13.11 – LA PARABOLA DEI SERVITORI CHE VEGLIANO (LUCA 12.35-40)

13.11 – La parabola dei servi che vegliano (Luca 12.35-40)           

 

35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

 

            C’è una notevole differenza fra la parabola del ricco stolto, pronunciata davanti alla folla, e quella dei servi che vegliano, rivolta da Nostro Signore ai suoi discepoli, quindi a una cerchia di persone più ristretta. Il messaggio qui contenuto possiamo dire allora che è “riservato”, rivolto a quanti hanno già fatto una scelta importante, quella di seguirLo e hanno bisogno di imparare da Lui perché, senza le Sue indicazioni, sarebbero ancora in balìa di loro stessi. Ecco allora che quanto esposto da Gesù, che verrà ricordato loro dallo Spirito Santo una volta risorto e salito al cielo, riguarda il modo che ha il cristiano di condurre la propria vita, “pronto, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”.

Esaminiamo ora quanto avviene nella parabola da un punto di vista storico per poi fare alcuni accostamenti spirituali partendo dalla festa cui il padrone è invitato.

 

La festa di nozze: non esisteva un rito religioso per celebrare il matrimonio perché era considerato un fatto privato certamente fra l’uomo e la donna, ma soprattutto fra le famiglie cui gli sposi appartenevano; queste stabilivano tra loro una vera e propria alleanza organizzata dai rispettivi padri. Si celebrava solitamente dopo un anno di fidanzamento e la festa che lo coinvolgeva era grande a tal punto da durare anche una settimana. Il matrimonio era una questione anche di prestigio sociale talché non mancavano ospiti di riguardo essendo gli invitati scelti con molta attenzione, e qui si possono fare molte applicazioni sull’episodio delle “nozze di Cana” e a tutte le parabole in cui si citano le nozze. Un ruolo importante lo avevano gli amici dello sposo, che si occupavano del buon andamento della festa, di presentare gli invitati coi regali che portavano e di tutto quanto fosse funzionale al banchetto (ricordiamo il vino). Nulla era lasciato al caso.

Ora abbiamo un elemento importante e cioè che il padrone, nella nostra parabola, parte per una festa nuziale la cui durata era assolutamente sconosciuta ai servi: sarebbe potuto tornare tanto a notte inoltrata, quanto dopo più giorni e di qui la necessità di predisporsi ad accoglierlo senza trascurare i compiti loro affidati. Non sappiamo quante fossero le persone addette a quella casa, ma è certo che l’assenza del padrone avesse portato squilibrio nella gestione ordinaria del loro tempo perché restava il problema della notte, dove in condizioni normali tutti andavano a dormire per ritemprarsi dalle fatiche del giorno. Era impensabile che un servo, in quanto tale privo di diritti per quanto non come nel mondo occidentale o presso altri popoli, facesse attendere il proprio signore alla porta.

 

Nella nostra parabola Gesù quindi parla di servitori coscienziosi, quelli che “troverà ancora svegli”, che però in quanto esseri umani possono essere soggetti a stanchezza: come fare? Si tratta di combattere contro un nemico subdolo, cioè il sonno che inevitabilmente cerca di impossessarsi di chiunque affronta una veglia. I testi storici non ci hanno tramandato nei dettagli la vita di chi era preso a servizio, cosa che avveniva a causa della povertà o per ripianare debiti eventualmente contratti. In ogni caso era prevista la possibilità del riscatto e il servo veniva liberato dopo sette anni, al termine dei quali poteva decidere anche se restare presso il padrone per motivi affettivi; così leggiamo in Esodo 21.5,6: “Ma se lo schiavo dice: «Io sono affezionato al mio padrone, a mia moglie, ai miei figli, non voglio andarmene libero», allora il suo padrone lo condurrà davanti a Dio, lo farà accostare al battente o allo stipite della porta e gli forerà l’orecchio con la lesina e quello resterà suo schiavo per sempre”.

Rimane comunque il fatto, tornando alla parabola, che quei servi non sapevano quando il loro padrone sarebbe rientrato e alcuni di loro, volontariamente, per non dispiacergli e onorarlo, decidono di attenderlo. Credo che Gesù non abbia voluto qui porre la questione su come si organizzò il gruppo di persone per far fronte al problema del sonno, cioè se questi decisero di fare dei turni di attesa, se c’era chi dormisse di giorno per stare sveglio di notte o altro, ma piuttosto porre l’accento sulla veglia, che in pratica è il procedere contrario alle elementari esigenze del corpo che ha bisogno di sonno, dalle cinque alle dieci ore a seconda delle condizioni di salute e all’età delle persone. Ciò che rileva è: il padrone deve tornare e va aspettato perché, “quando arriva e bussa, gli aprano subito”.

Si tratta si un’attesa analoga a quella della parabola delle dieci vergini, che, “Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono”(Matteo 25.5), anche se lì l’accento è posto sul fatto che cinque di loro avevano l’olio per le lampade e le altre no.

 

La vita cristiana, quindi, è spiegata ai discepoli di Gesù con questa situazione, in vista del ritorno del Signore che disse “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”(Luca 18.8); di qui la necessità espressa all’inizio del nostro testo, “Siate pronti, con le vesti strette attorno ai fianchi e le lampade accese”. Esser “pronti”significa porsi nelle condizioni di reagire immediatamente a uno stimolo, a un richiamo, e a farlo nel migliore dei modi mettendo in conto tutto quanto possa succedere, essere in grado di fronteggiare qualunque situazione possa verificarsi nell’ambito per cui si è preparati; lo sanno bene coloro che appartengono a reparti particolari, come possono essere i Vigili del Fuoco o di pronto intervento di polizia o sanitario. Il più delle volte chi è “pronto” ha prima studiato, vagliato possibilità, si è preparato attraverso un addestramento specifico.

La prontezza di cui parla Nostro Signore è caratterizzata dall’avere “le vesti strette attorno ai fianchi”, cioè predisporsi al lavoro: a quel tempo, infatti, gli israeliti portavano lunghe tuniche che, quando svolgevano attività impegnative, venivano sollevate in modo che non intralciassero i movimenti e strette con una cintura attorno ai fianchi che, nel Nuovo Testamento, è sinonimo di verità (Ef. 6.14). L’apostolo Pietro poi scrive “perciò, cingendo i fianchi della vostra mente e restando sobri, ponete tuttala vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Cristo si manifesterà”(1°.1.13). La verità del Vangelo, quindi, è quella che consente di operare in modo libero ed efficace per l’avanzamento proprio e di altri nel cammino della vita quotidiana.

È quindi la cintura del tipo appena visto in questi due passi che consente un’operatività esente da biasimo, tanto del prossimo che della Chiesa e quindi di Dio; se il termine “verità”può sembrare eccessivo, va precisato che essa è qualcosa che si costruisce e si scopre giorno per giorno se si è disposti a crescere davanti a Lui e a nessun altro. Alcuni commettono un grosso errore credendo di vivere ancora ai tempi della Chiesa di Gerusalemme, quando lo Spirito Santo si manifestava nei modi che tutti conosciamo: oggi il nostro edificio spirituale viene costruito poco a poco, sull’unica roccia ammissibile che è Gesù Cristo, che disse ai Suoi “Quando però verrà lo Spirito di Verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future”(Giovanni 16.13). Notare il termine, “vi guiderà”, che significa “precedere o condurre lungo un percorso” e non rendere di colpo una persona depositaria di chissà quali verità: la prima che l’uomo deve cercare è la propria salvezza in Cristo che “mi ha amato e ha dato se stesso per me”(Galati 2.20).

 

Terzo elemento illustrato da Gesù in questa parabola sono “le lampade accese”. La mancanza di uno solo di questi rende inutile ogni compito perché, se l’essere “pronti”si connette allo stato d’animo che anima la persona, le vesti cinte attorno ai fianchi sono figura del suo operare. Senza la lampada accesa ogni attività è impossibile non essendo nessuno in grado di lavorare al buio. La “lampada”, a parte questo, ha connessione con Matteo 5.16 quando fu detto “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. Ecco perché il comportamento del credente dev’essere illuminato dalla Parola di Dio e non da altri elementi.

La lampada, per illuminare tutta la notte, doveva essere piena d’olio, figura dello Spirito Santo e della dignità profonda che conferisce all’uomo, e qui abbiamo un ulteriore richiamo alla parabola delle dieci vergini che abbiamo ricordato. Ancora, a conferma che lo Spirito riveste completamente l’uomo, ricordiamo che “la lampada del corpo è l’occhio. Perciò, se il tuo occhio è puro, tutto il tuo corpo sarà illuminato, ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!”(Matteo 6.22,23). Ecco allora che, con questi versi, andiamo ben oltre alla semplice divisione fra luce e buio, ma veniamo avvertiti che possiamo scambiare l’una con l’altro perché “la luce che è in te è tenebra”, lungi dall’essere un ossimoro, ci parla di presunzione, arroganza, obiettivi carnali quali unici motori di una vita.

 

I servi della nostra parabola non portano panni e coperte nei pressi del portone di casa, ma restano svegli, attenti al minimo rumore, alla ricerca di quei segnali che possano avvisarli dell’imminente rientro del loro signore che, una volta giunto, compie qualcosa di assolutamente inaspettato: “Beati quei seri che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi – questa volta lui! –, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. Lui, il signore rispettato e temuto, che fino a poco prima di partire dava ordini e si aspettava che questi fossero rispettati, muta completamente atteggiamento e onora i suoi servi di attenzioni che certamente non si aspettavano: “passerà a servirli”, avvicinandosi ad ognuno di loro.

Di questa azione troviamo traccia in due passi, il primo quando Gesù laverà i piedi ai discepoli (Giovanni 13.3,4) ma ancor più, del tutto consono al nostro episodio, Apocalisse 7.17 “Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e il guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”.

Gesù, quindi, con questa parabola dà ai suoi discepoli, a prescindere dal tempo in cui sarebbero vissuti, degli elementi per guidarli nell’attesa tanto del Suo ritorno quanto della Sua chiamata attraverso la morte del corpo che anche lei sopraggiunge quando uno meno se lo aspetta. In ogni caso, però, “Quelle cose che occhio non vide né orecchio udì, né mai entrarono in un cuore d’uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano”(1 Corinti 2.9). Amen.

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