10.07 – GESÙ CAMMINA SULL’ACQUA 1/2 (Matteo 12.24-33)

10.7 – Gesù cammina sull’acqua 1/2 (Matteo 14.24-33)

24La barca intanto stava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei il Figlio di Dio!»”.

Episodio conosciuto da tutti, è quasi contemporaneo, almeno inizialmente, alla preghiera di Gesù sul monte: ricordiamo che agli apostoli era stato ordinato di andare a Betsaida precedendolo anche se poi tutti, dopo quella notte, approderanno a Capernaum. Abbiamo letto un racconto che s’imprime facilmente nella memoria, quasi fosse una parabola, chiaro nelle sue dinamiche, ma per questo impegnativo perché ci costringe a cercare di andare oltre l’immediato del mare, del vento, di Pietro che inizialmente cammina sull’acqua e si spaventa e, infine, del rimprovero che gli viene rivolto. Allora, con questi ricordi “immediati”, cerchiamo di approfondire il verso 24 e il senso di contemporaneità degli eventi che suggerisce.

L’incontro sul monte di Nostro Signore col Padre possiamo supporre sia stato caratterizzato, tra i tanti contenuti che ebbe, da una preghiera di ringraziamento per l’avvenuto miracolo dei pani e dei pesci e di considerazioni su quell’entusiasmo, tanto spontaneo quanto fraintendente, della folla che avrebbe voluto farlo re. Da qui le preghiere per lei, per quel popolo “di collo duro”tra i quali c’erano delle anime bisognose (e desiderose) di salvezza. Riflessioni congiunte del “Dio con noi”con quello che abitava “i cieli altissimi”sull’opera compiuta e da compiere, sui discepoli e sui dodici che tanto cammino avevano ancor davanti per conoscerLo veramente, oltre a quei contenuti che non ci sono stati rivelati. La preghiera di Gesù uomo al Padre fu quindi da un lato simile a quella che eleviamo anche noi, ma al tempo stesso profondamente distante perché elevata da Uno consapevole del Tutto, quindi anche di ciò che sarebbe avvenuto di lì a poche ore dopo, cioè l’incontro con i dodici sulla barca, e di quanto stava accadendo con quel forte vento che scende sul lago di Galilea dai monti circostanti all’improvviso, quando uno meno se lo aspetta e che, quando soffia con forza, mette in crisi i navigatori più esperti, quelli locali abituati a fronteggiarlo.

E qui, come già accennato, il verso 24 mette in contrapposizione due realtà, quella di Gesù e dei dodici, il primo tanto in preghiera quanto presente in spirito con loro, i secondi lì, sulla barca, a riversare tutti i loro sforzi nel remare dopo avere ammainato la vela, essendo “il vento contrario”, un’esperienza estremamente faticosa solo guardandola dal suo lato fisico. Questo verso, da parte dei dodici, ci descrive uno sforzo che durò circa dieci ore perché sappiamo che partirono al tramonto e videro Gesù solo “Sul finire della notte”, traduzione che semplifica l’originale “Nella quarta vigilia della notte”.

Aprendo una finestra sullo spazio naturale della notte, cioè dal tramonto all’alba, era suddiviso dagli antichi Ebrei in tre parti, dette “veglie”, di quattro ore l’una: la prima era chiamata “Il principio della veglia” (Lamentazioni 2.19) e andava dalle nostre 18 alle 22; la seconda era “La veglia della mezzanotte” (Giudici 8.19) dalle 22 alle 02 e la terza, “La veglia della mattina” dalle 02 alle 06. Gli Ebrei però, al tempo di Gesù, avevano adottato la suddivisione romana, a sua volta presa dai Greci, che aveva istituito quattro vigilie di tre ore l’una. Leggendo Marco 13.35 “Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino”, ci rendiamo conto che era questo il criterio adottato. La “quarta vigilia della notte”, o “Sul finire della notte”, indicano allora un periodo oscillante tra le 03 e le 06 antimeridiane.

Pensiamo allora cosa può aver rappresentato quel periodo per i dodici, in cui si trovavano senza il loro Maestro in cui, a parte il dover prestare la massima attenzione per tenere la barca, avevano certamente preso atto che avevano percorso solo, come riporta Giovanni che era lì, “venticinque o trenta stadi” (6.19), cioè circa 5 km. Abbiamo allora spiegata la ragione dell’ordine dato loro da Gesù di andare “verso Betsaida”: voleva che capissero come, nonostante gli sforzi che avrebbero fatto, senza di lui non ci sarebbe stato alcun risultato, come dirà più avanti certo che i discepoli avessero compreso questo principio: “senza di me non potete far nulla”. Da notare, poi, che ciò è preceduto dalla descrizione dell’unione tra loro e Lui: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato”(Giovanni 15.4-7).

C’è una riflessione importante che possiamo fare sul verso 24, che fa riferimento a molte ore di fatica e al senso di impotenza e smarrimento che provarono i dodici, come ha scritto un fratello: “questo accade anche a noi quando siamo particolarmente travagliati ed affaticati da tante cose non determinate dalla nostra volontà: siamo portati a pensare che Gesù non sappia, non veda, non intervenga, ma questo non è vero, avendo Lui stesso promesso di essere vicino ad ognuno di noi per tutti i giorni della nostra vita fino alla morte”. Infatti in Matteo 28.20 leggiamo “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”, frase che coinvolge tutti i credenti da allora in poi, e riguarda anche coloro che si convertiranno in quel periodo terribile conosciuto col nome di “gran tribolazione”. E credo che ogni vero cristiano non possa che testimoniare un’altra profonda verità espressa in 1 Corinti 10.13: “Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla”.

Personalmente posso testimoniare che, nel momento in cui sono caduto, confrontandomi con questo passo, non ho potuto fare altro che riconoscere la fedeltà di Dio che mi ha perdonato e sopportato, più che accusarmi della mia infedeltà che era lì ad accusarmi: viceversa, senza cadere, sarei stato come Lui, cosa impossibile. Tutto questo, ovviamente, senza escludere la mia responsabilità. Se fossimo sempre vigili e pronti, le parole di Paolo non avrebbero alcun senso, ma ciò che l’apostolo vuol porre in risalto è proprio la natura fragile dell’uomo, chiamato a chiedere perdono a Dio e contemporaneamente glorificarlo per la “via d’uscita e la forza per sopportarla”perché, avendoci strappati al malvagio secolo, interviene per ristabilirci nel momento in cui chiediamo a Lui l’aiuto e il soccorso opportuno. E, come in questo episodio, il Suo intervento è unico, inequivocabile, rivela la possibilità all’interno di situazioni dalle quale uscirne sarebbe impossibile perché, a volte, ci ritroviamo inseriti in un perfetto labirinto dal quale veniamo liberati tramite un intervento che possiamo riconoscere solo a Lui. E quel “tentati al di sopra delle nostre forze”, più che accusarci, riflette proprio la fedeltà di Dio in contrapposizione alla natura dell’uomo.

Anche se a volte il Suo intervento tarda a venire, l’onniveggenza di Gesù ci smentisce sempre; pensiamo anche come, nel suo rapporto con i discepoli, era contemporaneamente Figlio vivente di Dio e Figlio dell’uomo, quindi ancora circoscritto in un corpo come il nostro, ma ora, per tutti noi, siede alla destra del trono di Dio come mediatore e intercessore Unico per difenderci dalle continue accuse di Satana e liberarci da ogni nostro travaglio che l’Avversario provoca con lo scopo di ostacolare il nostro progresso spirituale. Tutto questo lo vediamo nel nostro episodio: i discepoli non avevano certo desiderato avere il vento contrario, né l’acqua agitata che sballottava la loro barca, controllabile a fatica e solo perché erano avvezzi a fronteggiare le acque del lago.

Volendo individuare gli elementi fin qui incontrati, abbiamo il vento contrario, l’acqua agitata, la barca e gli uomini: il primo è figura della difficoltà e ognuno di noi può abbinarla alla, o alle, proprie; l’acqua è figura di tutto il contesto di instabilità sul quale purtroppo siamo costretti a spostarci. La barca, solida per quanto possibile, è il mezzo su cui siamo, che ci garantisce di galleggiare sulla superficie e spostarci più o meno agevolmente se tutto è tranquillo. Infine gli uomini siamo noi, più o meno preparati alle difficoltà che incontreremo inevitabilmente. E giova ricordare che, prima di compiere la traversata, così come nel miracolo della tempesta sedata, il mare non era agitato né vi erano segnali che, tutto a un tratto, iniziasse a soffiare quel forte vento che tanto rese arduo il viaggio.

Sappiamo che Satana sa della nostra debolezza e carnalità, come è ampiamente descritto nel libro di Giobbe, e per questo Gesù avvertirà i discepoli di questo pericolo esortandoli a pregare per non entrare in tentazione. Preghiera quindi come unico, vero antidoto, come insegna il Padre Nostro.

Arriviamo così al verso 25: Gesù attende fino all’ultima parte della notte, quella che va dalle tre alle sei del mattino, prima di andare verso di loro camminando sul mare; è questo un orario particolare per il corpo umano in cui il circolo si rallenta, particolarmente penoso per chi ha problemi cardiaci, anche se non era il caso dei dodici. Una notte insonne si caratterizza con riflessi più lenti, scarsa capacità di passare da un’azione a un’altra come richiesto ai dodici in quei momenti che, ricordiamo, non avevano riposato. Una notte insonne provoca una visione ridotta o scarsa e, più a lungo si resta svegli, più sono possibili errori visuali che possono tradursi anche in allucinazioni. Ecco allora che quel“È un fantasma”allude proprio a questo, per quanto, se avessero riflettuto, ma non c’era tempo di farlo, un’allucinazione collettiva sarebbe stata impossibile. In tutto quel turbinio, vedere la figura di Gesù che avanzava verso di loro era qualcosa di umanamente assurdo e per quegli uomini, nonostante avessero sperimentato personalmente le conseguenze del dono delle guarigioni, quindi di operare cose al di là dell’umano, quel Gesù che vedevano camminare verso di loro non poteva essere lui: perché? Perché non avevano ancora capito, nonostante gli insegnamenti ricevuti e i miracoli di cui erano stati testimoni, chi fosse veramente il loro Maestro. Marco ci dice che Nostro Signore, dopo l’episodio di Pietro, “Salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito”(6.51.52).

L’indurimento del cuore è qualcosa di molto triste perché in lui non penetra nulla, è refrattario a qualsiasi ricezione, a meno che non sia molto violenta ed ecco le ragioni di quella tempesta e dello spavento provocato dalla visione di Gesù. Se il cuore dei dodici non fosse stato così, avrebbero immediatamente collegato la visione del Maestro che veniva verso di loro a quanto dice il Salmo 77.20, “Egli cammina sui flutti del mare, da solo stende i cieli e cammina sulle onde del mare. Sul mare passa la tua via, e i tuoi sentieri sulle grandi acque”. Non fu così. Anzi, il nostro episodio, che svilupperemo ulteriormente nel prossimo capitolo, termina in un modo per noi triste, vale a dire la frase “Davvero tu sei il Figlio di Dio”, quasi che tutto quanto operato da Gesù fino ad allora non avesse dimostrato nulla, dallo Spirito Santo sceso in forma di colomba al Suo battesimo alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Se Nostro Signore fosse stato solo un uomo, certo avrebbero avuto da temere. Ma come Dio, non fece nulla di straordinario, dimostrando di avere potere su tutti gli elementi del creato, quindi anche dell’acqua. Ma questo i discepoli non lo avevano ancora compreso.

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