando comparve sulla porta del sepolcro: stante il fatto che ogni miracolo fatto ebbe sempre un effetto immediato, credo che ci abbia impiegato il tempo necessario ad una persona avvolta in bende per scendere dal loculo e guadagnare l’uscita, raggiunta con fatica stante l’impedimento dato dal rivestimento funebre che fu probabilmente secondo l’uso egiziano in cui si avvolgevano le membra separatamente, poi coperte da un lenzuolo, altrimenti non avrebbe potuto uscire se le bende fossero state avvolte in modo stretto attorno al corpo, arti compresi. Anche se fosse stata adottata la seconda tecnica, comunque, certo la potenza di Dio non sarebbe stata ostacolata da quella.

Non riesco ad immaginare la scena non tanto di quest’uomo che esce dal sepolcro, ma quella relativa alle reazioni dei presenti, Marta e Maria comprese. Sicuramente, per un tempo non quantificabile, scese un silenzio assoluto. Quale sentimento si impossessò dei presenti, paura? Gioia? Senso di liberazione perché era giunto il Messia tanto atteso? Credo che ci sia dato sapere la sola cosa che conta e cioè che “Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui” (v.45) e, se ci pensiamo, fu un miracolo nel miracolo perché ci troviamo di fronte non a persone ordinarie del popolo, ma a notabili e rettori che finalmente si arresero all’evidenza, ad un miracolo fatto non per Lazzaro, Marta e Maria, ma fondamentalmente per loro, “perché credano che tu mi hai mandato”.

Ecco allora che la motivazione della resurrezione di Lazzaro non va ricercata nel fatto che il “Maestro buono” abbia voluto fare un regalo a quella famiglia o voleva stare col suo amico, ma dimostrare a tutti di essere in grado di sconfiggere la morte, aggiungendo così certezza e autorità alla Sua frase in base alla quale avrebbe ricostruito il Tempio in tre giorni. Lazzaro fu uno strumento nelle mani di Dio per dimostrare non la Sua esistenza, ma la Sua fedeltà e veridicità di tutto quanto da lui fatto e detto per la salvezza dell’uomo. Amen.

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