15.23 – L’INCONTRO CON MARTA (Giovanni 11.17-27)

15.23 – L’incontro con Marta (Giovanni 11.17-27)

 

17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri  19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

 

Tra la morte e la resurrezione di Lazzaro sappiamo che trascorsero quattro giorni, ma anche tre incontri: quello con Marta, con Maria e quindi con quanti furono presenti e testimoni dell’accaduto. Nonostante i versi oggetto di riflessione siano pochi, dieci, molti sono i dati che possiamo ricavare leggendo “tra le righe” per renderci conto del contesto: dal particolare espresso al verso 19, “Molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello” possiamo avere conferma di quanto avevamo ipotizzato a proposito della condizione sociale della famiglia, evidentemente altolocata per la presenza appunto dei “Giudei”, quindi i rettori del popolo, quei membri del Sinedrio che conoscevano molto bene Lazzaro e le sue sorelle che non si sarebbero certo scomodati per una persona di rango inferiore al loro.

Va poi dato un breve cenno sulle usanze in merito alla gestione del lutto per la perdita di un proprio caro a quel tempo, poiché il periodo dedicato al cordoglio era di trenta giorni: i primi tre erano di “pianto” cui ne seguivano sette di “lamento” e i rimanenti erano di “lutto” quindi, arrivando al quarto giorno, Gesù arriva alla fine di quelli di pianto e al primo del lamento. Arriva, ma non irrompe in casa con tutti i presenti perché Marta, saputo da qualcuno che il Maestro stava per arrivare, gli corre incontro confermandosi così la donna concreta e d’azione che aveva già dimostrato di essere. Anche qui abbiamo un ulteriore dato della personalità di Marta che, assolutamente convinta che non sarebbe stata mai lasciata sola da Gesù, aveva posto qualcuno, alle porte o nei dintorni del villaggio, che la avvisasse del Suo arrivo.

Nostro Signore si era fermato prima di Betania perché sarà lì che verrà trovato anche da Maria più tardi (“Gesù non era ancora giunto nel villaggio, ma era nel luogo in cui Marta l’aveva incontrato”): fuori dal villaggio e quindi dalle consuetudini, dal cordoglio rituale che tiene ancora più prigioniero il dolore, da quel contegno discutibile di molti che mormorano le stesse frasi di circostanza ai parenti del morto. Si può dire che, col Suo sostare, è Lui ad attendere Marta e Maria prima di risuscitare il loro fratello perché il messaggio, le parole che ha da dire a loro è/sono profondamente diverse da quelle degli altri. E lo stesso accade con ogni cristiano nel momento in cui si mette a confronto con Lui, chiamato fuori dall’ordinarietà e banalità della vita terrena, consapevole dell’ascolto, in preghiera, nel senso bidirezionale del termine: Dio ascolta me, ma io devo ascoltare Lui, che si esprime non solo con parole, ma anche con i fatti, risposte anche costituite da silenzi e attese. Così, se veniamo a conoscenza di un comportamento che dovremmo assumere perché lo impongono la nostra dignità e fede e non lo concretiamo, inevitabilmente veniamo catapultati in un ambito in cui perdiamo tempo, tutto resta nell’ambito del sentimento (religioso) e la nostra comunione con Dio si interrompe.

 

E ora veniamo all’incontro con Marta, persona che, per degli strani meccanismi psicologici, viene sempre in mente collegarla all’episodio in cui rimproverò Gesù perché non aveva detto alla sorella di aiutarla nelle faccende domestiche quando qui, al verso 27, abbiamo l’espressione di un concetto che addirittura va a completare quello espresso da Pietro che riconobbe in Gesù “Il Cristo, il figlio del Dio vivente” aggiungendo “che deve venire nel mondo”.

Marta ha una reazione pronta, immediata perché “come udì che veniva Gesù, gli andò incontro” mentre la sorella minore “stava seduta in casa” in ossequio alla tradizione che vedeva nello stare seduti a terra il modo per esprimere il dolore che, per quanto necessario, stanca sempre, come se fosse una persona che ti sta vicino per convenienza, consuetudine, tradizione o per i suoi scopi. Comunque non perché ti ama.

Non sappiamo se Gesù fu raggiunto da Marta di corsa o con passo veloce, ma di sicuro ciò che gli dice rivela molto di lei: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” è la prima parte del suo breve discorso, che contiene anche qui un rimprovero perché, a suo modo di vedere, Gesù avrebbe potuto intervenire sulla malattia e impedire la morte del fratello. Marta era quindi legata, come nel caso del figlio del funzionario del re in 4.49, al fatto che Gesù dovesse per forza essere presente per operare senza contare il fatto che quanto le due sorelle gli avevano fatto sapere – ricordiamo le parole “Signore, ecco, colui che tu ami è ammalato” – non aveva provocato in Lui, apparentemente, nessuna reazione, anzi, era giunto in ritardo. Nelle parole di Marta non c’è una richiesta di spiegazione sul messaggio che le era stato recapitato, “Questa malattia non porta alla morte, ma è per la gloria di Dio” che sicuramente non aveva capìto, ma solo il dolore per il decesso di una persona cara che non avrebbe dovuto verificarsi, dimenticando che l’essere umano su questa terra è provvisorio e non sa quando verrà il tempo in cui verrà chiamato da Dio perché “il giorno del Signore – che ha una quantità innumerevole di significati e riferimenti – verrà come un ladro di notte”.

La seconda parte di quanto detto da Marta, invece, è molto più interessante dal punto di vista della crescita della rivelazione: “Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà”. La conoscenza che questa donna ha di Gesù – e non poteva essere altrimenti – è imperfetta, legata alla Sua presenza guaritrice e risolutrice, al concetto già espresso dal cieco nato, “Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta” (9.41); non solo, ma noto anche un parallelo con Maria, madre di Gesù, che alle nozze di Cana disse ai servi “Fate tutto quello che vi dirà”, lasciando a Lui ogni decisione sul da farsi. Marta, quindi, accanto alla sua convinzione in base alla quale se Gesù fosse stato presente avrebbe potuto impedire la morte di Lazzaro, qui dà un’apertura nel senso che sa che il Signore farà senz’altro qualcosa, anche se non sa cosa o come. Con la sua ultima frase Marta non chiede a Gesù di resuscitare il fratello, ma sa che la Sua presenza non si sarebbe limitata al porgere le proprie condoglianze rituali e soprattutto prive di una reale partecipazione come spesso accade anche ai nostri funerali, dove magari si va per non recare offesa ai parenti del defunto e non per dare idealmente un ultimo saluto o portare, con la propria presenza, un’espressione di condivisione o supporto al dolore.

A questo punto abbiamo una rivelazione particolare di Nostro Signore che dapprima dice “Tuo fratello risusciterà” ponendola in un futuro che Marta comprende essere lontano nel tempo – “So che risorgerà alla risurrezione nell’ultimo giorno” –, ma poi, alla dichiarazione “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque crede in me, non morirà in eterno”, abbiamo il vero spostamento dell’asse su cui basare la propria fede: “chi crede in me, anche se nuore, vivrà” e “non morirà in eterno”, quindi non si perderà nel tempo e nello spazio, o meglio nel nulla, nell’informe, nel vuoto dove niente ha più senso perché al di fuori di Dio non ce n’è alcuno. Si ritorna a prima della creazione, quando “La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso”. E, in proposito, va notato che non ci sarà più “lo spirito di Dio (che) aleggiava sulle acque” che ai tempi era sinonimo di speranza di vita, come in effetti fu. Per chi sarà fuori dal regno di Dio, quindi, non ci sarà una nuova creazione, ma solo morte.

Qui Gesù, parlando di risurrezione, intende quella di un corpo trasformato, che in virtù della fede avuta si riappropria del proprio soma per vivere e non per morire un’altra volta: “…e se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna” (Matteo 25.46). Marta, con le sue parole, esprime un concetto indubbiamente vero, ma dimostra di avere l’idea di Gesù come il più perfetto degli uomini e per questo ascoltato da Dio, ma non del fatto che proprio a Lui appartenessero la risurrezione e la vita. Ecco allora che Nostro Signore, con il suo “Io sono” ne rivendicherà l’essenza sapendo che dovrà dimostrare di essere “la resurrezione e la vita” non solo con se stesso, ma anche con gli altri, fino a quel momento due e, da lì a poco tempo, tre con Lazzaro. E l’apostolo Paolo potrà scrivere “Se per mezzo di un uomo – Adamo – venne la morte, per mezzo di un uomo – Gesù – verrà anche la resurrezione dei morti” (1 Corinti 15.21). Notiamo i due “uomo” che ci parlano del Cristo venuto a porre rimedio al peccato di Adamo. Quanto alla “vita”, poi, così scrive Giovanni nella sua prima lettera: “Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita, chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita” (5.11).

Lazzaro quindi, che aveva creduto in Gesù, gli apparteneva e in quanto tale avrebbe potuto risorgere non solo nell’ultimo giorno, ma in qualsiasi momento se Lui lo avesse chiamato, come poi avverrà. Ecco perché abbiamo, a proposito di Lazzaro morto, il presente “dorme”, che prelude a un risveglio, lo stesso che avranno tutti, e “…ma io vado a svegliarlo”: c’è il “ma”, cioè la morte ha potere sul corpo fino a quando Dio non decide altrimenti. E, del resto, fu Lui a dire “Sia la luce!”, che diede poi origine alla biodiversità, che intervenne sull’uomo personalmente per infondergli spirito e vita.

Abbiamo poi “Chi vive e crede in me, non  morirà in eterno”, dove le condizioni per non morire davvero sono due, “vivere” e “credere” cioè una identificazione costante perché come diamo prova di essere vivi nel mondo con l’azione (ci muoviamo, lavoriamo, esistiamo ciascuno con la nostra personalità e idee), così dobbiamo dimostrare di essere vivi in Cristo, dimostrazione del fatto che crediamo. Non può esserci un “credere” senza un “vivere” e viceversa ed ecco perché Gesù conclude il suo intervento su Marta con la domanda “Credi tu questo?”: non le sta chiedendo un’enormità, ma una verifica prima di tutto interiore. Marta aveva visto e sentito parlare Gesù molte volte e non possiamo escludere che fosse stata testimone di più di un miracolo, come quello di Simone il lebbroso; ora, viene chiamata a dichiarare la sua opinione in proposito su di Lui e a riflettere sulle sue ultime parole.

Ora qui abbiamo, sottovalutata perché si pensa sempre a Pietro e mai a lei, una delle più belle risposte a una domanda di Gesù nel Vangelo circa la Sua identità, che qui viene spontanea: “Sì, o Signore; credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. Totale. E guardando nel Vangelo, non è l’unico riconoscimento avuto da Nostro Signore, pensiamo ai Samaritani che in 4.42 dissero “Noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”. A parte Pietro, abbiamo anche i presenti  alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma con un fraintendimento perché alle parole “Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!” (6.14) volevano farlo re.

Marta, invece, si appropria di Gesù non come re, ma come suo Salvatore personale, attribuendogli le due qualifiche più importanti, “Cristo” e “Figlio di Dio”, aggiungendo “colui che doveva venire nel mondo”, atteso e annunciato dai profeti. Non poteva aggiungere altro. Non serviva altro non per ottenere la risurrezione del fratello, ma per appartenere al vero popolo, alla vera famiglia di Dio. Amen.

* * * * *

Lascia un commento