12.30 – IL CIECO NATO III/VI (Giovanni 9. 8-17)


12.30– Il cieco nato III (Giovanni 9.8-17)   

 

8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va’ a Sìloe e làvati!». Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

 

La lettura di questi versi, pur nella sua semplicità, presenta degli aspetti che vanno sottolineati, prima dei quali è “i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante”. Il fatto che alcuni di quelle persone fossero dei “vicini” ci indica che il cieco chiedeva l’elemosina a pochi passi da dove risiedeva, presumibilmente ancora coi suoi genitori che verranno poi chiamati dai Giudei a testimoniare. I primi ad essere posti davanti all’avvenuto miracolo furono quindi i suoi vicini di casa e ben riporta “mendicante” la nostra versione poiché ve ne sono altre che hanno “cieco” in osservanza al testo originale di altri manoscritti. È però opinione comune che la parola “cieco” sia stata sostituita a “mendicante” da un copista che volle porre ulteriormente in risalto il miracolo operato da Gesù.

In ogni caso tanto quelli che conoscevano quella persona da tempo quanto i testimoni occasionali della sua presenza costante a elemosinare  – il testo originale ha “che siede e mendica” al tempo presente – mettono in dubbio la sua identità perché, evidentemente, il recupero della vista ne aveva mutato l’espressione del volto e la postura.

Confermata la sua identità ai presenti – “Sono io!” – alla domanda “in che modo ti sono stati aperti gli occhi?” risponde senza enfatizzare nulla – si potrebbe dire “senza aggiungere né togliere” – quasi che quanto avvenuto in lui fosse un fatto naturale nel senso che non rileviamo, dal suo comportamento, manifestazioni che caratterizzarono altri guariti, come la donna emorroissa che si avvicinò a Gesù “tutta tremante”, o di tutte quelle altre persone che, di fronte alla scomparsa delle loro infermità, proclamavano a tutti il mutamento del loro stato.

Questo, a conferma anche di altri dettagli visti prima come l’ubbidienza all’ordine di Gesù di andarsi a lavare a Siloe e non a una fonte comune, ci parla dell’obiettività e razionalità di questa persona che prima di tutto attribuisce la sua guarigione a “l’uomo che si chiama Gesù” e poi racconta i fatti così come avvenuto senza omettere nulla. Potremmo dire, ricordando il monito a chi tratta la Scrittura, “senza nulla aggiungere o togliere” e, dato che Gesù non era più presente e nemmeno i suoi discepoli, si suppone, credo con fondatezza, che fu lo stesso cieco guarito che raccontò a Giovanni quanto avvenuto in loro assenza.

Quell’uomo disse solo quello che sapeva e così farà una volta condotto dai farisei: perché da loro? Perché i presenti non potevano fare diversamente: a differenza sua, sapevano chi era quel “Gesù” che lo aveva guarito. Considerando che si trattava di un miracolo avvenuto di sabato, avrebbero voluto prendere Nostro Signore e portarlo dai suoi “autorevoli” oppositori, ma non potendo farlo perché se ne era andato, condurre l’ignoto ex non vedente dai rettori del popolo era l’unica azione possibile. Infatti Giovanni stesso scrive “Era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi”. Sappiamo che di sabato i farisei e relativi accoliti proibivano addirittura di raccogliere un frutto caduto da un albero, figuriamoci l’affetto che ebbe su di loro la guarigione di un cieco nato, alla quale all’inizio non credettero nonostante la chiara presenza di testimoni che conoscevano quell’uomo da prima. Condurre “dai farisei” va letto come “davanti al Sinedrio” che sappiamo si riuniva tutti i giorni e, di sabato, poteva essere convocato d’urgenza. E così avvenne proprio per intervento diretto di quanti, riconosciuto il cieco, vollero usarlo quale ulteriore strumento di accusa contro Gesù.

I sinedriti allora ascoltarono i presenti e poi “gli chiesero di nuovo come avesse riacquistato la vista”, cioè dopo aver ascoltato il fatto, chiesero al diretto interessato di raccontarlo un’altra volta: ora il racconto è più sintetico non perché Giovanni volesse risparmiarsi la fatica – quante volte Mosè ripete nei suoi libri gli avvenimenti importanti? – ma perché quell’uomo guarito si stava spazientendo di fronte a tanta insistenza che non capiva. Ciò che era avvenuto e raccontato bastava, non aveva senso ripeterlo, ma ecco che il suo racconto, come sempre quando Gesù compie un miracolo “scomodo”, genera in alcuni repulsione e forte volontà di contrastarne la verità, e in altri attrazione, volontà di comprendere.

“Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato»” è la reazione raccontata per prima probabilmente in quanto parere della maggioranza dei presenti. Notiamo quanto sia primitiva l’affermazione: non si considera il miracolo come punto dal quale partire per valutare la potenza dell’intervento di Nostro Signore che aveva liberato una persona dalla prigionia della cecità per molti anni e della vergogna da lui provata di fronte al prossimo che lo giudicava un peccatore (lui o i suoi genitori), ma si guarda al sabato istituito da Dio perché l’uomo potesse riposarsi non per far nulla, ma per meditare senza distrazioni sull’ “opera delle sue mani”. Ora, credo che migliore occasione, quel giorno, non potesse essere loro offerta.

Una piccola parte del Sinedrio, però, ragionò in modo diverso: “«Come può un peccatore compere segni di questo genere?». E c’era dissenso fra loro”. Attenzione a queste parole perché implicano il fatto che Gesù fosse santo. Sicuramente fra le persone che parlarono così vi furono Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, che fra l’altro, sempre leggendo la frase in modo esteso, avevano capito che non vi era stata alcuna violazione del sabato, istituito per l’essere umano e quindi per i peccatori.

Ricordiamo che, proprio alle stesse persone, Gesù aveva detto cose importanti quando guarì, sempre di sabato, il paralitico a Betesda: “Ora, se un uomo riceve la circoncisione di sabato perché non sia trasgredita la legge di Mosè, voi vi sdegnate conto di me perché di sabato ho guarito interamente un uomo? Non giudicate secondo le apparenze; giudicate con giusto giudizio!” (Giovanni 7.23). Un invito evidentemente non ascoltato, dire non ricordato volutamente perché la persona che segue se stessa non può tollerare alcun concetto diverso dal proprio: sia giusto o meno, lo ostacola e quindi va rimosso.

A proposito del “dissenso”, ricordiamo anche quanto avverrà dopo poco tempo: “Molti di loro dicevano: «È indemoniato ed è fuori di sé, perché state ad ascoltarlo?». Altri dicevano: «Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?»”. Tutto questo avverrà poco tempo dopo, quando Gesù parlerà di Sé come “buon pastore” e possiamo notare che l’ “aprire gli occhi ai ciechi” è in ricordo del nostro episodio che la parte avversa a Nostro Signore aveva volutamente dimenticato.

Il “dissenso” sorto è allora frutto del mettere assieme ciò che è malleabile e aperto e ciò che è invece “ostinato”, caratteristica fortemente negativa; pensiamo a Siracide 3.26,27 “Un cuore ostinato alla fine cadrà nel male, chi ama il pericolo in esso si perderà. Un cuore ostinato sarà oppresso da affanni, il peccatore aggiungerà peccato a peccato”, dove “alla fine” ci rivela come le persone che hanno questa caratteristica, oltre a vivere male, cadranno in esso come coronamento di tutto il loro operato, “alla fine” cioè senza poter porre più rimedio alla loro condizione.

A proposito dell’ostinazione, di cui le vicende del faraone sono e saranno sempre un emblema, ricordiamo le parole di Ezechiele 3.7: “La casa di Israele non vuole ascoltare te, perché non vuole ascoltare me: tutta la casa di Israele è di fronte dura e di cuore ostinato”. L’apostolo Paolo in Romani 2.5 e 9.19 scrive “Tu, però, con il tuo cuore duro e ostinato, accumuli collera su di te per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio”, e “Dio quindi ha misericordia verso chi vuole e rende ostinato chi vuole”.

Il cuore. La sede del nostro “tesoro” quindi ciò che abbiamo di più caro (Matteo 6.21). Esprimiamo con la bocca ciò che sovrabbonda in lui (12.34), può diventare insensibile e da lui, soprattutto, quando non è rigenerato da Dio, “provengono propositi malvagi, omicidi, adultèri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie” (15.19). Quando è ostinato e indurito, cioè non esiste alcuno spazio perché la Parola di Dio faccia breccia, non vi è nulla da fare.

A questo punto del racconto, chiaramente non portando ad alcun risultato il “dissenso” fra le parti, i Giudei chiedono al diretto interessato: “«Tu, cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!»”. Abbiamo una domanda e una risposta. Penso che la prima venne posta perché il cieco guarito desse ragione a una fazione piuttosto che a un’altra perché era ormai chiaro che di lui al Sinedrio importasse ben poco. “Tu, cosa dici di lui?” non era riferito al miracolo, ma alla persona di chi lo aveva prodotto. Cosa sapeva il guarito di Gesù? Probabilmente ne aveva sentito parlare cogliendo qualche discorso, ma non lo aveva mai incontrato se non quando, chino su di lui, gli aveva messo il fango sugli occhi e gli aveva parlato.

Per le conoscenze che aveva ed esperienza acquisita, non poteva rispondere diversamente, “È un profeta”: una conclusione semplice, la sola possibile, ma che verrà fermamente respinta dai cuori ostinati, che, a queste parole, arriveranno a non credere che fosse stato cieco: “Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista” (v.18).

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