13.08 – L’interno pieno di avidità e cattiveria (Luca 11.37-44)
37Mentre stava parlando,un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. 38Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. 39Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. 40Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? 41Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro. 42Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. 43Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. 44Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».
Nelle scorse riflessioni è stato dato qualche accenno alla pericolosità del metodo o mentalità ”religiosa” e all’influenza negativa che può avere sulla persona che non fa altro che chiudersi in sé stessa privandosi di vere prospettive spirituali. Ecco perché Nostro Signore dirà, in un passo che affronteremo prossimamente, “Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito”(v. 52). Stesso severo ammonimento si ritrova in Matteo 23.13: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarvi”. La religione è fatta di parole stantie mascherate da rivelazione, di usi e riti che possono suscitare anche ammirazione, ma si limitano a gesti accompagnati da espressioni e atteggiamenti di circostanza che durano lo stretto necessario alla funzione, per poi tutto tornare esattamente come prima. Non è stata minimamente coinvolta quella parte del cuore e dell’anima così importante da essere in grado di trasformare la persona accogliendo lo Spirito di Dio.
Bene, leggiamo che Gesù fu invitato a pranzo da un fariseo. Luca non ci dice i motivi che lo spinsero a riceverlo in casa sua; di fatto sappiamo che vi parteciparono anche dei dottori della Legge (v.45), scribi (v.53), quindi il chiamare Nostro Signore in quel gruppo poteva significare o che fosse ritenuto degno di sedere in mezzo a quel gruppo oppure, più probabilmente, per studiarlo onde raccogliere elementi per accusarlo.
La prima cosa che fece Gesù appena entrato fu, appositamente, quella di accomodarsi senza passare attraverso il rito dell’abluzione delle mani. Marco ci informa che “I farisei e tutti i giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alle tradizioni degli antichi (…)e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie, di oggetti di rame e di letti”(7.3.4). Va specificato che per “tradizione degli antichi”, si intende più propriamente quella “degli anziani”, cioè dei loro maestri ai cui precetti erano oltremodo attaccati. Leggiamo ad esempio una nota di Rabbi Jose nel Talmud che recita “Colui che mangia del pane con mani non lavate è reo non meno che se fornicasse con una prostituta”.
Nella Legge, invece, il comando riguardava chi doveva officiare all’altare: “Farai per le abluzioni un bacino di bronzo con il piedistallo di bronzo; lo collocherai tra la tenda del convegno e l’altare e vi metterai acqua. Aaronne e i suoi figli vi attingeranno per lavarsi le mani e i piedi. Quando entreranno nella tenda del convegno, faranno un’abluzione con l‘acqua, perché non muoiano; così quando si avvicineranno all’altare per officiare, per bruciare un’offerta da consumare con il fuoco in onore del Signore, si laveranno le mano e i piedi e non moriranno. È una prescrizione rituale perenne per Aaronne e per i suoi discendenti, in tutte le loro generazioni”(Esodo 30.18-21).
Ecco allora che ci troviamo di fronte a un gesto anche provocatorio di Gesù, che ben conosceva la mentalità e il metodo dei suoi detrattori e fa in modo che venga notato: “Si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo”. Da notare che il testo si ferma a questa reazione perché, prima che si tramuti in sdegno, Nostro Signore inizia a parlare e lo fa citando i due recipienti, il bicchiere e il piatto, senza dare spiegazioni del suo mancato lavarsi le mani.
Vediamo ora il primo punto esposto nelle due versioni di Luca e Matteo, sulla quale torneremo: Luca ha “Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e cattiveria”, Matteo“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e intemperanza”(23.25). Il “bicchiere”e il “piatto”sono al tempo stesso un esempio reale e un pretesto per far sì che una eventuale persona onesta lì in mezzo potesse capire il collegamento con l’interezza della persona umana. Bicchiere e piatto, entrambi elementi atti a contenere liquidi e solidi, quindi ciò che nutre, sono al tempo stesso figura del corpo e di ciò che è in esso, altrimenti dire “ma il vostro interno è pieno di avidità e cattiveria”non avrebbe senso. Questa connessione è ancora più chiara in Matteo quando il “sono pieni”sarebbe un evidente errore grammaticale.
Ecco allora il perché dell’epiteto “ipocriti”, cioè “dediti alla finzione”, “attori”: la pulizia dell’esterno è svolta accuratamente perché è lì che gli altri guardano, ma l’interno può essere gestito a piacere e spesso in forte contrasto con ciò che viene simulato. È lo stesso metodo che usano i governi, le strutture pubbliche, i politici, purtroppo molti nella Chiesa a prescindere dalla sua denominazione di cui Paolo nella sua seconda lettera a Timoteo scrive“…gente cha ha una religiosità solo apparente, ma ne disprezza la forza interiore. Guàrdati da costoro!”(3.5). Ancora, a Tito “Tutto è puro per chi è puro, ma per quelli che sono corrotti e senza fede nulla è puro: sono corrotte la loro mente e la loro coscienza”(1.15).
Certo i due versi propongono due ritratti differenti anche se non troppo: da una parte i religiosi, cioè coloro che, come i nostri farisei del testo, curano l’apparenza e così facendo disprezzano la forza interiore della fede. Dall’altro invece, accanto alla semplicità di chi è puro, si contrappone la corruzione di chi è senza fede: si tratta di persone che sospettano sempre il male, si sentono continuamente minacciate da chi non li tratta e non si comporta secondo le loro aspettative, hanno la mente e la coscienza “corrotte”cioè viene da dire “inguaribili”. E la corruzione di mente e coscienza si riferisce all’incapacità di ragionare e provare sentimenti secondo Dio. Credo che se il vero cristiano, quello salvato, redento da Cristo che vuole camminare a Lui unito, tenesse presente questi versi, patirebbe molto meno le conseguenze derivanti da un confronto o frequentazione con simili personaggi.
La frase “Stolti, colui che ha fatto l’esterno non ha anche fatto l’interno?”vuole dimostrare a quegli scribi e farisei che, essendo l’uomo creato spirito, anima e corpo, non ha senso curare un solo elemento, quello peraltro più facile, senza considerare minimamente gli altri due, soggetti a patire molto più del corpo.
“Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro”. Altre traduzioni riportano “quello che è in vostro potere”, ma è comunque evidente la provocazione alla rinuncia, essendo i destinatari del messaggio pieni “di avidità e cattiveria”. Più avanti, in 12.33, Gesù dirà “Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma”, frase che pone in evidenza il baratro che divide la carne dallo spirito, tra il tesoro in senso umano e quello spirituale. “Vendere”, sinonimo di guadagno, si annulla nel “dare” a vantaggio di altri.
Con “Date quello che c’è dentro”Gesù esorta così a sbarazzarsi di ciò che, considerato prezioso, ritarda il cammino spirituale. È al tempo stesso un invito ad oltraggiare la parte più interna dell’individuo, quella del bambino mai cresciuto che vorrebbe tenere tutto per sé e si contraria enormemente quando dovrebbe dare o dividere con altri. Possiamo raccordarci in proposito anche al digiuno vero: “Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?”(Isaia 58.7).
La gestione del “mio” è la dimostrazione dell’attaccamento che la persona ha di sé. Tanto più un individuo è immaturo, quanto più sarà attaccato ai suoi averi e li difenderà ad oltranza; sul versante opposto abbiamo la prodigalità, che porta alla rovina allo stesso modo, disprezzando ciò che si ha e dilapidando le proprie sostanze. Possiamo dire che quanti difendono ciò che posseggono lo fanno perché sono consapevoli di non avere altro per cui rientrano in quella condizione descritta da Satana nel libro di Giobbe, che disse a Dio “Tutto quello che l’uomo possiede è pronto a darlo per la sua vita”(2.4), la sua e non quella di altri. Vita intesa come centro, averi nel senso più ampio del termine cioè l’indipendenza, la possibilità di agire come lui ha programmato, i propri ambiti d’azione o affettivi su cui ha costruito la propria esistenza. Solo di fronte alla morte o alla malattia grave è disposto a rinunciare ad essi, essendo in gioco la sua sopravvivenza, che poi altro non è che continuare ad agire come ha sempre fatto.
La religione, che non contempla l’ascolto di Dio ma di se stessi oppure del principio in base al quale si debba per forza venire esauditi attraverso un rito, rientra in questo tipo di ragionamento fuorviante e assurdo: “pensano di essere esauditi per la moltitudine delle loro parole”. E “pulire l’esterno”è il metodo per presentarsi agli altri consapevoli del fatto che l’esterno è ciò che si vede, tralasciando l’interno che è quello, immensamente più importante, che Dio vede, valuta e giudica.
“Pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio”era la stretta osservanza di Levitico 27.30 “Ogni decima della terra, cioè delle granaglie del suolo e dei frutti degli alberi, appartiene al Signore: è cosa consacrata al Signore”, per cui pagarne la decima era poca cosa, potendosi trattenere la maggior parte. Ecco un altro modo per sentirsi in pace con la propria coscienza, ma lasciando “da parte la giustizia e l’amore di Dio”. Ricordiamo le parole di Michea 6.8, “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che il Signore richiede da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio”. Il pagare la decima senza considerare questo, equivaleva a dire a YHWH “Hai avuto quello che chiedevi, adesso lasciami in pace”, mentalità che molti hanno ancora oggi ritenendo sufficiente partecipare alle riunioni domenicali della Chiesa che frequentano.
Con la frase “Queste erano le cose da fare, senza trascurare quelle”, poi, Gesù non contesta le usanze che scribi e farisei avevano, ma li riconduce, ancora una volta nel Suo Ministero, all’essenza delle cose.
L’amore nell’occupare i “primi posti”, alla luce di quanto si vede da sempre anche in campo cristiano e non solo nel mondo, credo non abbia bisogno di commento, mentre è l’ultima frase, quella dei sepolcri, ad essere importante perché il sepolcro era ritenuto un terreno contaminato e contaminante, per cui lo si tingeva di bianco soprattutto per fare sì che non venisse calpestato inavvertitamente. Se allora a contaminare era il sepolcro, oggi lo sono le persone che si mascherano, si mimetizzano, ci parlano con scopi che non sono mai quelli diretti, che aspirano al trionfo dei loro secondi fini. Qui dovrebbe aprirsi una grossa parentesi sul peccato appunto di inavvertenza, che rendeva per Legge colpevole colui che, senza saperlo, si rendeva reo di una trasgressione e tale rimaneva fino a quando quel peccato non fosse stato rivelato. Per ora basta mettere il risalto il fatto che, chi opera come quegli scribi e farisei, anziché essere di aiuto al prossimo è di severo inciampo, dà un esempio che non può che portare un frutto cattivo, impedendo il conseguimento dell’unico obiettivo veramente importante, cioè la pace con Dio e soprattutto il perdurare di essa. Tutte finzioni destinate a venire arse dalla Sua luce, quando verrà in giudizio. Amen.
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