12.10 – La donna adultera 1 (Giovanni 8.1-11)
Premessa
Stiamo per affrontare un passo sulla cui autenticità si è molto discusso per quanto nulla lasci supporre, per l’insegnamento in esso contenuto ed il comportamento avuto da Gesù, che sia inventato. Fatto sta che il racconto, negli antichi manoscritti che riportano il Vangelo di Giovanni, o non è presente o si trova in un altro contesto, raccordabile a dopo Luca 21.37,38 quando leggiamo che “Durante il giorno insegnava nel tempio, la notte usciva e pernottava all’aperto sul monte detto degli Ulivi. E tutto il popolo veniva a lui di buon mattino nel tempio per ascoltarlo”. Si sottolinea che lo stile non sembra essere quello di Giovanni, che Origene (184-254), Tertulliano (155-230), Cipriano (210-258), Cirillo (370-444) e Crisostomo (344-407) non ne parlano mai nei loro scritti, ma d’altro canto l’episodio si trova nel Codice di Beza (380-420) e in circa trecento manoscritti corsivi anteriori di cui cinquanta lo segnano con un asterisco in segno di dubbio. San Girolamo, autore della Vulgata, annota che “il passo relativo alla donna adultera si trova in molti codici greci e latini” e Sant’Ambrogio, Sant’Agostino ed altri Padri del IV° secolo lo ammettono come autentico, supponendo che la sua assenza in alcune copie fosse dovuta al timore che la misericordia usata da Gesù alla donna in questione potesse far credere che il suo atto fosse immune dal peccato. Altro punto di interesse si trova nelle “Costituzioni apostoliche” raccolte da Clemente Romano (II° sec.) in cui viene fatta allusione all’episodio, fatto importante perché ci segnala che il racconto fosse già noto prima che venissero redatti i più antichi manoscritti oggi conosciuti.
Come affrontare quindi il brano? Ritenendolo autentico, ma allo stesso tempo segnalandone i dubbi senza ritenere infondato quando supposto da Sant’Agostino: se ci furono delle ragioni per non farlo entrare nel Vangelo di Giovanni, non pare possibile che ve ne fossero per includerlo se non fosse stato presente dal principio.
1 Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Il primo verso ci parla fondamentalmente di distanze o, se preferiamo, di livelli. Ricordiamo la conclusione del passo precedente quando abbiamo letto che, dopo il rimprovero alle guardie e alla questione posta da Nicodemo con relativa lite, “ciascuno tornò a casa sua”. I componenti del Sinedrio tornano alle loro case – e qui avevo fatto un appunto relativo alla temporaneità della loro quiete – e Gesù si avvia “verso il monte degli Ulivi” per cui possiamo raccordarci a Luca che, nel passo poc’anzi citato, ci ha scritto che lì “pernottava” coi discepoli. I dodici dormivano, Gesù credo molto meno. Comunque sia abbiamo tre distanze, o livelli, che denotano lontananza o vicinanza, esclusione o compartecipazione al piano di Dio per la salvezza dell’uomo, per essere o non essere Suoi strumenti, essere esclusi o rientrare nel Suo Piano: il Sinedrio, i dodici – tra i quali però vi era anche Giuda – e Gesù. In tutto questo contesto, cioè di quelle che abbiamo chiamato “distanze”, si inserisce un elemento neutro visto in “tutto il popolo” che “andava a lui”, cioè persone che venivano poste nelle condizioni di accogliere o rifiutare le Sue parole. Alcuni di questi sarebbero andati a Lui a bere.
Ora è in questo preciso momento, quello di Nostro Signore che insegna, che si inserisce l’intervento dei Suoi avversari, ma prima di parlarne occorre considerare cosa fossero la Festa dei Tabernacoli, a livello pratico, e l’adulterio; sono argomenti che entrambi sono stati affrontati in precedenza e che qui sorvoleremo con qualche aggiunta.
Il primo tema, quello della festa, è piuttosto semplice: sappiamo che durava sette giorni e che l’ottavo, definito in Levitico 23.36 come giorno di “santa convocazione e offrirete al Signore un sacrificio fatto con fuoco. È giorno di assemblea solenne, non farete in esso alcun lavoro servile”, non si svolgeva esattamente come ordinato da Dio. Per meglio dire, lo si osservava nella lettera, ma certo non nella sostanza poiché Plutarco, circa trent’anni dopo l’episodio, definirà quel giorno “la festa di Bacco presso i Giudei”, quindi una sorta di Carnevale in cui molti abbandonavano ogni ritegno per cui valeva l’adagio “semel in anno licet insanire”. Fu in quel contesto motivazionale che si verificò l’adulterio di cui parla Giovanni, reato che prevedeva la morte per entrambe le parti che lo commettevano. Leggiamo infatti in Deuteronomio 22.22: “Se un uomo viene trovato coricato con una donna maritata, moriranno entrambi: l’uomo che si è coricato con la donna e la donna. Così estirperai il male di mezzo a Israele”. In quel caso, invece, a pagare sarebbe stata solo colei che, a differenza della controparte, non era riuscita a fuggire.
C’è poi da considerare il motivo principe della pena di morte per un reato che, soprattutto oggi, nel mondo non è più considerato tale. L’adulterio, tanto nell’Antico che nel Nuovo Patto, era ed è inammissibile perché l’unione matrimoniale raffigurava la dedizione reciproca che avrebbe dovuto intercorrere tra Dio e il Suo popolo Israele. La stessa cosa è ora con la Chiesa, cioè amore che si caratterizza attraverso un’unione intima e stabile che non può venire inquinata da rapporti con estranei. Ricordiamo poi che esiste l’adulterio spirituale che si concreta nel momento in cui si scelgono altri dèi cui servire e adorare, o si mescolano e praticano elementi pagani nelle riunioni della Comunità dei credenti. Sappiamo che nella storia l’adulterio e la fornicazione spirituale è sempre stato un elemento scatenante di giudizi molto pesanti, primo fra i quali il diluvio. Sotto questo aspetto vale la pena citare l’esempio della chiesa di Tiatira di cui, in Apocalisse 2.20-23 leggiamo: “Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Gezabele, la donna che si dichiara profetessa e seduce i miei servi, insegnando a darsi alla prostituzione e a mangiare carni immolate agli idoli. Io le ho dato tempo per convertirsi, ma lei non vuole convertirsi dalla sua prostituzione. Ebbene, io getterò lei in un letto di dolore e coloro he commettono adulterio con lei in una grande tribolazione, se non si convertiranno dalle opere che ha loro insegnato. Colpirò a morte i suoi figli e tutte le Chiese sapranno che io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini, e darò a ciascuno di voi secondo le loro opere”.
Sono questi indubbiamente versi sui quali andrebbe effettuato uno studio a parte, ma vediamo che la “prostituzione” e l’ “adulterio” di cui si parla, per quanto possano alludere a quelli carnali, siano un sistema che confluisce in una pratica religiosa che si concreta in un rigetto della dottrina e di tutto quanto originariamente ricevuto attraverso un pericolosissimo aggiungere e togliere.
Per un popolo come quello di Israele in cui era fondamentale la genealogia e il procreare – pensiamo alla sterilità considerata come un castigo divino – l’adulterio era inammissibile anche perché in questo modo la paternità sarebbe stata impossibile da stabilire. Pensiamo ad esempio a Siracide 23.22-26 che spiega molto bene queste dinamiche: “…così anche la donna che tradisce suo marito e gli porta un erede avuto da un altro. Prima di tutto ha disobbedito alla legge dell’Altissimo, in secondo luogo ha commesso un torto verso il marito, in terzo luogo si è macchiata di adulterio e ha portato in casa i figli di un estraneo. Costei sarà trascinata davanti all’assemblea e si procederà a un’inchiesta sui suoi figli. I suoi figli non metteranno radici, i suoi rami non porteranno frutto. Lascerà il suo ricordo come una maledizione, la sua infamia non sarà cancellata”.
Ora, tornando al nostro testo per quanto riguarda i primi due versi, notiamo che dopo la riunione del Sinedrio abbiamo tre divisioni: i suoi membri tornano alle loro case (prima divisione) e per farlo devono separarsi l’uno dall’altro non certo in armonia (seconda) e infine Gesù si allontana andando al monte degli Ulivi (terza). Il giorno seguente, però, abbiamo un avvicinamento visto nel convergere al tempio del popolo desideroso di ascoltare e di Lui che li raggiunge, si siede e si mette “a insegnare a loro”, cioè da un lato parla di cose che non sapevano e dall’altro, fedelmente all’etimologia del termine, “in signo”, lo fa lasciando un segno profondo nri Suoi uditori.
È anche importante l’ “Allora” con cui inizia il verso terzo, che sta a indicare “a quel punto”, certo giunto non a caso, ma segno della volontà da parte degli oppositori di Gesù non solo di metterlo in difficoltà, ma di creare sconcerto e dubbio in quanti erano venuti lì ad ascoltarlo. Abbiamo una volontà di spettacolo cinica e brutale, come ha scritto un fratello: “il produrre quella donna in pubblico a quel modo era un atto di inutile crudeltà verso di lei ed un insulto a tutti gli spettatori di cuore generoso e modesto. Avrebbero potuto tenerla in carcere mentre riferivano il fatto a Gesù, senza contare l’indelicatezza brutale nei termini coi quali veniva pubblicata la sua colpa”.
Invece, quelli la presero non appena colta sul fatto, la condussero nel cortile del tempio e la gettarono “in mezzo”, cioè in quello spazio che si era venuto a creare tra Gesù e quanti lo desideravano ascoltare. Teniamo presente che ciò avvenne è di mattina, presumiamo presto, ad un orario in cui il Sinedrio, l’unica autorità che poteva decidere la morte di una persona, non era convocato. Leggendo poi la domanda posta a Nostro Signore è chiaro che non gli chiedono una sentenza di morte, ma un parere – “Tu, che ne dici?” – per cui abbiamo un ulteriore indizio sulla reale intenzione di turbare gli animi dei presenti: agli insegnamenti di grazia ed amore proposti da Lui, contrappongono la durezza implacabile della Legge di Mosè al riguardo.
Questo però fu solo l’aspetto più apparente e immediato, poiché in realtà ciò a cui miravano gli avversari di Gesù era di “metterlo alla prova e avere motivo di che accusarlo” (v.6): se Gesù avesse assolto la donna, si sarebbe ribellato alla Legge e così poteva essere accusato come impostore e falso Messia; se l’avesse condannata avrebbe agito in modo contrario alla compassione che sempre aveva dimostrato nei confronti dei pubblicani e peccatori in genere.
Poi, ragionamento ancora più sottile, se Gesù avesse assolto la colpevole, “sostituendosi a Dio”, sarebbe stato facilmente condannabile dal Sinedrio come bestemmiatore, ma se la condannava sarebbe entrato in conflitto con l’autorità romana che non puniva l’adulterio con la morte e per questo sarebbe stato denunciato a loro dagli scribi e farisei.
E sappiamo che la prima risposta di Nostro Signore sarà quella di scrivere col dito per terra.
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