14.05 – Il ritorno di Israele I/IV (Zaccaria 12)
Con questo studio entriamo in un ambito molto particolare, quello che riguarda eventi che non interessano la Chiesa del tempo in cui viviamo e, anzi, riguardano essenzialmente il popolo d’Israele. Se il capitolo 12 di Zaccaria trova spazio in questa raccolta, è perché ha connessione con la parte finale di Luca 13.35 “Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore»”.
Ora vi è un altro elemento da considerare e cioè che, in uno studio su profezie che riguardano avvenimenti futuri, occorre sempre guardarsi dal pericolo di facili sensazionalismi, del soddisfare quella curiosità naturale che si impossessa facilmente di chiunque sente parlare di eventi che devono ancora accadere. Non a caso si trovano in commercio molti libri che promettono rivelazioni sensazionali sul futuro, non necessariamente riferentesi al libro dell’Apocalisse, scritti pseudo spirituali come “la profezia di Celestino”, quelle di Nostradamus e molti altri.
Penso che, a meno di una rivelazione specifica dello Spirito di Dio, occorra attenersi al testo e svilupparlo aderendo il più possibile ad esso tenendo presente che allo stesso Giovanni venne ordinato di non scrivere alcuni eventi di cui fu testimone: “Dopo che i sette tuoni ebbero fatto udire la loro voce, io ero pronto a scrivere, quando udii una voce dal cielo che diceva: «Metti sotto sigillo quello che hanno detto i sette tuoni e non scriverlo»” (Apocalisse 10.14). In altri termini, occorre parlare di eventi futuri solo se esiste la certezza di affrontare fatti veramente destinati ad accadere nella giusta collocazione temporale e solo se inquadrati sotto la prospettiva dell’altrui edificazione.
Il libro di Zaccaria si divide in due parti: la prima, dai capp. 1 a 8, riguarda l’attività del profeta a Gerusalemme dal 520 al 518 circa. Si tratta di otto visioni in cui Zaccaria annuncia ai suoi contemporanei che la loro speranza non è stata vana e il Tempio verrà ricostruito per accogliere il Signore che verrà a stabilire il suo regno. La seconda, capp. 9 – 14, scritta da un altro uomo di Dio, è posteriore di due secoli e sposta l’asse profetico agli ultimi tempi, quando Israele verrà assalito dalle nazioni e verrà salvato da Dio, come vedremo, con un intervento diretto del Figlio. È quindi il tempo di cui ha parlato l’apostolo Paolo, senza scendere nei dettagli, nella lettera ai Romani che abbiamo citato nello studio precedente.
Il capitolo 12 riguarda una parte di quegli avvenimenti, in particolare quelli attinenti alle parole di Gesù “Vi dico che non mi vedrete, finché direte «Benedetto colui che viene nel nome del Signore»”. Il testo che utilizzeremo non sarà quello della CEI come abitualmente, ma della Bibbia di Gerusalemme.
1 Oracolo. Parola del Signore su Israele. Oracolo del Signore che ha dispiegato i cieli e fondato la terra, che ha formato il soffio vitale nell’intimo dell’uomo”.
Come in tutti i passi profetici che riguardano gli avvenimenti futuri, abbiamo sempre una presentazione che non è mai dell’autore tecnico del libro, cioè il profeta che, tanto negli scritti dell’Antico che del Nuovo patto, precisa sempre quando ciò che scrive è parola di Dio o opinione sua. In questo primo verso la prima parola è “Oracolo”, cioè “responso” e, per non lasciare subbi sulla sua provenienza perché anche i pagani o le divinità estranee avevano i loro, lo Spirito ha lasciato le credenziali di chi parla: ciò che seguirà è la “Parola del Signore su Israele”, quindi non su altri, e per non lasciare alcun dubbio viene detto che a parlare è lo stesso “Signore che ha dispiegato i cieli e fondato la terra”.
Notiamo la singolarità del verbo, “dispiegato”, non “creato” cioè aggiunge un dato a Genesi 1.1 quando leggiamo “In principio Iddio creò il cielo e la terra”: se qui la descrizione della creazione riguarda l’ambiente in cui l’uomo vive, Zaccaria si fa tramite di una descrizione più ampia dell’atto creativo di Dio che prima ha “dispiegato i cieli”, cioè ha dato inizio all’espansione dell’Universo, ha ordinato gli spazi dei sistemi stellari e solo allora ha “fondato la terra”, quando cioè poteva esistere, al pari degli altri, come pianeta, questa volta abitabile. E ci sono voluti milioni e milioni di anni, e l’espansione dell’Universo la Scienza ci dice sia ancora in corso.
Se le fondamenta sono le strutture portanti di un edificio e garantiscono che questo possa sussistere nel tempo, “fondato la terra” significa porla nelle condizioni di esistere fino a quando il Creatore non ne decreterà la fine coi “nuovi cieli e nuova terra dove dimora stabile la giustizia”. E se tutti parlano di “Big bang”, molti meno di “Big crunch”, cioè la certa implosione del creato.
Altro modo che ha di presentarsi il Signore è come Colui “che ha formato il soffio vitale nell’intimo dell’uomo”, cioè l’autore non solo della vita materiale come per tutti gli animali, ma del fatto che l’uomo è persona, individuo unico, in grado di determinare il proprio destino tramite il libero arbitrio. Il “soffio vitale” sappiamo che fu l’unico elemento che rese possibile che l’essere umano diventasse “anima vivente” – ricordiamo “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere dal suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne anima vivente” –, che altri traducono, attenuando il concetto, con “essere vivente”.
Stupendo è in proposito per noi il parallelo con Giovanni 20.22 quando, risorto, Gesù disse ai Suoi “«Pace a voi!». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo»”.
Questo “soffio vitale” in Genesi è stato “formato nell’intimo dell’uomo” cioè in quella regione più personale e nascosta, il cervello e quindi la mente, che solo Dio è in grado di vagliare e conoscere nel profondo nonostante la conoscenza, limitata comunque, della psicologia, psicanalisi e altre forme. Presentandosi come il responsabile del creato e del fatto che l’uomo sia un individuo a parte tra gli esseri viventi perché dotato di anima, JHWH anticipa che quanto verrà proclamato si tratta di eventi che si verificheranno inevitabilmente nei tempi da lui decretati.
2Ecco, io farò di Gerusalemme come una coppa che dà le vertigini a tutti i popoli vicini, e anche Giuda sarà in angoscia nell’assedio di Gerusalemme. 3In quel giorno io farò di Gerusalemme come una pietra pesante per tutti i popoli: quanti vorranno sollevarla ne resteranno graffiati; contro di essa si raduneranno tutte le nazioni della terra.
Il verso 2 dà tre elementi degni di nota: Gerusalemme, la città che più di altre è il simbolo dell’ebraismo e capitale dello Stato di Israele, diventerà “come una coppa che dà le vertigini a tutti i popoli vicini”: la parola chiave del verso è “vertigini”, che sono sinonimo di mancanza di equilibrio. Chi ne soffre ha la sensazione di un movimento rotatorio o di sbandamento e non riesce a percorrere nessuna distanza. Gerusalemme qui dà questa sensazione dapprima “a tutti i popoli vicini”, ma poi a tutti gli altri indistintamente – la “pietra pesante per tutti i popoli” del verso 3 – ed è facile per noi, che sono convinto viviamo davvero negli ultimi tempi, pensare alla Gerusalemme “ufficiale”, quella nata politicamente il 14 maggio 1948 quando Israele proclamò la sua indipendenza provocando la immediata reazione di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq innescando un conflitto che durò quindici mesi e che videro, da parte israeliana, circa seimila morti.
Tutto questo fu solo l’inizio: Israele iniziò a ingrandirsi perché ogni ebreo sparso nel mondo aveva diritto di cittadinanza e di ingresso nel territorio e si può dire che quello Stato passò di guerra in guerra per sussistere; ricordiamo tra le più importanti la guerra dei sei giorni (1967), la guerra d’attrito dell’Egitto, quella del Kippur (1963) con Egitto e Siria e tutti i conflitti con l’OLP dal 1982 e, per gli anni 2000, la seconda guerra del Libano, l’operazione a Gaza del 2008. Certo sono dati molto essenziali, ma credo sufficienti ad aiutare a comprendere il concetto di “coppa che dà le vertigini a tutti i popoli vicini”. Neppure quanto sta accadendo attualmente a Gaza (ottobre 2023) è un caso.
Dalla seconda metà del verso 2 e per tutto il successivo, però, andiamo in un tempo ancora a venire perché “Gerusalemme”, quindi Israele come Stato, diventerà per volere di Dio “una pietra pesante per tutti i popoli”, cioè le decisioni militari e politiche da lei prese interferiranno coi piani delle altre nazioni al punto tale che una guerra sarà inevitabile; una guerra di proporzioni enormi perché “contro di essa si raduneranno tutte le nazioni della terra”. L’impossibilità delle relazioni diplomatiche con Israele è descritta con la figura della pietra pesante che causa lesioni a “quanti vorranno sollevarla”, qui citazione di un gioco piuttosto pericoloso in voga al tempo in cui viveva l’autore del passo, che consisteva nel fare sollevamento pesi utilizzando appunto una grossa pietra tonda che, nel caso in cui venissero a mancare le forze a chi gareggiava, poteva provocare traumi molto seri. Possiamo ricordare, anche se con significato diverso, Matteo 21.44, “Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà, e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato”, in il riferimento è alla pietra angolare scartata dai costruttori, ma anche a quella grossa e pesante che, se non sollevata correttamente, può fare molto male a chi la vorrebbe utilizzare.
4In quel giorno, oracolo del Signore, colpirò tutti i cavalli di terrore e i loro cavalieri di pazzia, mentre sulla casa di Giuda terrò aperti i miei occhi, colpirò di cecità tutti i cavalli dei popoli.
“Cavalli”, “cavalieri”, “terrore”, “pazzia” e “cecità” sono termini da adattare al tempo in cui si verificheranno gli avvenimenti descritti al verso quarto: ci aiuta a comprendere il senso Salmo 76.5-8, “Furono spogliati i valorosi, furono colti dal sonno, nessun prode ritrovava la sua mano. Dio di Giacobbe, alla tua minaccia si paralizzano carri e cavalli. Tu sei davvero terribile; chi ti resiste quando si scatena la tua ira?”.
Tutti gli elementi citati da Zaccaria in questo verso si rifanno ad armi moderne, che Giovanni descriverà nel libro dell’Apocalisse col linguaggio che poteva utilizzare un uomo del suo tempo: i rimanenti termini, “terrore”, “pazzia” e “cecità”, credo siano un riferimento alla loro disattivazione nell’elettronica e nei sistemi di trasmissione; pensiamo a cosa vuol dire, ad esempio, restare senza la strumentazione GPS militare, senza i satelliti per le comunicazioni e il rilevamento, senza i radar. Armi non solo inutilizzabili, ma anche estremamente vulnerabili non solo quanto ad esse, ma soprattutto relativamente ai territori che avrebbero dovuto difendere.
Sì, ma qual è il significato di “In quel giorno”? Si tratta un momento unico, programmato dalla fondazione del mondo, che rientra nell’enunciato di Gesù in Matteo 24.36 “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre” in quanto Creatore non solo dell’Universo, ma artefice del Piano di redenzione dell’uomo. Perché si realizzino le parole dell’apostolo Paolo che abbiamo letto, “allora tutto Israele sarà salvato”, occorrerà attendere proprio “quel giorno”, quello ultimo, quando una volta liberato Satana dopo il Millennio, scatenerà tutte le Nazioni contro Gerusalemme.
Leggiamo infatti: “Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni che stanno ai quattro angoli della terra, Gog e Magòg – popoli nemici di Israele –, e radunarle per la guerra; il loro numero è come la sabbia del mare. Salirono fino alla superficie della terra e assediarono l’accampamento dei santi e la città amata. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò” (Apocalisse 20.7-9).
Da notare, infine, il contrasto fra gli “occhi” di Dio, che li terrà “aperti sulla casa di Giuda”, e quelli dei suoi nemici, che avranno i loro “cavalli” colpiti di “cecità”.
Ecco, credo fortemente che Giovanni, scrivendo del “fuoco”, volutamente salta la parte di Zaccaria relativa alle manifestazioni dell’intervento del Cristo, che vedremo nella prossima parte.
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