15.24 – IL DIALOGO CON MARTA E MARIA (Giovanni 11.28-37)

15.24 – Il dialogo con Marta e Maria (Giovanni 11.28-37)

 

28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. 

32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».

 

A conclusione del dialogo con Marta, di cui Giovani riporta le frasi più importanti, Gesù le aveva comunicato il suo desiderio di parlare con la sorella: “Il Maestro è qui, e ti chiama” è il messaggio prontamente accolto da Maria che abbandona “subito” l’ambiente di consuetudini in cui si trovava. Gli comunica il desiderio del “Maestro” che certamente avrebbe avuto per lei parole ben diverse da quelle che poteva ascoltare dai presenti in casa sua. Maria, quindi, si alza e va da Gesù consapevole di tutto questo, di una chiamata individuale, precisa, memore delle parole che aveva ascoltato da Lui tempo addietro. Allora si era posta ai piedi di Gesù, la stessa posizione che assumevano i discepoli coi loro maestri, in un dialogo profondo e non in un’acquisizione passiva di concetti. Consapevole che da Lui avrebbe ricevuto ben altro, “si alzò e andò da lui”.

È su questo alzarsi di Maria che possiamo fare le prime considerazioni perché, nella Scrittura, questa azione equivale ad ottemperare ad un invito ad entrare nel piano di Dio: andando a ritroso alle origini, quindi al libro della Genesi, fu il primo invito rivolto ad Abramo (a parte quello di lasciare il suo parentado) quando gli fu detto “Àlzati, percorri la terra in lungo e in largo, perché io la darò a te” (13.17); ancora, ricordiamo le parole ad Agàr, “Àlzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, poiché io ne farò una grande nazione” (21.18) e poi Mosè, “Àlzati di buon mattino e preséntati al faraone quando andrà alle acque. Gli dirai: «Così dice il Signore, il Dio degli Ebrei: lascia partire il mio popolo, perché mi serva” (Esodo 8.16).

Ancora, tralasciando tutti gli altri, tanti episodi dell’Antico Patto, questo fu l’imperativo rivolto a molti dei guariti da Gesù e non solo, e qui vediamo la vita nuova alla quale venivano chiamati che andava ben oltre al fatto che era stato risolto il problema della loro infermità: ciò avvenne già con Giuseppe, quando fu invitato ad andare in Egitto, al paralitico di Capernaum, “Àlzati, prendi il tuo letto e va’ a casa tua” (Matteo 9.6), all’uomo con la mano paralizzata, “Àlzati, vieni qui in mezzo!” (Marco 3.3), a quelli che chiamarono il cieco, “Coraggio, àlzati, ti chiama!” (Marco 10.49) per non parlare della figlia di Giairo, morta da poco: “Fanciulla, io ti dico, àlzati” (Marco 5.41).

 

Alla chiamata di Gesù, Maria non ascoltò altro, lasciò il suo stato di persona vittima del dolore, e “andò”, cioè impresse alla sua vita una direzione diversa da quella consueta talché i presenti, fraintendendo, ritennero logico che volesse raggiungere la tomba del fratello per piangere come atto spontaneo e veramente doloroso perché, va ricordato, nei funerali e anche dopo venivano impiegate persone pagate apposta per piangere accompagnandosi con alte grida.

I Giudei quindi sappiamo che si misero a seguirla, rendendo così vano l’originale proposito di Gesù che, fuori dal paese per evitare di essere visto e circondato dai molti che lo conoscevano,  intendeva incontrarla riservatamente. Così, quelle persone diventeranno involontari testimoni di qualcosa assolutamente impossibile da spiegare: mettiamoci per un attimo nei panni dei detrattori di Gesù: se con la prima risurrezione si poteva supporre che la figlia di Giàiro dormisse e che chi ne aveva decretato la morte si era sbagliato, già con il figlio della vedova di Nain, portato con il corteo funebre, non ammettere il suo ritorno alla vita dietro intervento del Figlio di Dio sarebbe stato molto più difficile. Con un morto da quattro giorni, però, altro non rimaneva se non accettare una volta per tutte che Gesù era veramente chi diceva di essere.

L’incontro di Gesù con Maria, nonostante le parole identiche di Marta, ha delle differenze che ancora una volta ci rivelano il carattere delle due sorelle perché mentre la prima dimostra un carattere più forte, la seconda gli si getta ai piedi piangendo, sintomo di un dolore non ancora elaborato, di maggiore sensibilità e quindi vulnerabilità. Inoltre, Maria appare affetta da un sentimento privo di speranza perché mancano le parole “ma pure, so che tutto ciò che chiederai a Dio, egli te lo darà”. Maria non va, come la sorella, al di là del fatto in sé, ma accantona per un momento tutte le parole ascoltate, ma di cui si ricorderà e che elaborerà nell’episodio dell’unzione. Non vede al di là della morte del fratello che considera un fatto irrimediabile. La porta del sepolcro era stata chiusa così come la possibilità di tornare indietro.

L’apostolo Giovanni non ci riferisce altro al di là della notifica a Gesù di questo pensiero ed è molto probabile che così sia avvenuto perché, se con Marta l’incontro fu privato, nel caso di sua sorella c’erano persone presenti, per di più non ordinarie, cioè i Giudei. Se Gesù avesse detto qualcosa a Maria in quel momento, costoro avrebbero ascoltato e avrebbero certamente fatto commenti dall’ “alto” del loro sapere, per cui Gesù lasciò ai fatti il compito di parlare al Suo posto. Le parole tra i due sembrano, almeno secondo il mio punto di vista, pronunciate apposta perché gli altri le sentissero: “Dove lo avete posto?”, “Togliete via la pietra” ed altro che esamineremo. Gesù darà quindi ai presenti non più occasione di criticarlo e giudicarlo, ma parole e un fatto inequivocabile, incontrovertibile.

 

A questo punto però dobbiamo affrontare due particolari sui quali si sono spese molte parole e cioè le reazioni di Gesù al clima che si era venuto a creare il primo dei quali è descritto al verso 33, e cioè “quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, e molto turbato domandò: dove lo avete posto?”.

Credo che sia d’obbligo cercare di capire le ragioni e cosa significhi quel “si commosse profondamente, e molto turbato…”, descrizione sulla cui veridicità non possiamo dubitare visto che Giovanni, che era presente, descrisse questo stato d’animo.

Va detto che “si commosse profondamente” è una libera interpretazione più che una traduzione letterale che sarebbe “fremette nello spirito”, ma a livello di indignazione e rimprovero. Verrebbe da attribuire tutto questo allo stato di inconsolabilità di Maria e al pianto ipocrita dei Giudei, ma si tratta di una lettura troppo immediata del carattere di Gesù, che – è vero – respinse sempre i sentimenti umani quando portavano a posizioni estranee alla fede: piuttosto credo che in quel momento Lui si trovò a constatare personalmente gli effetti del peccato e dell’opera dell’Avversario, vedesse insomma il trionfo del male e soprattutto il modo assolutamente impreparato con cui l’uomo reagiva ad essi. Certo erano cose che sapeva benissimo, ma in questo caso Lui era lì, Dio, ma nel corpo. Dio, ma uomo e questa sua reazione è per me qualcosa di assolutamente spontaneo, che lo rivela veramente come scritto in Ebrei 4.14-16: “Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno”.

Secondo dato su Gesù in questa circostanza è che fu “molto turbato”: direi che fu la conseguenza diretta del primo sentimento. Sono convinto che il turbamento, che poi provocò il Suo pianto, fu proprio causato dal perfetto equilibrio fra il suo essere uomo e il suo essere Dio: in altri termini, avendo rivelato il Padre in modo consono all’uomo, non essendo più il Dio distante e irraggiungibile dell’Antico Patto (nel senso di non alla portata dell’uomo a livello di identificazione), non poteva non essere partecipe di tutta quella sofferenza, di tutto quel deserto interiore. Sono convinto che pensò non tanto a Lazzaro, che sapeva benissimo “dormire” e che avrebbe risuscitato di lì a poco, ma alla morte intesa come fine reale dell’esistenza che avrebbe conosciuto la maggioranza dei presenti che lo rifiutava come l’ “Io sono la resurrezione e la vita”. L’uomo, fatto per amare Dio ed essere da Lui amato, si ritrovava ora vittima del peccato, della morte e soprattutto di Satana nei confronti dei quali non aveva – mi verrebbe da dire “non voleva avere” – difese.

La domanda “Dove lo avete posto?”, rivolta al plurale, ci conferma che con Maria ci fosse anche Marta, che però si tenne a rispettosa distanza dalla sorella perché, se così non fosse, questa non sarebbe stata presente alla risurrezione del fratello, cosa che mi sembra improbabile stante i trascorsi umani e spirituali del tre con Lui.

Terzo comportamento di Gesù “anomalo” è il pianto, diretta conseguenza dei primi due sentimenti che aveva provato. Ricordo di una persona a me cara che un giorno mi fece notare l’assurdità di quel pianto perché, siccome Gesù avrebbe risuscitato Lazzaro di lì a poco, non avrebbe avuto senso e da lì traeva le convinzioni che fosse un episodio inventato o appartenente comunque a una leggenda. Si tratta però di una lettura profondamente errata perché il pianto di Gesù, come gli altri due modi con cui rivelò i suoi sentimenti, non era certo dovuto alla morte dell’amico.

C’è poi una sostanziale differenza tra il suo piangere e quello dei presenti, che in italiano non è possibile rilevare, ma in greco sì. Per costoro viene impiegato “klàio”, che significa “lamentarsi ad alta voce e con grida”, per Gesù “diakrùo”, cioè “versar lacrime in silenzio”. Il verso 36 quindi, non si può tradurre con “E Gesù scoppiò in pianto”, ma semplicemente “Gesù pianse”, facendolo il versetto più breve di tutta la Bibbia. E questo pianto è del tutto assimilabile a quello su Gerusalemme: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Luca 19.41-44).

C’è chi ha supposto che in quel momento, che sapeva così profondamente di perdita, morte e disorientamento, Gesù avesse visto anche la propria: Lui che non ne aveva bisogno, che avrebbe potuto benissimo rimanere dov’era, ma senza salvare nessuno, fu talmente immerso nella condizione di uomo da passare attraverso una morte così squalificante da essere perfetta. E anche qui, il pianto non trovò le sue origini nel suo consegnarsi in sacrificio, ma fu diretto a quel muro di morte che dominava quasi tutti i presenti. Come reagire infatti al verso che conclude la nostra terza parte, “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che anche costui non morisse”?

Abbiamo il trionfo dell’ignoranza più profonda: i Giudei ne fraintesero il pianto – “Guarda come lo amava!” –, altri davano per scontato che potesse compiere un miracolo evidente come quello del nato cieco, senza però credere in lui e pure osavano giudicarlo moralmente! Si tratta di manifestazioni di fronte alle quali non ci si può chiedere cosa fare per porvi rimedio semplicemente perché non esiste, essendo l’uomo abitato dallo spirito di Dio o dell’Avversario. Amen.

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