15.15 – Matrimonio e divorzio III (Matteo 19.3-9)
3Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». 4Egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina 5e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? 6Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 7Gli domandarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?». 8Rispose loro: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. 9Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio».
Credo emerga, arrivati a questo punto dopo due capitoli, per quanto sintetici, sull’istituzione matrimoniale, che questa sia un contratto assimilabile, concettualmente, al battesimo che ogni credente sincero ha compiuto. Quest’ultimo infatti può considerarsi la firma che la persona appone ad un contratto di salvezza fra lui e Dio: sa ciò che riceve, sa che dovrà iniziare un cammino diverso da quello degli altri, perseguendo la santificazione. Sa che dovrà compiere tutta una serie di azioni, percorrere un’infinità di strade, che cadrà nel suo itinerario magari anche facendosi del male e che si dovrà rialzare, da solo o con l’aiuto di altri a seconda delle circostanze. Ma sa anche che affidarsi a Dio sarà l’unica opzione possibile per avere un futuro reale di vita nel regno promesso e che questa scelta non sarà un punto di arrivo, ma di partenza. Dovrà ascoltare lo Spirito Santo, impegnarsi per far fruttare il o i talenti ricevuti.
Non ho mai conosciuto una persona battezzatasi, parliamo ovviamente di adulti o individui in grado di capire le elementari differenze fra bene e male, tornare indietro salvo nel caso in cui non fosse pienamente consapevole a suo tempo delle sue azioni o abbia agito per imitazione altrui o per profonda immaturità, per un entusiasmo irresponsabilmente passeggero. Questo, per quanto in casi eccezionali, avviene per motivi profondamente umani che non credo mi competa giudicare, mentre è innegabile che, se solitamente si giunge al battesimo informati da chi o coloro che sono preposti a una Chiesa, purtroppo la stessa cosa non avviene col matrimonio e qui si apre indubbiamente una ferita dolorosa perché, a differenza del battesimo che è qualcosa di strettamente intimo e personale, per quanto effettuato in presenza di testimoni, il matrimonio è gestito anche al di fuori, nel mondo, che ha al riguardo ideali, metodi di vita diametralmente opposti. Spesso chi arriva a questo passo così importante, se credente e in particolare giovane, porta con sé ciò ha appreso guardando il comportamento dei suoi genitori al riguardo e non è detto che il modello a lui offerto sia qualcosa di sano.
Il matrimonio, col relativo cosiddetto “fidanzamento” che lo precede, è spesso il risultato di scelte inconsapevolmente affrettate, non sufficientemente ponderate, influenzate dal sentimentalismo o da un falso concetto di esso; in poche parole da molti, troppi elementi che non sono spirituali. E coloro che sono/sarebbero preposti al mantenimento e ristoro delle anime nella Chiesa spesso non fanno nulla per formare e informare le persone che si accostano a questa istituzione limitandosi a dire che, se c’è fede, il matrimonio è destinato a durare, che tutto andrà bene, che “i due saranno una sola carne”, commentando più o meno sommariamente alcuni versetti, parlando di una generica sottomissione della moglie al marito, insomma senza formare, istradare le persone ad un passo così fondamentale per la loro vita.
A volte, peggio, non si fa nulla per i futuri sposi che, se credenti, intraprendono un cammino senza avere altro motore se non un amore reciproco che, se non basato su una forte compatibilità di caratteri e vero, profondo interesse reciproco, è destinato a spegnersi naufragando nell’indifferenza lasciando nella solitudine entrambe le parti che poi vivono enormi, profondi drammi interiori, incapaci di comunicarli nel timore di gettare imbarazzo e sconforto negli altri nella Chiesa locale.
Credo che, per quanto non nominato, il matrimonio possa rientrare a pieno titolo nella parabola della costruzione della torre in Luca 14.28-30: “Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: «Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro»”. Qui Gesù parla di una “torre”, non di una “casa”, quindi di qualcosa che non è indispensabile per vivere e dimorarvi, ma va a completare una proprietà esattamente come il matrimonio può farlo nei confronti di una persona.
Ora abbiamo letto “non siede prima a calcolare la spesa e vedere se ha i mezzi per portarla a termine”, cioè un’attività che stupisce il lettore superficiale che si aspetterebbe di trovare la descrizione di un uomo che, dotato di sola fede, s’imbarca in un’attività di quel tipo e, pregando, alla fine riesce nell’impresa suscitando magari l’ammirazione di tutti. Ma questo corrisponde più a un pensiero pentecostale che alla dinamica del credere: la persona della parabola prima di prendere qualunque decisione “siede” – azione che presuppone futuri calcoli, esami, prospetti, fogli, annotazioni, quindi di un ragionamento severo e importante qual è la situazione che lo richiede – “per calcolare la spesa” – cioè valuterà punto per punto non solo se ha il denaro strettamente necessario, ma se è in grado di sostenere eventuali imprevisti – “e i mezzi per portarla a termine” – vale a dire le risorse umane e meccaniche per poterlo fare. Solo allora vi saranno garanzie perché la torre possa arrivare ad essere costruita e a rimanere stabile.
Gesù, con questa parabola, parla a tutti i presenti, “Chi di voi”, quindi a persone esperte, adulte, mature, in grado di capire perfettamente le sue parole. Chiaramente, non ho visto la stessa cosa nella Chiesa nel senso che non si esortano coloro che intendono unirsi in matrimonio a fare come quel costruttore e i cosiddetti “anziani”, o pastori, o sacerdoti, troppo spesso spingono ad unioni affrettate, “perché non c’è l’uomo senza la donna e la donna senza l’uomo”, senza mettere in guardia le anime che dovrebbero essere loro affidate dal pericolo di una scelta non ponderata. Infatti (Marco 3.24-26) “Se un regno è diviso in se stesso, non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, non può reggersi. Alla stessa maniera, se Satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può sussistere, ma sta per finire”.
Queste parole, date da Gesù in risposta a coloro che lo accusavano di scacciare i demoni usando il loro principe, contiene implicitamente una dichiarazione di fallimento per qualunque struttura umana che sia “divisa” cioè non solidale, unita dai medesimi obiettivi e progetti. E all’inizio di queste riflessioni avevamo già individuato come base del matrimonio la volontà di condividere reciprocamente la vita basata su intenti e caratteri comuni. Se la “sola carne”, che comunque comprende due persone, “si ribella contro se stessa ed è divisa, non può sussistere, ma sta per finire”. E tutto questo si verifica già in partenza. Ebbene, io credo che se il regno è diviso in se stesso e la casa altrettanto, lo è perché le persone non sono state adeguatamente preparate e non hanno tenuto conto del fatto che i caratteri e la stessa concezione della vita devono essere, se non identici, certamente molto, ma molto simili; ricordiamo che l’età del matrimonio era di 18 anni per i maschi e 16 per le femmine, per cui gli uni avevano cinque anni dopo il bar mitzwah, il conseguimento della maggiore età, e le altre tre anni per prepararsi a questo evento. Certo non studiavano tutto il giorno le dinamiche e le leggi sul matrimonio, ma quando lo contraevano erano preparati ad affrontarlo responsabilmente anche dal punto di vista “religioso”.
Prima di parlare di matrimonio cristiano, quindi, occorre parlare di preparazione ad esso che non può ridursi a un elenco asettico del tipo “questo lo puoi fare, questo non lo puoi fare”, o raccomandare la sottomissione della moglie al proprio marito intendendola quasi militarmente, ma si deve mettere le persone in grado di sedersi e fare i calcoli per vedere se sono o meno in grado di costruire per evitare poi il crollo di quanto da loro realizzato: allora – e solo allora – si potrà parlare di ciò che significa vivere cristianamente insieme e portare avanti i concetti dell’Antico e Nuovo Testamento finora citati. Viceversa, questi princìpi rimarranno norme di comportamento impossibili da realizzare. È come la fede, che non può essere cieca, ma deve porsi domande anche difficili. La fede non può basarsi su una serie di dogmi, ma deve essere illuminata, basata sull’essere, sull’esistere, sull’incontro con un Dio che non ama imporre, ma discutere, non essendo il padre dispotico che dice “Obbedisci e basta”. Un cammino di fede non è fatto di certezze incrollabili, ma di pesanti dubbi risolti, passo dopo passo, gradino dopo gradino.
Il matrimonio cristiano è figura del rapporto Cristo-Chiesa: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per il lavacro dell’acqua della parola al fine di farla comparire davanti a sé gloriosa, senza macchia o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile” (Efesi 5.25,26. Infatti “Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto” (21-24), versi che trovano la loro conclusione al verso 33 che afferma “D’altronde, anche fra di voi, ciascuno individualmente ami la propria moglie come ama sé stesso, e altresì la moglie rispetti il marito”.
Se ci soffermiamo sulle parole “Cristo ha amato la Chiesa”, è ovvio che questa è formata da persone che lui ha scelto, e sappiamo che i nostri nomi scritti del libro della vita lo furono “prima della fondazione del mondo”. Quindi, come il salmista scrive, siamo stati oggetto di una cura del tutto particolare: “Signore, tu mi scruti e mi conosci; tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie. La mia parola non è ancora sulla lingua ed ecco, Signore, già la conosci tutta. Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano” (Salmo 139).
Se ogni credente è stato scelto con l’infinita cura e sapienza di Dio, il matrimonio non è qualcosa che possa essere organizzato o posto in essere per procura o qualunque imposizione esattamente come non può essere imposto il credere in Cristo se non a causa di terribili inquinamenti e fraintendimenti. La Chiesa, quella dei salvati e non del cristianesimo nominale, è composta da persone che, pur non avendo alcun merito umano, sono state cercate e messe da parte da Dio per costituire un giorno quella che è chiamata la Sua “Sposa” le nozze verranno celebrate al compimento dei tempi come è scritto in Apocalisse 19.7-10: 7Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello; la sua sposa è pronta: le fu data una veste di lino puro e splendente. La veste di lino sono le opere giuste dei santi”.
Il matrimonio cristiano, quindi, riflette questa realtà e dev’essere spiegato ai futuri sposi come effettivamente è dal punto di vista umano e spirituale. Purtroppo, è l’istituzione più fraintesa nelle Chiese attorno alla quale si sono alzati muri di assoluto integralismo o tolleranza, cioè l’uno e il contrario dell’altro, che comunque cela dietro a sé uno stesso modo di pensare. Amen.
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