12.01 – I Samaritani respingono Gesù (Luca 9.51-56)
51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Concluso il “discorso ecclesiologico”, inizia un nuovo periodo della vita di Gesù, dalla ricostruzione cronologica non semplice e dove forse l’interpretazione si fa più opinione che dato incontrovertibile. Si tratta di un tempo ricco di episodi e insegnamenti particolari riportati in modo estremamente dettagliato che ci parlano quasi dell’urgenza, stante la vita umana di Gesù che stava per concludersi, di rivelare il maggior numero possibile di contenuti ai credenti che si sarebbero succeduti nella dispensazione della Grazia, ma anche dopo. E qui viene chiamata indirettamente in causa l’utilità e la funzione del Libro che ha guidato e guida gli uomini di Dio di ogni epoca; ricordiamo infatti che “Allora parlarono tra di loro i timorati di Dio. Il Signore porse l’orecchio e li ascoltò: un libro di memorie fu scritto davanti a lui per coloro che lo temono e che onorano il suo nome”(Malachia 3.16): questo Libro ha attraversato i secoli e durerà fino a quando non sarà più necessario, cioè con la creazione di quel mondo nuovo, con altri cieli e altra terra, più volte anticipato tanto negli scritti dell’Antico che soprattutto nel Nuovo patto.
Luca stesso, con “la ferma decisione”di Gesù sembra avvertire il suo lettore che ci fu un tempo preciso, un cambiamento, quasi che fosse stato premuto il tasto di un cronometro nella vita del Figlio dell’uomo, e il verso 51 ci dice che stavano “compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto”: viene posto quindi l’accento non sulla Sua morte, ma sulla resurrezione ed ascensione mediante la quale la vinse e con cui viene dimostrato ufficialmente che ogni cosa era stata messa in atto per la salvezza dell’uomo. Certo, anche il fatto che Satana era stato sconfitto perché nulla aveva potuto contro di Lui tranne che ferirlo al “calcagno”. Gesù quindi era entrato nella parte conclusiva del Suo Ministero, anche se da lì alla resurrezione passerà ancora un anno circa.
C’è poi, sempre nello stesso verso lucano, la “ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”, traduzione piuttosto libera che indubbiamente rende il senso di quanto Gesù intendeva fare, ma che il testo originale descrive diversamente, cioè “fermò la sua faccia”, o “indurì il volto”. Pensiamo alla diversità con cui fu descritto il Suo volto alla trasfigurazione, quando “brillò come il sole”(Matteo17.2) che qui è “indurito”nel momento in cui la “ferma decisione”non implica lo stabilire una partenza per raggiungere in fretta un determinato luogo, ma il rinnovare l’accettazione del percorso che il Padre aveva stabilito per Lui sapendo che il tempo a lui dato stava per finire. Il “volto indurito”di Nostro Signore significa questo, è il volto dell’uomo consapevole delle sofferenze che dovrà affrontare, è il volto del Dio fatto uomo che avrebbe “tolto”, cioè preso su di sé, “il peccato del mondo”. Purtroppo la Chiesa ha fatto poco per chiarire il significato di questo “togliere” quando, mutando progressivamente la lingua italiana, è prevalso quello di“portare via qualcosa da un luogo, levare, rimuovere”.
Ma torniamo al volto qui descritto da Luca, che dà l’idea di un’inflessibile risoluzione: troviamo un corrispettivo ebraico del “fermò la faccia”in tre passi, il primo del quali è nei cantici del servo, in Isaia 50.7 “Il Signore mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro”, dal letterale, dopo “Il Signore mi ha aperto l’orecchio”, “ho reso la mia faccia simile ad un macigno, e so che non sarò svergognato”. Il secondo passo è reperibile in Geremia 21.10, nell’oracolo contro Gerusalemme: “Chi rimane in questa città morirà di spada, di fame e di peste; chi uscirà e si consegnerà ai Caldei che vi cingono d’assedio, vivrà e gli sarà lasciata la vita come bottino, perché io ho volto la faccia contro questa città, per il suo danno e non per il suo bene. Oracolo del Signore. Essa sarà data in mano al re di Babilonia, che la darà alle fiamme”. Infine il terzo lo abbiamo in Ezechiele 6.2: “Figlio dell’uomo, volgiti verso i monti d’Israele e profetizza contro di essi”, anche qui con l’originale “volgi la tua faccia”.
La descrizione del volto di Gesù, allora, da una parte rivela tutto il Suo impegno e dall’altra anticipa sempre di più la divisione netta tra ciò che è santo e ciò che non lo è, tra chi gli appartiene e chi no e infatti, dopo questo episodio secondo la mia lettura, vi saranno i guai profetizzati contro Betsaida, Capernaum e Corazin.
Sappiamo già che Nostro Signore non volle aggregarsi alla carovana coi suoi fratelli, e che partì poco dopo per Gerusalemme, ma troviamo un’azione mai riportata prima di allora, e cioè “mandò messaggeri davanti a sé”la cui identità è sconosciuta: possiamo pensare che fossero alcuni dei “settanta” che invierà di lì a poco tempo, ma non i dodici, per lo meno non Pietro, Giacomo e Giovanni. Il compito di questi inviati era quello di“preparargli l’ingresso”, letteralmente“preparare per lui”in quanto era necessario trattare coi samaritani, come sappiamo tradizionalmente avversi agli ebrei per ragioni che abbiamo già esaminato, per avere ospitalità e non essere confusi con gli altri coi quali c’era un rapporto di ostilità: ricordiamo infatti le parole della donna al pozzo di Giacobbe in Sichar, “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?” (Giovanni 4.9).
Gesù e il Suo gruppo, però, erano “chiaramente in cammino verso Gerusalemme” (v.53): per quei samaritani il loro era un viaggio “religioso” data la festa in corso in quella città e, dal momento in cui era aperta la questione del legittimo Tempio, se quello “ufficiale” o il loro sul Gherizim, non acconsentirono ad accoglierli.
Saputo questo, mentre il loro Maestro taceva, Giacomo e Giovanni, soprannominati “Boanerges, cioè figli del tuono”, manifestarono il loro carattere, offesi dal diniego ricevuto, riferendosi all’episodio di 2 Re 1.11,12 quando leggiamo che, davanti a due compagnie di uomini mandati ad arrestarlo, Elia disse“Se sono un uomo di Dio, scenda un fuoco dal cielo e divori te e i tuoi uomini”, come effettivamente avvenne. Da notare che i due discepoli sembrano chiedere il permesso di agire in tal modo, ma in realtà si ergono a difensori di Gesù, volendo intervenire al Suo posto, quasi che fosse debole o, secondo loro, non avesse capito la portata dell’offesa. È in sostanza come se gli avessero detto “Vuoi che ci pensiamo noi?”, dimostrando di essere dominati da uno spirito carnale che, di fronte alla non reazione del Maestro secondo i loro parametri, si sente in dovere di intervenire. Giacomo e Giovanni avrebbero dovuto ricordarsi della reazione che avrebbero dovuto avere di fronte al rifiuto ad accoglierli: “E se alcuni non vi ricevono, uscite da quella città, e scuotete la polvere dai vostri piedi, in testimonianza contro di loro”(Luca 9.5). Con quel gesto, infatti, i discepoli avrebbero dichiarato da un lato la loro totale estraneità al rifiuto del messaggio che portavano, lasciando a quella gente l’intera responsabilità della loro opposizione al Vangelo.
Possiamo capire allora che non compete a chi porta il Vangelo chiedere un giudizio di Dio quando una persona gli si oppone, ma solo la consapevolezza del fatto che la pace che vorrebbe portare, una volta rigettata, ritorna a lui: “Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi”(Matteo10.13). Al contrario l’uomo naturale, quello che “non comprende le cose di Dio perché per lui sono follia”, quando si trova di fronte a una non accoglienza delle sue idee o proposte, si offende, si contraria, reagisce in malo modo come un bambino, cosa che appunto fecero Giacomo e Giovanni ed ecco perché Gesù disse loro “Voi non sapete di che spirito siete”, non riportata dalla nostra versione, ma da altre: non avevano capito nulla, confondendo l’intervento di Dio, autonomo, preciso e chirurgico, con il loro volere in quel momento estremamente distante da Lui. Ancora una volta emerge l’incapacità dell’essere umano di fare i raccordi opportuni per poter capire e avere una reazione proporzionata: i due fratelli, memori di aver visto Elia parlare con Gesù alla trasfigurazione, lo citano confondendo il fatto che l’uno apparteneva a una dispensazione e loro ad un’altra e quanto da Lui operato in quella della Legge non poteva trovare applicazione in quella della Grazia.
Il testo che utilizziamo, al verso 55, è generico perché leggiamo “Si voltò e li rimproverò”, ma altre versioni hanno “Voi non sapete di quale spirito siete, poiché il Figlio dell’uomo non è venuto per perdere le anime degli uomini, ma per salvarle”. Ecco allora – aprendo una breve parentesi – quanto è importante dotarsi di una traduzione affidabile operata da persone che tengano conto del testo antico e, sotto l’azione dello Spirito e non solo del tradurre critico come fosse un semplice scritto, possano aiutare chi legge a una comprensione maggiore, che non ometta o riassuma fatti o parole, non informi ma possa formare.
Giovanni, scrivendo il suo Vangelo, dimostrò di aver compreso molto bene le parole di Gesù, poiché leggiamo proprio che “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito figlio di Dio”(3.17,18). Ancora, in 3.36, “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui”: possiamo sottolineare che abbiamo l’essere “già condannato”,ma è quell’ “incombe su di lui”, non “cade”, che costituisce al tempo stesso un pesante avvertimento e una speranza, poiché una cosa che “incombe” allude a un pericolo imminente, che grava ma può essere rimosso e ciò si verifica nel momento in cui una persona crede.
Il “salvare ciò che era– altrimenti – perito”, significa proprio questo: Gesù vuole salvare, cioè recuperare e la Sua azione è definita come uno strappare, “ha dato se stesso per i nostri peccati al fine di strapparci da questo mondo malvagio”(Galati 1.4). È sufficiente quindi che l’uomo si abbandoni a Lui ed in quel momento si verifica il Suo intervento. Paolo di Tarso scrisse nella sua prima lettera a Timoteo “Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io”(1.15). Gesù, come Dio, avrebbe potuto far scendere quel “fuoco”di cui gli parlarono Giacomo e Giovanni, ma non lo fece perché quell’avvenimento sarebbe stato incompatibile con la Sua funzione: a quei samaritani sarebbe stato concesso del tempo anche se il loro era “sempre pronto”. Gli abitanti di quel villaggio era impossibile non avessero sentito parlare di Gesù, poiché passare per la Samaria era la via più breve tra la Galilea e la Giudea, ma non Lo presero in considerazione, vedendo in Lui un Giudeo che andando a Gerusalemme, dimostrava di non tenere in alcun conto il loro Tempio né le loro tradizioni. Ma non si scompose e, semplicemente, “andarono in un altro villaggio”, non è detto quale, né se si trovasse in Samaria o in Giudea.
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