12.07 – A GERUSALEMME, AL TEMPIO IV/IV ( Giovanni 7.32-36)

12.07 – A Gerusalemme: Al Tempio IV (Giovanni 7.32-36)

           

 

32I farisei udirono che la gente andava dicendo sottovoce queste cose di lui. Perciò i capi dei sacerdoti e i farisei mandarono delle guardie per arrestarlo. 33Gesù disse: «Ancora per poco tempo sono con voi; poi vado da colui che mi ha mandato. 34Voi mi cercherete e non mi troverete; e dove sono io, voi non potete venire». 35Dissero dunque tra loro i Giudei: «Dove sta per andare costui, che noi non potremo trovarlo? Andrà forse da quelli che sono dispersi fra i Greci e insegnerà ai Greci? 36Che discorso è quello che ha fatto: «Voi mi cercherete e non mi troverete», e: «Dove sono io, voi non potete venire»?».

 

            Con questi versi si conclude il racconto di ciò che avvenne nel tempio di Gerusalemme, quando Gesù si mise a insegnare. Giovanni, omettendo gli accadimenti dei circa due giorni successivi, riprenderà il racconto una volta giunto “…l’ultimo giorno, il grande giorno della festa” (v.37 e segg.). Il quadro che l’evangelista ci offre è molto indicativo sull’ostilità che si era venuta a creare non solo nei confronti di Nostro Signore, ma di chiunque fosse anche solo un Suo generico simpatizzante: infatti “i farisei udirono che la gente andava dicendo sottovoce queste cose di lui”, cioè quella constatazione che la gente faceva: “Il Cristo, quando verrà, potrà fare segni più grandi di quelli che ha fatto costui?” (v.31).

In pratica non era certo la prima volta che veniva minata l’autorità religiosa dei farisei (e con loro tutti gli altri), ma questa volta essi entrarono in fibrillazione perché parte del popolo iniziava a pensare che proprio Gesù fosse il Messia promesso. Ecco perché la loro reazione immediata fu quella di mandare “delle guardie per arrestarlo”. Quest’ordine fu dato dai farisei e dai “capi dei sacerdoti”, cioè quelli delle ventiquattro classi, o mute, nelle quali Davide aveva diviso i discendenti di Aaronne (1 Cronache 24.7-19) e che dopo di lui Giosia, Esdra e Nehemia avevano ricostituito. Ora cosa successe? Non è che come i Giudei si accorsero del mormorio del popolo inviarono le loro guardie, ma, anche se Giovanni non lo scrive, dovettero convocare con urgenza il Sinedrio che prese il provvedimento di procedere all’arresto di Gesù che si concreterà “l’ultimo giorno della festa”. Ecco perché quanto abbiamo letto ai versi 31 e 32 non trova immediata conclusione, che troveremo poi dal 44 a seguire, temporalmente circa due giorni dopo. Ecco cosa accadrà: “Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso. Le guardie tornarono quindi dai sommi sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!»”.

Ora, rimandando le considerazioni su questi versi a un capitolo successivo, possiamo esaminare le parole di Gesù ai Suoi uditori a prescindere dalla posizione che avevano assunto: ciò che viene annunciato non è solo la Sua morte, ma soprattutto ricorda l’appuntamento che ogni essere umano da lì in poi avrebbe avuto con la fine in genere, morte compresa. E si tratta di un tema fondamentale, quello di quanti ritengono che tutto debba scorrere secondo le proprie aspettative: ogni mattina ci si alza, si affronta il giorno coi suoi problemi e le sue “gioie”, ci si accorda magari per il successivo dando per scontato che arrivi e venga vissuto senza pensare all’imprevisto più o meno grave che può sempre verificarsi o che tutto possa finire. Qui però Gesù parla di molto altro.

“Ancora per poco tempo sono con voi” possiamo dire che sia il primo annuncio di un tempo a finire dato a persone diverse dai suoi discepoli e, come per tutte le altre volte anche dai dodici, non fu capito. Si tratta di parole rivolte a tutti, quelli che stavano per credere in Lui o lo avevano già fatto e coloro che ne stavano architettando la morte. Qui Gesù esprime un concetto temporale raccordato agli uomini perché ne approfittasero perché quel “con voi” è ben diverso dall’analogo detto ai Suoi, “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28.20): a loro promise e la Sua presenza incessante, mentre nel nostro caso il riferimento è alla Sua missione perché “poi vado da colui che mi ha mandato”. Sarebbero allora finiti quei giorni in cui l’Emmanuele, il “Dio con noi” sarebbe stato disponibile e pronto così come si era manifestato. Ricordiamo infatti come viene presentato Gesù dai Vangeli e come potevano vederlo i suoi contemporanei: come Re da Matteo, come Servo da Marco, Figlio dell’uomo da Luca, e Figlio di Dio da Giovanni.

Ebbene, incontreremo altre frasi che rappresenteranno il concetto espresso al Tempio, ad esempio in 12.35,36, sempre diretto alla folla: “Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce”.

Leggendo il nostro testo sappiamo che i presenti non capirono le parole di Gesù, o meglio non si soffermarono sul “poco tempo”, ma si chiesero dove andasse, cosa volesse significare quel “dove sono io non potete venire”; lo fecero in modo del tutto cieco, usando il letteralismo cui erano abituati, ma in realtà tutti avrebbero potuto capire sia il concetto dell’urgenza di cercare e trovare il Signore, sia dove si sarebbe recato, nella regione dove si trova il Perfetto Spirito, come da Isaia 55. 6-9: “Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie, oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”.

Ora Gesù sarebbe andato là dove le vie di Dio sovrastano le loro e con le parole “vado da colui che mi ha mandato” dichiara la fine prossima della Sua missione, dove nulla di meno della perfezione era stato fatto per la salvezza dell’uomo, “Tutto è compiuto”. Quando guardo a ciò che ho fatto nella mia vita, nei molti compiti che mi sono stati affidati o nelle attività che ho svolto, trovo sempre dei punti che avrei potuto migliorare, sviluppare, elementi che ho tralasciato, mancanze, difetti nonostante il mio lavoro sia sempre stato apprezzato, per non parlare degli errori compiuti nella mia vita personale: ebbene, Gesù è l’unico che non sbagliò mai nonostante il suo crescere “in terra arida”, non fece nulla di meno e fu perfetto a tal punto da essere misurato così dal Padre non come Figlio, ma come Uomo. E fu definito, come sappiamo, “Ultimo Adamo” perché, con la sua vita terrena, rimediò agli errori del primo a tal punto da essere definito “Spirito che dà la vita”. E riuscì dove tutti gli altri uomini fallirono.

Il fatto che Nostro Signore fosse con loro “ancora per poco” è un’apertura temporanea che si conclude con “e non mi troverete”, spiega che il “mentre si fa trovare” di Isaia finisce senza che vi sia poi una possibilità per tornare indietro. Anche questo è un concetto che verrà ripetuto più avanti, ma in maniera molto più drammatica: “Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire” (8.21). In 7.36 abbiamo “Dove io sono”, in 8.21 “Dove io vado” perché l’uno implica l’altro, perché Gesù, proceduto dal Padre, “Io sono”, a Lui ritorna. E ricordiamo quanto detto a Pietro: “Dove vado io per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi” (13.36): lui e tutti coloro che avrebbero creduto avrebbero seguito Gesù, non i suoi avversari, detrattori, negazionisti.

Occorre però sviluppare, per quanto brevemente, quel “mi cercherete, ma non mi troverete”, che trova un suo approfondimento nel “morirete nel vostro peccato” perché “se non credete che io sono, morirete nei vostri peccati” (8.24). In queste parole si potrebbe vedere una contraddizione con la promessa “cercate e troverete” che dà libero accesso all’anima alla sincera ricerca di Dio, ma così non è perché qui Gesù si rivolge a chi lo cerca non per risolvere il problema della propria identità e soprattutto destinazione finale, ma a chi agisce in tal senso per avere un aiuto unicamente materiale come hanno sempre fatto molti che cercano l’aiuto di Dio quando capiscono che per loro è impossibile mutare una situazione. Sono convinto che qui Gesù alluda alla catastrofe che da lì a un tempo prossimo avrebbe colpito la nazione giudaica e che, in quel frangente, avrebbe cercato non tanto Lui, ma un Messia che lo salvasse. “Mi cercherete” non per avere la salvezza dell’anima ed essere veramente uomini, ma perché avrete timore della distruzione e della morte. Quindi, “non mi troverete”. E leggere le cronache dell’assedio, conquista e distruzione da parte delle truppe romane comandate da Tito è angosciante anche perché quell’azione militare non riguardò soltanto la “santa città”, ma tutti i territori ebraici che si erano ribellati a Roma, quindi l’intera Palestina.

Il “Voi mi cercherete, ma non mi troverete” si può dire che sia uno dei molti avvertimenti di Gesù, o anticipazioni, dati sulla rovina della città e su quello che per gli ebrei rappresentava: ricordiamo quando pianse su di lei, le parole dette ai discepoli “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta” (Luca 21.6), per non parlare del sermone profetico: “Allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere roba di casa e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni”. Da notare che i morti, alla fine della distruzione, furono un milione, i deportati centomila e che il Tempio, che nelle intenzioni di Tito avrebbe dovuto essere risparmiato, fu distrutto dalla furia incontrollabile dell’esercito, diventata tale a seguito dell’esasperazione per il lungo assedio, la conquista estremamente difficoltosa di parti della città e le estenuanti imboscate degli zeloti. Se la cortina del tempio si divise in due dopo la morte di Gesù, qui ad essere distrutto quindi fu il Tempio, ritenuto la dimora di Dio e il centro dell’ebraismo.

Tutti questi avvenimenti, nel 32 circa, erano inconcepibili per tutti i presenti che sottovalutarono l’invito ad approfittare  della presenza di Nostro Signore “ancora per poco” per essere salvati, ma si preoccuparono di dove mai sarebbe potuto andare: “Dove potrà mai andare costui, che non potremo trovarlo?” è frase chiaramente detta dai rettori del popolo gli uni con gli altri a sottintendere che mai avrebbe potuto essere risparmiato dal loro potere. La seconda parte del loro chiedersi dove mai potesse andare, è ironica e dispregiativa al tempo stesso: “Andrà forse fra coloro che sono dispersi fra i Greci e insegnerà ai Greci?” è un riferimento a quegli ebrei che si erano stabiliti fuori dalla Palestina, in Africa, Asia minore e Siria o in tutto l’Oriente in genere ai quali, secondo loro, avrebbe potuto andare come ultima spiaggia pur di propagandare la sua dottrina.

In realtà, quella frase fu inconsapevolmente profetica perché ai Giudei dispersi Gesù si rivolgerà attraverso gli Apostoli, Pietro e Giacomo in particolare che dedicherà loro una lettera (Giacomo 1.1 “Alle dodici tribù che sono disperse nel mondo”). Sappiamo che lo stesso sommo sacerdote Caiafa (o Caifa) farà un’affermazione degna di nota nonostante la intendesse in modo diverso, “Voi non capite nulla e non considerate che conviene per noi che un solo uomo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione” (11.49,50) dove al verso successivo Giovanni annota che “non disse questo da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote in quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione”.

Concludendo, vediamo l’interrogativo di prima ripetuto (v.36), segno che nonostante la derisione nei confronti di Gesù, i suoi dertrattori cercavano comunque di comprenderne il senso, ma rimase senza risposta.

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