11.04 – LA DONNA SIROFENICIA, INTRODUZIONE (Marco 7.24-30)

11.04 – La donna siro fenicia, introduzione (Marco 7.24-30)

 

24Partito di là, andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. 25Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. 26Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. 27Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». 28Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». 29Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». 30Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.

 

Abbiamo letto un episodio molto particolare che va preceduto da considerazioni anche di carattere storico tenendo presente che Gesù parte da Capernaum, il cui nome significa “vicolo di consolazione”, dove aveva stabilito la sua residenza. Il Suo abitare in quel villaggio costituiva l’adempimento di due profezie di Isaia la prima delle quali si trova in 9.1: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”. Matteo, che cita il verso, lo fa precedere da questa nota: “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nazareth e andò ad abitare a Capernaum, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia” (4.12-14). E non poteva esservi luce più “grande”, visto che il Figlio di Dio veniva in mezzo a loro.

Al riguardo si possono fare le stesse applicazioni di quando Nostro Signore si recò nel territorio di Gennezareth, per quanto differenti: Satana era stato sconfitto dopo l’episodio della tentazione nel deserto, ma la Galilea era sotto la politica di Erode Antipa che lo aveva avuto in gestione dal Senato romano quando, alla morte di Erode il Grande, lo aveva diviso in tre tetrarchie. La frase di Isaia “Il popolo che camminava nelle tenebre” (altre traduzione riportano “immerso” in esse) qualificava allora quel territorio di profonda ignoranza spirituale e morale con tutta la depravazione e miseria che ne costituiscono il frutto. Un fratello ha osservato che, sempre a proposito di questo passo, l’espressone “terra tenebrosa”, tradotta anche con “ombre di morte”, “…è un’altra espressione figurata che rileva il contrasto con tutto ciò che ha riferimento con la vita secondo l’ideale di Dio visto nel principio della creazione. Le lezioni storiche tenute da Dio viste nelle alleanze da Lui stipulate a partire da Noè dopo il diluvio fino alla distruzione del Tempio e della città di Gerusalemme, infatti, non furono fatte proprie dal popolo; anzi, furono maggiormente prevaricate”.

Abbiamo poi un’altra descrizione di quanto stava avvenendo con le parole “una luce si è levata”, in opposizione alle precedenti che parlano di buio, che indica verità, purezza, felicità; il verso successivo (Isaia 9.2) infatti recita “Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda”. Questa avrebbe dovuto essere la reazione di tutto il popolo alla luce del Messia giunto, ma non essendo ciò avvenuto ecco che vi è stato un spostamento temporale in avanti, quando “gli ultimi giorni” avranno un termine e finalmente Israele riconoscerà Gesù nel suo ruolo.

 

C’è poi la seconda profezia di Isaia, che troviamo in 8.23: “Non ci sarà più oscurità dove ora è angoscia. In passato umiliò la terra di Zabulon e Neftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, la Galilea delle genti”. Notare l’ultima espressione, “la Galilea delle genti” perché a confine proprio con “quelli di Tiro e Sidone” con il popolo che si era in parte mescolato con loro. Facile a questo punto il collegamento con i “guai” che Gesù decretò su Corazim e Bethsaida, che terminano con “Perché se in Tiro e in Sidone fossero stati compiuti tra voi miracoli, già da tempo si sarebbero pentite, vestendosi di sacco e coprendosi di cenere. Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi” (Luca 10.13). E Gesù, nonostante la Bibbia contenga invettive profetiche e maledizioni contro queste città, come Dio Onnisciente conosceva la loro storia interiore e le considerava predisposte alla conversione. Trattare la storia soprattutto di Tiro è impresa ardua, ma si può ricordare che Chiram, suo re, fu alleato di Davide, fornendogli legname e mano d’opera per la costruzione della sua casa (2 Samuele 5.11), stringendo legami così stretti con lui che poi, Tiro, fu inclusa nel suo censimento. Tiro fornì a Salomone non solo legname e maestranze, ma anche l’oro per il Tempio (1 Re 5.9) e poi marinai per la sua flotta (1 Re 9.27).

Le relazioni amichevoli con Israele, però, nei tempi antichi favorirono il sincretismo religioso al suo interno e ed il re Achab, sposando la figlia del “re di quelli di Sidone”, Jesabel, accettò il culto di Baal: “Eresse un altare a Baal nel tempio di Baal, che egli aveva costruito a Samaria. Acab eresse anche il palo sacro e continuò ad agire provocando a sdegno il Signore, Dio di Israele, più di tutti i re d’Israele prima di lui” (1 Re 16. 32,33). Tiro, difficile da espugnare per la sua posizione, subì soltanto una sconfitta, a parte la piccola parte che  nel 573  a. C. Nabucodonosor riuscì a conquistare dopo un assedio di tredici anni: quella del 332 a.C. da Alessandro Magno che, dopo sette mesi di resistenza, ne ordinò la distruzione. Si avverò così la profezia di Ezechiele 26.8,9: “Poiché hai uguagliato la tua mente a quella di Dio, ecco, io manderò a te i più feroci popoli stranieri; snuderanno le spade contro la tua bella saggezza, profaneranno il tuo splendore. Ti precipiteranno nella fossa e morirai della morte degli uccisi in mezzo ai mari. Ripeterai ancora «Io sono un dio» di fronte ai suoi uccisori? Ma sei un uomo, e non un dio, in balia di chi ti uccide” (28.6-9). Il peccato di Tiro, al pari di quello di Babilonia, fu infatti la superbia ed il fidare in se stessi, il voler escludere Dio dai propri progetti per sussistere da soli.

 

“Partito di là, andò nella regione di Tiro”, è una frase che sottintende una volontà precisa di Gesù in obbedienza ad un itinerario concordato col Padre dopo che molto era già stato fatto e predicato per il Suo popolo, che però non lo aveva ascoltato come avrebbe dovuto. Nostro Signore pare entri in territorio pagano – ma ne parleremo meglio nel prossimo capitolo – e, da queste parole, con decisione. Da notare che diversi manoscritti aggiungono “e di Sidone”. Matteo scrive “si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone” (15.21) quasi a suggerire un precauzionale rifugiarsi in un territorio dove non avrebbe potuto venir catturato; in realtà, credo abbia voluto dimostrare l’anticipazione di quell’avvenimento totale che darà ai pagani la possibilità di convertirsi e beneficiare delle attenzioni di Dio secondo le parole di Paolo ai Galati: “Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù; poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abrahamo, eredi secondo la sua promessa” (3.26-29). Pensiamo che sono parole rivelate da un ex fariseo che, ai tempi della sua professione, avrebbe ritenuto inconcepibili e quasi blasfeme le parole “discendenti di Abrahamo” riferite a dei pagani. È importante tener presente che Gesù non andò in quei territori per portare il Vangelo, ma per anticipare ciò che sarebbe avvenuto un giorno, quando il Regno di Dio sarebbe stato “tolto” ai Giudei per essere “dato a gente che lo avrebbe fatto fruttificare”.

Nostro Signore quindi “andò nella regione di Tiro e Sidone”, o “si ritrasse”, con lo scopo appena evidenziato, ma a questo punto due sono le domande che ci si pongono, e cioè a casa di chi e soprattutto perché ci viene specificato che “non voleva che alcuno lo sapesse”. Credo che Nostro Signore si sia diretto là sapendo di essere accolto e da chi andare a differenza dei discepoli che, da lui istruiti, ricevettero quest’ordine: “In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza” (Matteo 10.11).

Quanto alla seconda domanda, cioè il perché “non voleva che nessuno lo sapesse”, non possiamo fare a meno di rilevare che quello di Gesù fu un comportamento opposto a quello degli ipocriti, gli scribi e i farisei,  visto ad esempio in Matteo 6.2 “Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico, hanno già ricevuto la loro ricompensa”, stesso principio applicato alla preghiera pubblica. Gesù, recandosi “nella regione di Tiro e Sidone” non solo entra in territorio pagano, ma addirittura in una casa, che ha ancora di più a che fare con l’intimità e le caratteristiche della persona che la abita senza contare che, entrando in quella regione, rinunciava ai privilegi e ai diritti religiosi ed etnici della Sua nazione. È giusto riportare che però non tutti sono d’accordo col fatto secondo il quale Nostro Signore entrò in quei territori, ma sostengono che ne rimase al limite, essendo scritto che la donna “uscì dai suoi confini” (Matteo).

Sappiamo comunque che entrò “in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto”, particolare importante che indica quanto Nostro Signore fosse conosciuto e quanto agevolmente circolassero le notizie nonostante la mancanza giornali, radio e televisione; ricordiamo quanto avvenuto in tempi anteriori: “Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall’Idumea e dalla Transiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui” (Marco 3.7,8). Luca aggiunge, in 6.17 che tutti questi, compresi quelli “dal litorale di Tiro e Sidone erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie”.

Gesù, quindi, non era uno sconosciuto e la notizia del suo arrivo in quella casa si sparse subito in quanto era impossibile che “restasse nascosto”: la luce non può far altro che illuminare e nel buio si distingue anche da lontano. E senza volere ho utilizzato due termini, “buio” e “lontano” che hanno riferimento alla condizione spirituale di chi Dio non lo conosce. È nel momento in cui il Vangelo gli viene annunciato che può scegliere se togliersene, o rimanervi.

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11.03 – CIÒ CHE CONTAMINA L’UOMO (Marco 7.14-23)

11.03 – Ciò che contamina l’uomo (Marco 7.14-23)

 

14Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! 15Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». [ 16]17Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. 18E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, 19perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. 20E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. 21Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, 22adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

 

Non sarà sfuggita, leggendo il testo riportato qui sopra, l’assenza del verso 16, che alcune versioni riportano, “Chi ha orecchie per ascoltare, ascolti”, assente nella versione considerata dai questi traduttori.

Ora, collegandoci a quanto avvenuto in precedenza, non risulta né da Marco, né dal parallelo di Matteo 15, che alle parole di Gesù “annullate il comandamento di Dio con la vostra tradizione”, abbia fatto seguito una replica, segno che gli scribi e i farisei non seppero cosa rispondere a quelle accuse. Pertanto Gesù chiama di nuovo la folla che, probabilmente salvo alcuni, si era tenuta a distanza, ma è probabile che i due evangelisti abbiano voluto sottolineare, con le parole “Chiamata di nuovo la folla”, che da quel punto in poi sarebbe iniziato un discorso nell’interesse di tutti e non solo dei “venuti da Gerusalemme” presenti. “Ascoltatemi tutti, e comprendete bene”, dove quel “bene” è assolutamente indicativo.

Partiamo allora dal significato del verbo “contaminare”, che annovera tra i suoi sinonimi “macchiare, insozzare, deturpare, infettare, corrompere”, qui applicato moralmente e spiritualmente. Questo, per la Legge, riguardava in senso corporale l’assunzione di alcuni cibi come la carne di animali da lei proibiti, ma i maestri avevano aggiunto alla proibizione alimentare anche l’abluzione delle mani per riaffermare la loro distinzione dai popoli pagani, considerati impuri talché, se vi era stato un contatto con loro, ci si doveva scuotere di dosso tutta la polvere. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio, nelle sue Antichità Giudaiche (13.297) scrive “I farisei hanno trasmesso al popolo numerose prescrizioni avendole ereditate dalla dottrina dei padri, che non si trovano scritte nella legge data da Dio a Mosè”.

In realtà la purità rituale, essendo come sappiamo la Legge “un pedagogo che conduce verso Cristo” era stata data perché Israele mantenesse la sua precisa identità di popolo di Dio rispetto agli altri fino all’arrivo della nuova dispensazione della Grazia, rivelata ufficialmente, riguardo gli alimenti, nell’episodio in cui Pietro, trovandosi sul tetto di casa sua, ebbe una visione: “Vide il cielo aperto e un oggetto che discendeva come una tovaglia grande, calata a terra per i quattro capi. In esso c’era ogni sorta di quadrupedi e rettili della terra e uccelli del cielo. Allora risuonò una voce che gli diceva: «Àlzati, Pietro, uccidi e mangia». Ma Pietro rispose: «No davvero, Signore, poiché io non ho mai mangiato nulla di profano e di immondo». E la voce di nuovo a lui: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano». Questo accadde per tre volte; poi d’un tratto quell’oggetto du risollevato al cielo” (Atti 10.11.15).

La purità rituale, riguardo agli scritti dell’Antico Patto, stava allora a simboleggiare la differenza tra la corruttele pagane e la santità del popolo di Dio. I maestri ebrei, però, perdendo di vista il vero motivo per cui Israele non poteva essere contaminato come le altre genti, avevano finito per stabilire che i cibi impuri erano atti di per se stessi a inquinare moralmente, per cui l’uso di quelli puri era l’unico modo per mantenersi intrinsecamente integri. Il lavarsi le mani fino al gomito, poi, li preservava ancora di più da tutto ciò di immondo con il quale quegli arti erano venuti a contatto senza che la persona se ne rendesse conto. Capiamo allora perché Gesù sia intervenuto con quell’ “Ascoltatemi tutti e comprendete bene”, preludio a un insegnamento importante per chi volesse capire cosa fosse effettivamente puro e impuro andando alla radice del problema.

La contaminazione non la dà ciò che entra nel corpo, ma ciò che esce da lui. Qui non si tratta chiaramente dell’ambito fisico, ma spirituale, di andare ancora una volta alla radice del vero problema poiché altrimenti si rischia di limitare l’interpretazione agli effetti delle sostanze tossiche eventualmente ingerite, che portano a malattie, se non alla morte dopo un tempo più o meno lungo. Il corpo naturale qui è escluso, ma il riferimento è a ciò che contamina davvero la vita che ogni uomo è chiamato a vivere.

La folla, con le parole di Gesù, è chiamata a considerare che non sono le cose esterne a rendere l’uomo impuro, cioè inadatto all’incontro con Dio, ma è ciò che questi accoglie nel suo cuore custodendo le “cose vecchie” ed impedendo il ritrovamento della comunione con Lui, quella che i nostri progenitori persero.

Il testo ci dice che Nostro Signore fu più esaustivo coi discepoli che lo interrogarono privatamente sul paragone (parabola) appena esposto: a contaminare l’uomo è “ciò che esce dalla bocca”, riferimento, ad esempio, al Salmo 10.7 in cui, parlando del malvagio, leggiamo “Di spergiuri, di frodi e d’inganni ha piena la sua bocca, dalla sua lingua sono cattiveria e prepotenza”, che si collega al principio “La bocca parla di ciò che sovrabbonda nel cuore” (Matteo 12.34). Per questo, sempre nello stesso passo, Gesù stabilirà un’importante verità: “Qualunque peccato e bestemmia verrà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non verrà perdonata. A chi parlerà contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma a chi parlerà contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato, né in questo mondo, né il quello futuro” (vv.31,32). Perché? Credo che molte persone che oggi credono, quando non conoscevano il Signore, abbiano espresso concetti negativi su di Lui, indipendentemente che si trattasse del Padre o del Figlio, bestemmie o negazione della Sua esistenza non importa. Tutte colpe estinte, perdonate, perché “siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio” (1 Corinti 6.11).

C’è però un sistema oltraggioso di vita, visto nella condizione di peccato che la persona vuole assolutamente mantenere senza arrendersi, che se dura fino alla fine, all’ultimo istante di vita dell’uomo, renderà impossibile il suo perdóno. Perché la bestemmia contro lo Spirito Santo è la resistenza strenua a Colui che vorrebbe convincere gli uomini di peccato, giustizia e giudizio per porvi rimedio. Gli atti contrari alla legge di Dio che una persona compie determinano la sua condanna solo se sono confermati da un ostinato rifiuto della Sua parola fino all’ultimo respiro, come ci conferma l’episodio del ladro crocifisso con Gesù che gli disse semplicemente “ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Luca 23.42); queste parole fanno fremere perché denotano la comprensione di una vita sbagliata che chiede un riscatto possibile. Da sottolineare che quell’uomo chiamò Nostro Signore per nome, dando prova di non esprimere un concetto scaramantico, ma fede.

Anche oggi avvengono conversioni da persone che potrebbero essere da noi giudicate e condannate senza possibilità di appello, certo non solo da parte di un tribunale umano; penso ad esempio a Gaspare Spatuzza, oggi uno dei principali collaboratori di giustizia (umana), rapinatore, protagonista di omicidi importanti tra i quali quello di don Puglisi a Palermo, che a un certo punto della sua vita ha iniziato un percorso spirituale che potrebbe sembrare impossibile stante le azioni di cui si è reso protagonista. Le sue parole sono un attestato di quanto lo Spirito di Dio possa fare in una persona. Spatuzza ha affermato di avere iniziato un “percorso di ravvedimento, vissuto in silenzio, meditazione e astinenze di cose superflue. (…) Soltanto in carcere inizio a leggere libri, in particolare la Sacra Bibbia dandomi modo di entrare in contatto con la Parola di Dio. Allora ti accorgi che la vita è un’altra, da quello che ti hanno fatto sempre vedere, che tutto quello che hai fatto è orribile e privo di giustificazione e chiede vendetta al cospetto di Dio. (…) Devo dire che aspettavo questo momento di passare dalla parte del Bene e una volta fatto il primo passo non ho esitato a mettermi in grazia di Dio”. Queste frasi fanno parte di un memoriale reperibile in rete, ma ascoltando le dichiarazioni di quest’uomo nei processi, quando testimonia la sua conversione con poche parole, molto si può comprendere non solo di quanto la Grazia possa cambiare la vita di una persona, ma dell’amore con cui il Signore accoglie chi si pente. E non potrebbe essere altrimenti, poiché è stato detto “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Luca 15.7).

Tornando al nostro testo, è necessario sottolineare le parole di Gesù ai discepoli “Neanche voi siete capaci di comprendere?”, traduzione più morbida rispetto all’originale “Siete anche voi privi di intelletto?”: dalle Sue parole emerge il fatto che Nostro Signore prende atto dell’incredulità, insicurezza e disordine presenti nella mente dei suoi: “il Regno di Dio e la sua giustizia non potevano essere a disposizione di chi non si cibava di alcuni alimenti, ma di chi avrebbe ricercato in Gesù Cristo pace e giustizia mediante lo Spirito Santo”, ha scritto un fratello.

Ancora, non esiste più sottile e pericolosa falsità di quella generata dall’equivoco e dalla manipolazione religiosa che fa passare un modello sociale per ciò che Dio vuole veramente: la Sua volontà viene così strumentalizzata da uomini senza scrupoli al solo scopo di poter controllare le relazioni umane.

Concludendo: chi si puliva le mani con le abluzioni rituali prima di mangiare e sceglieva accuratamente i cibi – pensiamo alla cucina “kosher” – non teneva conto del fatto che aveva un cuore, che non poteva essere certo lavato – per lo meno da loro –, sede di ogni sorta di nefandezze che “vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”.

Infine possiamo dire che è facile condannare gli scribi e i farisei di allora perché ci sono già le parole di Gesù, ma ricordiamo che c’è una tradizione oscura e distruttiva anche nella Chiesa; è quella che, per dirne una, considera “marginali” o “centrali” alcuni principi della Parola di Dio. Come i maestri della Legge di allora, ci sono in tutte le confessioni persone reputate autorevoli che sostengono che la Scrittura vada interpretata in armonia con le civiltà cui si rapporta – adattando così il cristianesimo al paganesimo, oppure estrapolano versetti al di fuori dal loro contesto originario, amputandoli o proponendoli così come sono, ma senza approfondirli perché tanto “la Parola di Dio è semplice per i semplici”.

Così scrive l’apostolo Paolo nella sua prima lettera a Timoteo: “Se qualcuno insegna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e la dottrina secondo la pietà, costui è accecato dall’orgoglio, non comprende nulla ed  è preso dalla febbre di cavilli e di questioni oziose. Da ciò nascono le invidie, le maldicenze, i sospetti cattivi, i conflitti di uomini corrotti nella mente e privi della verità, che considerano la pietà come fonte di guadagno”.

La purezza. Sembra irraggiungibile, eppure se ci pensiamo altro non è che avere ben presente quell’ “uomo vecchio” che rappresenta ciò che eravamo un tempo e al quale possiamo tornare, per quanto non completamente, se in noi si innesca quel processo degenerativo proprio a partire dal trascurare i principi che Gesù illustra in questo passo. Ecco perché dobbiamo pregare perché il nostro “interno” sia salvaguardato. E farci parte attiva in questo. Amen.

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11.02 – TRASCURANDO IL COMANDAMENTO DI DIO (Marco 7.8-13)

11.02 – Trascurando il comandamento di Dio (Marco 7.8-13)

 

8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». 9E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. 10Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte. 11Voi invece dite: «Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio», 12non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. 13Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».

 

Leggendo questo passo occorre tener presente che, nella versione di Matteo, alla domanda dei “venuti da Gerusalemme” sul perché alcuni dei suoi discepoli trascuravano la regola di lavarsi le mani prima di mangiare, Gesù risponde con un altro interrogativo, “E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio per la vostra tradizione?” (15.3) che mostra quanto era stato da loro stravolto il significato del quinto comandamento, “Onora il padre e la madre” e poi passa a citare le parole di Isaia che abbiamo brevemente esaminato nello scorso capitolo.

Il verso ottavo, “Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini” è una demolizione del principio ebraico delle due Taroth, cioè che esista una Legge scritta e una orale, come tuttora l’ebraismo sostiene. “Trascurare” e “osservare”, poi, stabiliscono la distanza enorme che si viene a creare tra l’uomo e il suo Creatore quando si allontana dal comandamento originale per praticare una tradizione aggiunta: l’attenersi alle Sue parole è l’unico modo che l’uomo ha per percorrere un cammino a Lui accetto e aggiungere o togliere equivale, oltre che inquinare un sistema privandolo di equilibrio, sostituirsi alla Sua persona e così spingere persone inconsapevoli a seguire un esempio sbagliato confermando in tal modo la definizione di “Guide cieche” che portano il prossimo alla rovina. Possiamo paragonare l’aggiungere e togliere ad un intervento sul DNA per modificarlo: il risultato è la perdita delle caratteristiche originali di un organismo originariamente creato ed inevitabilmente provoca dei gravi scompensi a lungo termine; pensiamo ai danni alla salute provocati dagli OGM, come allergie, resistenza agli antibiotici, alla riduzione della biodiversità, all’assenza di una agricoltura sostenibile come conseguenza della monocoltura. Si calcola che ogni anno si estinguano almeno trentamila specie viventi perché “Potenzialmente, ogni organismo GM è  una nuova specie introdotta nell’ecosistema e rischia di compromettere gli equilibri naturali del pianeta” (Dossier Greenpeace “OGM, gli impatti sulla salute”).

Aggiungere e togliere. Gli scribi e i farisei erano tutt’altro che persone superficiali o frivole; ricordiamo che i primi erano dei teologi che venivano “ordinati” a quarant’anni dopo studi severi, i secondi si erano separati dal popolo con l’intento di servire e raggiungere Dio attraverso la scienza biblica e la pratica costante della Legge scritta o orale. A questo punto è evidente che, trovandosi davanti al Figlio, avrebbero potuto confrontarsi con Lui per imparare e gioire delle Sue rivelazioni, ma era proprio la loro essere così fondati sulla tradizione a impedirgli di ascoltarlo e aprirgli il cuore. Un’anima che fa un percorso spirituale sincero di umiltà e confronto col Dio che si vuole far conoscere non trova nessun problema ad accoglierne le rivelazioni, ma chi si confronta con Lui avendo già i suoi splendidi castelli di dottrine umane travestite di spiritualità, è molto difficile che voglia imparare, trovare il coraggio di scindere le cose, potare, ammettere che tutto (o gran parte) di ciò che ha praticato finora sia sbagliato e voler rimediare. L’unica soluzione che può escogitare è arroccarsi sulle sue posizioni: ricordiamo che il religioso un dio lo ha già trovato ed è convinto che sia quello vero, ma non si chiede mai il perché e preferisce creare dei dogmi anziché trovare delle risposte. Ricordiamo che, senza la resurrezione di Gesù, anche noi saremmo dei religiosi vuoti: “Se Cristo non è resuscitato, allora vana è la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1 Corinti 15.14).

La frase di Gesù “Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione” è lapidaria, ma lo è ancor di più la traduzione, migliore, di Giovanni Diodati “Bene annullate voi il comandamento di Dio, perché osserviate la vostra tradizione”: la lettura spirituale di Nostro Signore vuole denunciare la strategia di questi personaggi, molto più pericolosi di quanto non possa sembrare, che avevano fatto in modo che il comandamento originario andasse distrutto e, per dimostrarlo, cita il quinto comandamento, “Onora tuo padre e tua madre” e un suo riferimento in Esodo 21.17 che prevedeva la morte per chi li maledisse, letteralmente “parlasse male di loro con astio”. Alla stessa pena soggiaceva il figlio ostinato e ribelle: “Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce né di suo padre, né di sua madre e, benché l’abbiano castigato, non dà loro retta, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno agli anziani della città, alla porta del luogo dove abita, e diranno agli anziani della città: «Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole obbedire alla nostra voce, è un ingordo e un ubriacone». Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà. Così estirperai da te il male, e tutto Israele lo saprà ed avrà timore” (Deuteronomio 21.20,21).

Ora vediamo brevemente in cosa consista, relativamente allo sviluppo che Gesù dà a questo comandamento, onorare il padre e la madre: non si tratta qui di ubbidienza o di rimanere in uno stato di subordinazione finché sono in vita, ma di rispetto in quanto genitori. Il primo caso di mancato onore del Padre lo troviamo in Cam, figlio di Noè che, al contrario dei fratelli, fu colui che lo derise quando, “Avendo bevuto del vino, si ubriacò e si denudò all’interno della sua tenda” (Genesi 9.20,21); su di lui e la sua discendenza si abbatté un giudizio che la penalizza ancora oggi. Dal lato opposto, un esempio è da individuare nel comportamento di Giuseppe, figlio di Giacobbe, che quando in Egitto chiese di essere seppellito presso i suoi padri nella caverna del campo di Efron l’Ittita, fu esaudito nonostante, una volta che il suo corpo fosse deceduto, non avesse certo la possibilità di sapere se il suo desiderio sarebbe stato esaudito (Esodo 49 e 50).

Avvicinandoci al problema posto da Gesù agli scribi e farisei, il quinto comandamento è qui inteso come dare al padre e alla madre il sostegno necessario perché questi lo hanno dato quando i figli ne avevano bisogno, cioè da bambini indipendentemente dall’età: un figlio viene vestito, gli si insegna a muovere i primi passi sostenendolo, andrebbe soprattutto capito e aiutato, guidato fino al conseguimento dell’autonomia grazie alla quale diventerà una persona responsabile anche di fronte alla legge degli uomini occupando un posto nella società cosiddetta “civile”. Così si esprime l’apostolo Paolo nella sua prima lettera a Timoteo: “…essi imparino prima ad adempiere i loro doveri verso quelli della propria famiglia e a contraccambiare i loro genitori: questa infatti è cosa gradita a Dio”.

E qui viene in mente quell’uomo che voleva unirsi ai discepoli di Gesù, ma disse “Permettimi prima di seppellire mio padre”: la risposta che ebbe e sulla quale ci siamo già soffermati, “lascia i morti seppellire i loro morti, ma tu va’, e annuncia il regno di Dio”, non è un invito a rinnegare la pietà filiale, ma evidentemente si riferisce al fatto che quel padre non aveva bisogno di una cura continua perché aiutato da altri, altrimenti vi sarebbe una palese contraddizione col quinto comandamento e ciò non sarebbe stato possibile. “Onora tuo padre e tua madre”, allora, trova l’applicazione nell’assistenza dovuta ai genitori.

Ebbene, vediamo a che punto era arrivata l’errata interpretazione degli scribi e farisei: “Invece voi dite: «Se uno dichiara al padre o alla madre; Ciò con cui dovrei aiutarti è Corbàn, cioè offerta a Dio», non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte”: la parola Corbàn pare fosse una formula di consacrazione pronunciando la quale un uomo poteva dedicare tutto o parte dei suoi averi per gli usi religiosi, ma così facendo quell’offerta gli impediva di fare altro, come sopperire ai bisogni dei genitori che, in quanto vecchi, dipendevano da lui esattamente come, da bambino, questi aveva bisogno di loro per vivere. In pratica, si spingeva il figlio all’ingratitudine e, con un rito religioso, li si scioglieva da ogni obbligazione verso i genitori.

Si era così creata una religione volontaria non poi diversa, come risultato finale, dall’adesione a riti pagani di cui Israele si era macchiato nella storia perché, pur venendo condannata l’idolatria, l’amore per Iddio era stato gradualmente abolito. Eppure, il vero culto a YHWH non era frutto di invenzione, ma le volontà divine erano state rivelate da Mosè e da tutti i profeti dopo di lui. Questo ci parla del fatto che anche la Chiesa, nuovo popolo di Dio, può introdurre elementi del tutto estranei a quell’adorazione “in spirito e verità” così tanto espressa negli scritti del Nuovo Patto. Allora come oggi, ogni aggiunta alla Parola di Dio comporta un allontanamento da Lui, in quanto peccato e, anziché migliorare l’uomo, lo peggiora. Le parole di Gesù a quegli inviati da Gerusalemme non sono poi così dissimili, nella sostanza, da quelle di Paolo ai Colossesi: “Nessuno che si compiace vanamente del culto degli angeli e corre dietro alle proprie immaginazioni, gonfio di orgoglio nella sua mente carnale, vi impedisca di conseguire il premio: costui non si stringe al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo fi giunture e legamenti e cresce secondo il volere di Dio” (2.18.19).

Come quei “venuti da Gerusalemme”, anche quelli che nella Chiesa aggiungono o tolgono dimostrano il loro disinteresse per le cose spirituali in quanto, pur avendo a disposizione il Testo per eccellenza che leggono, non usano l’intelligenza per chiedersi se tutti quei corollari aggiunti abbiano un senso e soprattutto non contrastino con la realtà del Vangelo, sempre semplice nei suoi principi basilari.

Esemplare in proposito è l’episodio in cui Geremia, richiamando il popolo a tornare sulla via del Signore cessando di venerare altri dèi e ricordando le punizioni del passato, così si sentì rispondere: “Quanto all’ordine che ci hai comunicato nel Nome dei Signore, noi non ti vogliamo dare ascolto; anzi, decisamente eseguiremo tutto ciò che abbiamo promesso, cioè bruceremo incenso alla regina del cielo e le offriremo libagioni come abbiamo già fatto noi, i nostri padri, i nostri re e i nostri capi nelle città di Giuda e per le strade di Gerusalemme” (44.16). “Noi non ti vogliamo dare ascolto” quasi che dovessero ubbidire a lui e non al Signore al quale si oppongono con forza, “anzi, decisamente eseguiremo”.

Infine, l’ultimo verso del nostro passo, “Così annullate la parola di Dio con tradizione che avete tramandato voi”, formula una precisa accusa: la “parola di Dio” è quanto Lui ha ordinato all’uomo nel suo esclusivo interesse e che persone a Lui dedite hanno tramandato in ogni tempo, scritti che l’Avversario non è riuscito ad inquinare nonostante i suoi sforzi. “Voi”, è la categoria nella quale rientrano tutti coloro che, per i motivi più disparati, nei secoli hanno voluto “migliorarla” arrogandosi il diritto di equiparare l’autorità della tradizione a quella originale.

Credo che per un religioso non vi sia nulla di più oltraggioso che ascoltare parole che denuncino le sue posizioni, le sue convinzioni false o errate perché, alla fine, a loro di Dio non interessa nulla: infatti, sappiamo che “i Giudei cercavano di ucciderlo”. Ricordiamo la nota di Luca in Atti 7.57,58 a proposito del martirio di Stefano: “Proruppero allora in grida altissime turandosi le orecchie; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo”.

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11.01 – LA TRADIZIONE DEGLI ANTICHI (Marco 7.1-6)

11.01 – La tradizione degli antichi (Marco 7.1-6)

 

1 Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. 2Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate 3– i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi 4e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, 5quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
6Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. 7Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini.
8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini»”.

 

È già stato ricordato il verso di Giovanni 7.1, “Dopo questi fatti, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo”, che possiamo senz’altro raccordare anche a quanto avvenuto a Gerusalemme con la guarigione dell’infermo a Betesda e alla discussione a lei seguita. È opinione generalmente condivisa che Nostro Signore, dopo quell’episodio, fosse tornato a Capernaum e  lì lo abbiano raggiunto “farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme”. Qui occorre domandarsi quali fossero le loro reali intenzioni: quando infatti leggiamo “cercavano di ucciderlo” non dobbiamo pensare a un progetto di eliminarlo tramite assassini prezzolati o alla messa in atto di uno stratagemma simile a quello ordito da Erode Antipa e i suoi complici, per Giovanni Battista, ma ad una decisione del Sinedrio che aveva stabilito che occorreva raccogliere il maggior numero possibile di elementi a carico Suo per poterlo accusare e condannare legalmente a morte. È anche probabile che quanto esposto da Gesù predicando o rispondendo alle domande di quegli inviati, “venuti da Gerusalemme”, finisse poi in rapporti accurati, stante la quantità di elementi che potevano raccogliere. Da qui in poi non si tratta più di dispute con i Dottori della Legge del posto, ma con i rappresentanti del potere politico-religioso.

Ora il nostro testo ci mostra chiaramente su cosa si basò la domanda degli inquirenti gerosolimitani, che avevano notato che “alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate”, in oltraggio alla “tradizione degli antichi” che si basava, essenzialmente, su quanto contenuto nella Misnah e nel Talmud, suddivisi al loro interno in sei argomenti principali (semenza, stagioni, donne, danni, cose sante e cose impure).  Vediamo brevemente i passi della Scrittura dalla quale partiva la “tradizione degli antichi”:

 

  1. I recipienti: “Fra gli animali che strisciano per terra riterrete impuro: la talpa, il topo e ogni specie di sauri, il toporagno, la lucertola, il geco, il ramarro, il camaleonte. Questi animali, fra quanti strisciano, saranno impuri per voi; chiunque li toccherà morti, sarà impuro fino alla sera. Ogni oggetto sul quale cadrà morto qualcuno di essi, sarà impuro: si tratti di un utensile di legno oppure di veste o pelle o sacco o qualunque atro oggetto di cui si faccia uso; si immergerà nell’acqua e sarà impuro fino a sera, poi sarà puro. Se ne cade qualcuno in un vaso di terra, quanto vi si troverà dentro sarà impuro e spezzerete il vaso. Ogni cibo che serve di nutrimento, sul quale cada quell’acqua, sarà impuro; ogni bevanda potabile, qualunque sia il vaso che la contiene, sarà impura. Ogni oggetto sul quale cadrà qualche parte del loro cadavere, sarà impuro; il forno o il fornello sarà spezzato: sono impuri e li dovete ritenere tali”. (Levitico 11.29-35);
  2. I cadaveri: “Chi avrà toccato il cadavere di qualsiasi persona, sarà impuro per sette giorni. Quando qualcuno si sarà purificato con quell’acqua – di purificazione – il terzo e il settimo giorno, sarà puro; ma se non si purifica il terzo e il settimo giorno, non sarà puro. Chiunque avrà toccato il cadavere di una persona che è morta e non si sarà purificato, avrà contaminato la Dimora del Signore e sarà eliminato da Israele. Siccome ‘acqua di purificazione non è stata spruzzata su di lui, egli è impuro; ha ancora addosso l’impurità”. (Numeri 19.11-13);
  3. La lebbra: Tutte le norme sulla lebbra sospetta o accertata dal sacerdote descritte nel capitolo 13 del libro del Levitico;
  4. Il corpo: “Chiunque sarà toccato da colui che ha la gonorrea, se questi non si era lavato le mani, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e resterà impuro fino alla sera. Il recipiente di terracotta toccato da colui che soffre di gonorrea sarà spezzato, ogni vaso di legno sarà lavato nell’acqua” (Levitivo 15.11);
  5. I fluidi: Prescrizioni relative alla gonorrea, al liquido seminale, il flusso mestruale (Levitico 15)
  6. Le malattie: (ibidem).

 

Il problema per chi legge la Bibbia, tornando al nostro tema, è che non si trovano regole per lavarsi le mani. A questo aveva sopperito la Torah orale, come leggiamo nel Talmud, parola che significa “insegnamento”: “il Santo, che benedetto sia, dette a Israel due Toroth, quella scritta e quella orale. Gli dette la Torah scritta per provvederlo di comandamenti per cui potesse acquistare merito. Gli diede la Torah orale per mezzo della quale potesse distinguersi dalle altre nazioni. Questa non venne data per iscritto, affinché i cristiani non potessero fabbricarsela come fecero con la Toarh scritta, e di essere Israel” (Num. R. 14.10). Il rituale per lavarsi le mani era minuzioso: stabiliva quanta acqua utilizzare (86 cl) che non doveva essere impiegata per altri scopi, doveva essere versata dalla stessa persona, sulle dita non dovevano essere presenti anelli o oggetti vari, l’acqua doveva bagnare anche i gomiti e l’anfora che conteneva l’acqua doveva avere due manici al fine di lavarsi una mano senza che quella non “pura” ne toccasse uno contaminato dall’altra, impura. Mentre si faceva questo, occorreva pronunciare le parole “Benedetto colui che ci ha santificato con i suoi precetti e ci ha comandato l’abluzione delle mani”. Si può aggiungere che, per i Giudei, “la persona che disprezza il lavarsi le mani prima del pasto, dev’essere scomunicata” e la violazione di questo precetto era, come gravità, paragonato alla fornicazione con una prostituta (Rabbi Jose).

 

Notiamo allora la domanda che fu posta a Gesù, “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi?”: non chiamano in causa un passo profetico o una prescrizione della Legge di Mosè, ma la loro tradizione che, se ci pensiamo, infrangeva lei stessa un comandamento preciso che troviamo in Deuteronomio 4.2 “Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla, ma osserverete i comandamenti del Signore vostro Dio, che io vi prescrivo”. C’è poi tutta una serie di passi in cui il principio del non aggiungere viene ampliato, ad esempio in Proverbi 30.5-6 “La parola di Dio è affinata col fuoco. Egli è uno scudo per chi si confida in lui. Non aggiungere nulla alle sue parole, perché egli non ti rimproveri e tu sia trovato bugiardo”. Molti sottovalutano la gravità che contempla il termine, riferito all’opera dell’Avversario, “bugiardo e padre della menzogna” (Giovanni 8.44). “Bugiardo” ha come sinonimi “falso, ingannevole” e si raccorda, restando nei Proverbi, a 11.22 “Le labbra bugiarde sono un obbrobrio per il Signore: egli si compiace di chiunque fa la verità”. Labbra connesse alla mente che ordina loro cosa dire, ma che comunque esprimono “ciò che sovrabbonda nel cuore”.

A questo punto, per quanto nella prossima riflessione dovremo tener presente anche la narrazione di Matteo, Gesù cita un verso che conosciamo, di Isaia 29.13: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono il culto, insegnando dottrine che son precetti d’uomini”. Il testo, che Gesù riassume sapendo di venir compreso comunque, recita: “«Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani, perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo, perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti. Guai a coloro che vogliono sottrarsi alla vista del Signore per dissimulare i loro piani, a coloro che agiscono nelle tenebre dicendo: «Chi ci vede? Chi ci conosce?»” (29.13-15).

Quindi abbiamo un popolo che si accosta “solo con la bocca” cioè solamente per  parlare, e “mi onora con le sue labbra”, evidentemente bugiarde nel profondo, nell’essenza, quasi che con Dio si possa barare. In realtà si inganna se stessi. Ancora una volta abbiamo la religione, appagante il sentimentalismo superficiale e lontano dalle esigenze del vero Dio a tal punto da impedirgli di agire per l’individuo che così si comporta. Il problema è notevole, perché a un’azione teoricamente positiva, quella di accostarsi a Lui, ne seguono due negative a lei strettamente connesse e, ancora una volta, è il mentire la radice del problema: sperando di ingannare Dio, si fa così con se stessi perché “il cuore è lontano”, cioè si trova a grande distanza, è separato da un lungo intervallo nello spazio. “Lontano da Dio” stabilisce la posizione di chi si comporta in quel modo, dovuta a un inquinamento volontario di pensiero, di voler stabilire di propria iniziativa come rivolgersi a Lui. Non voglio ripetere i concetti già espressi sulla religione, ma qui il dettaglio di Isaia è importante: “La venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani”, cioè qui è l’uomo che si crea un Dio su misura che tiene alla larga quello vero. Ai Colossesi viene scritto “…son tutte cose destinate a scomparire con l’uso, prescrizioni e insegnamenti di uomini, che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (2. 22,23).

Sta allora all’intelligenza umana, illuminata dallo Spirito, chiedersi se si è veramente alla ricerca di Dio, o lo si abbia trovato davvero, oppure se la professione di “fede” non sia altro che l’aderenza a un sistema umano travestito che non vada oltre alle realtà descritte dall’Apostolo Paolo nella sua lettera ai Colossesi. E questa è una nota per tutti a prescindere dalla denominazione cristiana alla quale si appartiene, perché il rischio di stabilire un rito o un sistema che prima intraveda l’apparenza e poi la cristallizzi c’è sempre. Ci si riunisce perché si ama il Signore e lo si vuole in mezzo a noi, non perché “si deve fare e si è sempre fatto”.

Nel passo di Isaia è però bello considerare che, nonostante questi aspetti così negativi e penalizzanti, Iddio non lascia solo il suo popolo e interverrà, al futuro per i tempi di questo profeta, ma al presente per quelli di Gesù e per noi, per far “perire la sapienza” (presunta) e ad “eclissare l’intelligenza dei sapienti”. E nei piani di quelli che “agiscono nelle tenebre dicendo: «Chi ci vede? Chi ci conosce?»” è facile distinguere proprio quei “venuti da Gerusalemme” che qui parlano con Figlio di Dio con la speranza di poterlo accusare.

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