15.14 – MATRIMONIO E DIVORZIO II/III (Matteo 19.3-9)

15.14 – Matrimonio e divorzio II/III (Matteo 19.3-9)

 

3Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». 4Egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina 5e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? 6Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 7Gli domandarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?». 8Rispose loro: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. 9Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio».

 

Dato qualche cenno in più sul matrimonio e il divorzio ai tempi di Gesù, in questa seconda parte si cercherà di studiare le sue parole. Il verso 4 inizia con “Egli rispose”: non è una semplice cronaca, ma sta a indicare “Egli parlò così”, cioè l’AMEN, l’IO SONO partecipe e, sotto l’aspetto della Parola, motore della Creazione, sta per enunciare quando da Lui stesso vissuto essendo presente ad essa. Quanto Gesù sta per dire non è il frutto di una vita passata a studiare la Torà come i vecchi, umanamente autorevoli maestri del tempo, ma la Verità totale proveniente dal Testimone che troviamo in Giovanni 1.3, “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”.

Il verso prosegue con una forma interrogativa di rimprovero di fronte alla cecità del Suo uditorio che, seguendo la tradizione, poneva tutta la sua attenzione al meccanismo del divorzio anziché alla sacralità del matrimonio. “Non avete letto che il Creatore – che mise la sua intelligenza nella Sua opera – che da principio fece ogni cosa – parole che nella nostra versione mancano – fece gli uomini maschio e femmina?”: Gesù quindi ricorda che, prima di creare l’uomo, il Padre “da principio fece ogni cosa”, quindi tutti i giorni precedenti (ere) della creazione in cui si dedicò alla realizzazione dell’Universo e della Terra, dal firmamento all’asciutto e da lì ai componenti del regno vegetale e animale per poi arrivare, al sesto, all’uomo.

È interessante notare che, per vegetali e animali, il sesso era già stabilito nel senso che furono così creati, mentre per l’uomo vi fu un passaggio in più, cioè “…l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse”. Di qui la creazione della donna che fu sì realizzata da una costola di Adamo, ma venne dotata di personalità autonoma per cui, in quel crearli “maschio e femmina”, oltre a realizzarsi il fatto che Adamo finalmente trovò una creatura che gli corrispondesse e che potesse frequentare, riconobbe in lei una parte importante di se stesso, un simile: “Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne. La si chiamerà donna – isha – perché dall’uomo è stata tolta”. Tra l’altro la parola che tutte le versioni traducono con “costola”, originale “Tselàh” significa anche “un fianco, una parte”, quindi una metà che è stato supposto essere il cromosoma X, tolto dall’uomo e subito duplicato in lui. Le cellule della donna, infatti, contengono due cromosomi X e nessun Y, il DNA dell’essere umano donna è infatti costituito da coppie XX.

Se nel creare animali e piante differenziandoli per sesso il fine era quello riproduttivo, nel caso dell’uomo quel “maschio e femmina” era riferito alla comunicazione, a una visione d’insieme, alla stessa comune progettualità, comunione e intenti che avrebbero poi dovuto essere alla base del matrimonio anche nel territorio purtroppo contaminato dal peccato. Nelle origini tanto Adamo quando Eva dovevano caratterizzarsi attraverso un dono continuo di sé l’uno per l’altro in un’armonia che si risolvesse al tempo stesso verso loro stessi e Dio anche se, dopo, una volta introdotti nell’ambiente nuovo, a loro ostile, al di fuori di Eden, tutto si fece enormemente più complicato. Adamo, nonostante avesse anche lui la sua parte di colpa, non si fidava più della moglie.

 

L’uomo e la donna sarebbero divenuti “una sola carne” cioè “non più due – cioè ciascuno con una propria personalità – ma uno solo” e questa unicità è espressa poi, molto tempo dopo, da Malachia (2.13-16) che, parlando proprio di questa unione, scrive “Un’altra cosa fate ancora: voi coprite di lacrime, pianti e sospiri l’altare del Signore, perché egli non guarda all’offerta né accetta con benevolenza dalle vostre mani. E chiedete. «Perché?». Perché il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza, che hai tradito, mentre era la tua compagna, la donna legata a te da un patto. Non fece egli un essere solo dotato di carne e soffio vitale? Che cosa cerca quest’unico essere, se non prole da parte di Dio? Custodite dunque il vostro soffio vitale e nessuno tradisca la donna della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio, dice il Signore, Dio d’Israele, e chi copre d’iniquità la propria veste, dice il Signore degli eserciti. Custodite dunque il vostro soffio vitale – cioè la vostra anima – e non siate infedeli”.

In questo verso vediamo l’ultima espressione: “Custodire” che significa “sorvegliare qualcosa con attenzione e cura in modo che non subisca danni e si conservi intatto”. Questa azione, nel matrimonio è reciproca, ciascuno deve vigilare affinché l’altro non cada e tutto questo non ha nulla a che fare con la gelosia, quel sentimento che provano i bambini o gli adulti non cresciuti con effetti devastanti, ma è l’amore, l’interesse profondo che una persona, maschio o femmina, prova per la sua controparte. L’amore spesso è confuso col sentimento, ma fondamentalmente è scelta, dono reciproco di sé, occuparsi della persona (che si è responsabilmente scelti) per tutta la vita in un reciproco, identico scambio.

Nelle parole di Gesù, poi, c’è un monito molto importante, cioè “ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”, due volontà a confronto: nel momento in cui uomo e donna si uniscono, è Lui il testimone. È una frase che inutilmente cercheremmo, così espressamente dichiarata, negli scritti dell’Antico Patto, che ci rivela che chi vuol separare le due persone fatte una, con il divorzio e una successiva nuova unione, si pone in antitesi a Dio che del matrimonio è testimone e artefice al tempo stesso.

Può sorgere a questo punto una questione, e cioè se quanto detto da Gesù riguardi gli ebrei, stante che il nostro passo appartiene a Matteo che scrive per loro, oppure no e la risposta non può essere che negativa, poiché di questo riferisce anche Marco (10.1-12, “L’uomo non divida ciò che Dio ha congiunto”. Se mai, l’intervento di Nostro Signore fu limitato alla domanda dei farisei in merito al matrimonio e divorzio così come da loro inteso, e fu aggiornato dall’apostolo Paolo grazie alle domande che le varie Chiese gli sottoponevano per cui, per avere un’idea chiara del tema, andrebbe affrontato alla luce del suo insegnamento in cui distingue nettamente ciò che è propria opinione da quello che è quanto ricevuto da Gesù in persona, in spirito.

Il tema del matrimonio si conclude al verso 9, “Ma io vi dico”, “Io” quale inviato dal Padre per rivelare la Sua volontà perché “Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo” ( Matteo 11.27; Luca 10.22). “Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, se non in caso di unione illegittima – o meglio “fornicazione” – e ne sposa un’altra, commette adulterio”, frase – attenzione – per chi già ha a che fare con Dio, sia esso ebreo o cristiano, rivolta a chi a Lui appartiene, perché per chi si ritrova in questa condizione prima di convertirsi viene purificato da un peccato che non sapeva di commettere.

Ancora una volta entriamo in un territorio molto delicato, perché occorre definire la fornicazione, termine dal significato poco conosciuto che il greco indica con “pornèia”, cioè prostituzione, fornicazione, lussuria. Da lì vengono “pornèion”, postribolo, e “pornéuo”, esercitare la prostituzione. Tutti queste parole hanno come significato alternativo attività idolatre che nel nostro caso non rilevano, ma tornano utili per identificare altri contesti. Il termine “fornicazione” trae la sua origine anche dalla parola “fornix”, cioè “fornice”, vale a dire la luce di un arco o di una porta monumentale, sotterraneo a volta sotto le quali le prostitute erano solite sostare nell’attesa di clienti, ma anche bordello, quindi allusione a rapporti sessuali con persone diverse dal proprio marito o dalla propria moglie, quindi, per estensione, un’attività sessuale disordinata. L’ebraico ha zenùt, riferito a rapporti incestuosi.

Certo Gesù qui parla della donna perché il tema era il divorzio ebraico che era prerogativa dell’uomo, ma adattata al nostro tempo vale per entrambe le parti: nel caso della fornicazione, che comprende anche l’adulterio, abbiamo un colpevole e un innocente, cioè chi la pratica all’insaputa dell’altro e, così facendo, rompe, rovina quell’equilibrio della “sola carne” realizzatosi a suo tempo col matrimonio. A quel punto, la parte innocente è libera davvero di attuare le pratiche per il divorzio e quindi, se lo vuole, risposarsi proprio perché non è stata lei a rompere l’istituzione matrimoniale. Stiamo parlando di questioni legali quali erano quelle portate a Gesù all’epoca dai farisei e dell’interpretazione delle due scuole.

Resta quindi aperto il problema di definire la fornicazione, perché se fosse sinonimo di adulterio la lettera di divorzio non avrebbe avuto senso in quanto la donna sarebbe stata condannata per lapidazione unitamente al proprio correo, se trovato: non trovo altri termini se non assimilando la fornicazione a pratiche estranee al matrimonio che hanno appunto a che fare con una sua contaminazione che, proprio in quanto patto tra due persone e Dio – stiamo parlando di appartenenti al Suo popolo sia prima che dopo la dispensazione della Grazia – lo rende nullo davanti a Lui.

La fornicazione è disordine e sconvolgimento così come la prostituzione che, benché si caratterizzi con atti sessuali di vario tipo e natura, non può essere considerata adulterio perché altrimenti le prostitute in Israele sarebbero state tutte lapidate, mentre erano, per usare un eufemismo, ai margini della società. La stessa Legge di Mosè (Deuteronomio 23.17) proibisce decisamente la prostituzione sacra, ma nulla dice di quella “normale” mentre lo stesso libro, in 22.21, afferma che debba essere lapidata la giovane che, al momento del matrimonio, risulta non vergine. Si tratta di un tema che a tutt’oggi non ho saputo completamente risolvere nonostante la consultazione di molti testi e pareri.

A questo punto la conclusione di Gesù è la stessa di 5.32, “Chiunque manda via sua moglie, tranne che nel caso di fornicazione, commette adulterio; ed altresì chi sposa colei che è mandata via, commette adulterio”. Non potrebbe essere diversamente perché, nel caso di un unione non inquinata dalla fornicazione, i due sono e restano una sola carne davanti a Dio indipendentemente dai motivi che producono il divorzio. Stessa cosa la riporta Luca in 16.18 a conferma che il principio è valido per tutti e non si tratta solo di una risposta alla dottrina ebraica sul matrimonio.

Se guardiamo però al divorzio, vediamo che non è permesso allo scopo di sposare una terza persona, ma può realizzarsi a condizione che le parti si astengano da altre unioni. Sarà l’apostolo Paolo a definire il tema scrivendo: “Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito. E qualora si separi, rimanga senza sposarsi, o si riconcili col marito. E il marito non ripudi la moglie” (1 Corinti 7.10). Da notare che nel testo originale si parla ancora una volta di “uomo” e “donna” e che ciò che è scritto per uno vale anche per l’altro.

Resta il fatto che il divorzio è e rimane uno squilibrio che interviene, quando non causato da una “unione illegittima”, come risultato di una serie di circostanze non ponderate a suo tempo che finiscono per penalizzare e inquinare profondamente un rapporto il più delle volte gestito lasciandolo lo Spirito fuori dalla porta.

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