12.20 – ABRAMO PER PADRE III/IV (GIOVANNI 8.39-41)

12.20 – Abramo per padre 3 (Giovanni 8.39-41) 

39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!».

Nei primi due capitoli ci siamo occupati di Abramo secondo il suo significato di “Padre grande”, datogli dal proprio padre Terach. Se quindi il nome dato a un figlio racchiudeva in sé ciò che questo sarebbe diventato un giorno o le caratteristiche somatiche o caratteriali, va da sé che nel momento in cui Dio interviene per modificarlo rende questo nome completo, lo rivela nella sua realtà operante. Per farlo fu sufficiente una “h” che, se fosse stata inserita da un uomo, sarebbe rimasta soltanto una consonante priva di valore non dando luogo ad alcuna modifica storica. Infatti:“Quanto a me, ecco io faccio con te un patto: tu diventerai padre di una moltitudine di nazioni. E non sarai più chiamato Abramo, ma il tuo nome sarà Abrahamo, poiché io ti faccio padre di una moltitudine di nazioni. Ti renderò grandemente fecondo, quindi ti farò divenir nazioni e da te usciranno dei re. E stabilirò il mio patto fra me e te e i tuoi discendenti dopo di te, di generazione in generazione; sarà un patto eterno, impegnandomi ad essere Iddio tuo e della tua discendenza dopo di te”(17.4-7).

Dal cambiamento del nome abbiamo un susseguirsi di eventi totalmente diversi da quelli di prima, che Abramo aveva conosciuto: viene istituita la circoncisione (17.9-14) e Sarai, che non poteva non rientrare nel piano preparato per il marito, fu chiamata Sara: “Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamare più Sarai, ma il suo nome sarà Sara” (v.15). Anche per questa variazione vale la stessa considerazione fatta per il marito: con l’uno aggiunge una consonante, con l’altra toglie una vocale; il nome Sarai significa “Mia signora”con riferimento alla casa e alla famiglia, e Sara “Signora”in senso molto più ampio ed infatti molti traducono “Sara” con “Principessa”. Diodati annota in proposito “…essendo stato Abrahamo stabilito padre dei credenti di ogni nazione, Iddio volle che anche sua moglie rientrasse in quel titolo”. Altrimenti, aggiungo, l’essere “una sola carne”non avrebbe avuto alcun valore. Infatti è scritto “…la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei”(v.16), concetto identico che poco prima era stato riservato al marito.

Con la circoncisione ad Abrahamo viene consegnata la responsabilità dell’atto e della trasmissione del patto di quell’alleanza, mantenuta poi nella successiva, della Legge. Subito dopo abbiamo la rivelazione della nascita di Isacco, “Figlio del riso”solo apparentemente in ricordo dell’episodio in cui Sara rise a questa promessa, ma le cui ragioni vanno ricercate in 21.6-7, “Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà lietamente di me! Chi avrebbe mai detto ad Abrahamo che Sara avrebbe allattato figli? Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia”.

Elemento che si tende a sottovalutare è costituito da una nota apparentemente di poco conto che troviamo in 17.22 che conclude il dialogo fra Dio ed Abrahamo riguardo alla nascita di Isacco: “Iddio terminò così di parlare con lui e lasciò Abrahamo, levandosi in alto”. Oltre a confermarci ciò che già sappiamo, cioè che Dio a quel tempo si rivelava in forma umana, non credo sia possibile altra conclusione se non che a parlargli fosse stato il Figlio, che di Dio è Parola, che con quell’ascensione di un corpo che aveva preso forma umana abbia voluto dare al tempo stesso un segno del luogo in cui dimora, che un riferimento a quanto avverrà più di 4mila anni dopo. Ad Abramo appare con corpo, a Mosé viene detto che non potrà essere visto perché “Tu non puoi vedere il mio volto, perché l’uomo non può vedermi e vivere”(Esodo 33.20). Il Dio delle promesse, quello che parla, è vicino, quello della Legge è distante, per quanto operativo, nella Sua Santità e Potenza.

Molto significativo sulle teofanie ad Abrahamo è quanto leggiamo in 18.1,2, preludio al rinnovo della promessa della nascita di un figlio da Sara: “Poi il Signore apparve a lui alle querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui”.

Sull’identità di costoro interviene l’autore della lettera agli Ebrei scrivendo “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”(13.2), ma ci sono fondati motivi per ritenere che uno di essi, ancora una volta, fosse il Figlio di Dio: sarà infatti solo uno a parlare senza considerare il verso 13 “E il Signore disse ad Abrahamo: «Perché ha riso Sara, dicendo potrò mai partorire, essendo già vecchia?»”. Si noti “Il Signore”, e non un suo angelo, che intervenne personalmente stante la solennità del momento perché con la nascita di Isacco si sarebbe posta una pietra miliare nel percorso dell’umanità verso la salvezza.

La presenza di Gesù, tornando al tema, credo sia anche deducibile dal fatto che a entrare in Sodoma furono due, mentre il terzo, credo Lui, restò fuori (19.1): la ragione di questo, credo, vada ricercata nel fatto che era ai due angeli che spettava il compito della distruzione, strumento di giudizio, mentre al Figlio, in quanto Dio, di ordinarla dopo un attento vaglio:“Ora io scenderò– come avvenuto con la torre di Babele – e vedrò se sono venuti allo stremo come il grido che è pervenuto a me– probabilmente da Lot –. Se no, lo saprò”(18.21). Scrivo questo come opinione personale, parlando il testo di Genesi non in modo illuminante come il Nuovo Testamento, quando si distinguono in modo più accurato i ruoli di YHWH. E non potrebbe essere altrimenti pensando ad Atti 17. 30,31: “Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell’uomo che egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti, risuscitandolo dai morti”.

Abbiamo poi, riguardo ai tre personaggi che apparvero ad Abrahamo, una successione particolare poiché, quando si accomiatano da lui, se è scritto che “Quegli uomini, partitisi di là, si diressero verso Sodoma, ed Abrahamo rimase ancora davanti al Signore”(v.22), quindi furono solo due a partire, mentre il terzo si fermò a parlare con lui che intercedé per i giusti, qualora fossero là presenti. Ecco allora che le parole di Gesù “prima che Abramo fosse, io sono”assumono una forte valenza non solo sulla Sua eternità, ma anche nella citazione di “Abrahamo, mio amico”(Isaia 41.8). Il nome di Abrahamo viene allora citato sia perché i Giudei lo avevano da poco nominato, ma anche in riferimento a tutta la protezione e stima di cui fu oggetto nonostante gli errori commessi nella carne.

Anche su Lot ci sarebbe molto da dire; basta però sottolineare il fatto che fu risparmiato dal giudizio sulla città (per quanto si trattò di un’intera regione). Illuminanti sono le parole dell’angelo, “Affrettati, rifugiati là, perché io non potrò far nulla finché tu non sia arrivato là”, dalle quali rileviamo che il giusto sarà sempre risparmiato dalla distruzione riservata all’empio: ciò che avvenne a Sodoma è la figura degli avvenimenti che caratterizzeranno la “Gran Tribolazione”dalla quale la Chiesa sarà risparmiata e in quel “non potrò far nulla”discerniamo tutta la protezione di Dio nei confronti di coloro che lo amano e temono di fronte alla quale l’angelo, che di Lui è un fedele e assoluto esecutore, si ferma.

Pensare che Sodoma fu punita esclusivamente per l’omosessualità praticata ovunque è però un errore: va piuttosto considerato l’atteggiamento totalmente antropocentrico che la caratterizzava, la ricerca (compulsiva) del benessere fine a se stesso indipendentemente da quale fosse lo strumento del piacere; leggiamo le parole rivolte a Gerusalemme: “Ecco, questa fu l’iniquità di tua sorella Sodoma: essa e le sue figlie– le altre città – erano in piena superbia, ingordigia, ozio indolente. Non stesero però la mano contro il povero e l’indigente. Insuperbirono e commisero ciò che è abominevole davanti a me. Io le eliminai appena me ne accorsi”(Ezechiele 16.49-50). E Giuda, nella sua lettera, scrive “Ora voglio ricordare a voi (…)che il Signore, dopo aver salvato il suo popolo dal paese d’Egitto, in seguito fece perire quelli che non credettero. Egli ha pure rinchiuso nelle tenebre dell’inferno con catene eterne, per il giudizio del gran giorno, gli angeli che non conservarono il loro primo stato, ma che lasciarono la loro propria dimora. Proprio come Sodoma e Gomorra e le città vicine, che alla stessa maniera si abbandonarono all’immoralità e seguirono vizi contro natura, stanno subendo esemplarmente le pene di un fuoco eterno”(v.7). Il giudizio che si abbatté sulla regione, poi, non fu solo un castigo, la parola “fine” posta da Dio alla presunta autonomia umana, ma di monito per tutti quelli che ne avrebbero concretato la tendenza: “Così pure condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra, riducendole in cenere, lasciando così un segno ammonitore a quelli che sarebbero vissuti senza Dio”(2 Pietro 2.6).

Qui ci troviamo ad un punto fondamentale perché tutta la Scrittura parla del giudizio di Dio su chiunque lo rifiuta, principio che viene sempre esposto nella maniera più chiara possibile: l’uomo con le sue gioie (poche e comunque non garantite come lo sono la sofferenza e la morte) passa anche se si illude di poter vivere un eterno presente. Se sa di dover morire, agisce come se questo evento sia sempre e comunque lontano, non gli appartenga perché, nella carne, non sa come affrontarlo. Esemplare in proposito è il testo di Deuteronomio 29.18-20: “Non vi sia fra voi uomo o donna o famiglia o tribù il cui cuore si allontani dall’Eterno, il nostro Iddio, per andare a servire gli dèi di quelle nazioni; non vi sia tra voi radice alcuna– quindi che agisce sotto terra –che produca veleno o assenzio; e non avvenga che alcuno, ascoltando le parole di questo giuramento, in cuor suo faccia propria una benedizione dicendo «Avrò pace anche se camminerò secondo la caparbietà del mio cuore» come se l’ebbro potesse essere incluso al sobrio. L’Eterno non gli potrà mai perdonare, ma in tal caso la sua ira e gelosia arderanno contro quell’uomo e tutte le maledizioni scritte in questo libro si poseranno su di lui, e l’Eterno cancellerà il suo nome sotto il cielo”.

Concludendo questo scritto, e come consuetudine tornando al tempo in cui Gesù parlò ai Giudei, il nome di Abrahamo da loro pronunciato così alla leggera avrebbe dovuto farli riflettere anche attorno al giudizio su Sodoma, ricordato fra l’altro da Lui stesso in un’altra occasione quando disse alla città di Capernaum “…se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe!”. Il nome di Abrahamo implica certo le promesse, la circoncisione che anticipava la Legge, il rinnovo in un certo senso del patto dell’appartenenza e l’essere sua progenie secondo la carne, ma anche il giudizio sugli operatori d’iniquità, genere di persone alle quali indubbiamente quei Giudei appartenevano. Amen.

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