09.06: LA MISSIONE DEI DODICI: PECORE IN MEZZO AI LUPI (2). (Matteo 10.16-20)

9.06 – La missione dei dodici: V. Pecore in mezzo ai lupi II/II (Matteo 10.16-20)

 

16Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi, siate dunque prudenti come serpenti e semplici come le colombe. 17Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe:18e sarete condotti davanti ai governanti e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. 19E quando vi consegneranno nelle loro mani, non vi preoccupate di come e di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento di che cosa dovrete dire;20non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.”.

 

Dopo avere affrontato il tema a livello generale, scendiamo nel particolare tenendo presente che il testo riporta parole indirizzate prima di tutto ai dodici ma, tramandate dai sinottici e da Matteo in particolare, si tratta di concetti che hanno mantenuto la loro validità nel tempo. Possiamo considerare le parole di Gesù come delle verità destinate a venire aggiornate sia attraverso l’esperienza personale di ciascuno, sia tramite l’insegnamento degli apostoli anni dopo, soprattutto di Paolo nella lettera agli Efesi in cui mette in guardia i credenti sull’importanza di un percorso ben definito al fine di salvaguardare la propria vita spirituale. Esaminiamo così ciò che scrive in 6.10-18.

 

 

10Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza”.

 

Chi non lo fa, per quanto salvato, è destinato a soccombere nel senso che non avrà le forze per reagire nel momento in cui sarà necessario. Se non ci si rafforza, si vivrà un percorso interiore sterile, destinato ad arricchirsi sempre più di vuoto, inconcludenza. Ricordiamo che il Padre è glorificato nel fatto che noi portiamo “molto frutto”. Rafforzarsi significa “diventare più forti”, e farlo “nel Signore e nel vigore della sua potenza” implica coltivare la fede per crescere nell’ascolto e messa in pratica della Sua parola abbandonando progressivamente tutto ciò che ritarda il nostro cammino con Lui. Ricordiamo sempre che quel giovane che, dopo l’incontro con Gesù che lo esortava a seguirlo dopo aver dato il ricavato dei suoi beni ai poveri, “se ne andò contristato perché aveva molte ricchezze”: il problema non erano le sostanze di quella persona, ma il suo attaccamento ad esse. Quel giovane avrebbe potuto avere qualsiasi altra cosa e non volerla abbandonare. A volte si pensa che ciò che ritarda il nostro avanzamento spirituale possa essere costituito da quanto abbiamo di più caro e non si considera che il problema vero risiede in noi, che se rimaniamo ancorati ai nostri beni materiali è perché non abbiamo ancora realizzato che possono essere solo strumenti e non costituire una fonte di riferimento, appagamento, un’espressione o un prolungamento di noi stessi.

 

 

11Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo”.

 

Il testo originale ha “tutta l’armatura” a sottolineare che vivere il giorno senza di lei, o mancante di alcune parti, può essere pericoloso alla luce delle “insidie” perché il diavolo, cioè “colui che disunisce, mette male, calunnia, contraddice” rivolge la sua azione distruttrice verso chiunque è figlio di Dio. E “insidie” è un termine generico proprio per sottolineare la multiformità delle azioni di questo personaggio la cui violenza non necessariamente dev’essere immediata. In Romani 13.12 leggiamo “La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce”, che sono tutti i mezzi che Dio ci ha donato, primo fra tutti la preghiera che è dialogo, ma soprattutto confronto derivante dalla consapevolezza di essere nulla senza di Lui (ricordiamo le parole “Io so che in me non abita alcun bene”). Il confronto tenebre – luce, o “notte – giorno” lo vediamo in 1 Tessalonicesi 5.8: “Quelli che dormono, dormono di notte e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. Noi, invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza”. Nel nostro percorso, come dal verso 12, il cristiano si trova ad affrontare un combattimento che solo apparentemente ha a che fare con semplici uomini, ma con le forze che li dominano visto che le insidie vengono portate da loro in quanto strumenti dell’Avversario. Ricordiamo il Millennio, quel periodo in cui, essendo Satana legato appunto per mille anni, non ci sarà nessuna forma di violenza.

 

 

12La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”.

 

È un verso importante, fondamentale perché senza di lui tenderemmo a considerare quanto accade di negativo nella nostra vita come un fatto accidentale, ma non è così: sappiamo infatti che Satana si è opposto sempre a Dio di riflesso e non frontalmente, apertamente, perché altrimenti non avrebbe avuto, né soprattutto avrà, alcuna possibilità di sopravvivere. Piuttosto, come al principio, il diavolo agisce contro l’uomo e sempre usando gli strumenti più congeniali allo scopo. E qui pensiamo al serpente, poi a Caino e alla sua discendenza che continua ancora oggi, spiritualmente e carnalmente. Dietro gli uomini avversi, quindi “carne e sangue”, c’è ben altro: sono i “Principati” e le “Potenze” spirituali negative, così chiamate per la loro pericolosità e forza cui Dio concede di avere potere sul mondo per selezionare, provare, vagliare, separare ciò che è santo da ciò che non lo è. Se quindi sono valide per i credenti le parole “nessuno potrà strapparli dalla mia mano”, è altrettanto vera la possibilità di menomare il rapporto con Lui impedendo la comunione che potrebbe instaurarsi. Ricordiamo ad esempio quanto avvenne a Giobbe che, per quanto inconsapevole del dialogo tra YHWH e Satana, nonostante quanto gli avvenne, fu ristabilito e non maledisse il suo Creatore. E infatti “Io sono persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 8.38).

E va sottolineato che l’armatura che siamo chiamati a indossare non è nostra nel senso che non l’abbiamo costruita, ma è fornita direttamente da Gesù, di cui è detto che alla croce ha “privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo” (Colossesi 2.15). Alla croce, con la Sua morte e resurrezione, li ha infatti ridotti al nulla nel senso che ha dimostrato quanto fossero impotenti nei Suoi confronti.

In un mondo di tenebre, la luce di Cristo è la sola in grado di orientare e di condurre “al porto sospirato” (Salmo 107.30). L’abitare degli spiriti del male “nelle regioni celesti”, poi, è un modo che l’apostolo Paolo ha per designare le dimensioni che sovrastano la vita dell’uomo e sul quale, a seconda della scelta che questi ha, hanno potere.

Come già sottolineato più volte, dobbiamo pensare che l’opera di Satana non sempre si manifesta con esempi eclatanti come nel caso degli indemoniati gadareni, ma può essere di semplice disturbo come nel caso in cui Abramo, dopo aver ricevuto la promessa secondo la quale avrebbe posseduto la terra di Canaan, fece un sacrificio di ringraziamento: leggiamo che, quando si concluse, “degli uccelli discesero sopra quei corpi morti, ed Abramo sbuffando li cacciò” (Genesi 15.11). Leggendo il verso verrebbe spontaneo considerarlo un evento naturale, ma se lo fosse stato l’autore (o gli autori) del libro non lo avrebbe menzionato: diciamo che, piuttosto, con quegli uccelli Satana volle disturbare quel momento di comunione tra Dio e Abramo, per quanto il sacrificio fosse tecnicamente terminato. Ora credo che questi due esempi possano chiarire molto bene cosa significhi “battaglia non contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e Potenze”.

 

13Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove”.

 

L’esortazione qui contenuta fa esplicito riferimento a un “giorno cattivo” che non credo si riferisca a uno come tanti con tentazioni “ordinarie”, ma a quello che porta situazioni, persone, condizioni che il credente si troverà ad affrontare senza volerlo o senza averle previste perché destinate ad arrivare “come un ladro di notte”, cioè cogliendo sempre la persona di sorpresa. Sarà in quel frangente che, se l’armatura di Dio sarà indossata come prevenzione, sarà possibile “restare saldi dopo aver superato tutte le prove”. E l’accostamento alle due case, una costruita sulla roccia e l’altra sulla sabbia, è inevitabile. Mi sono chiesto se l’armatura di cui parla l’apostolo Paolo in questa lettera sia qualcosa che va indossata continuamente, oppure no. Credo che si tratti di utensili da tenere a portata di mano, pronti all’uso perché il soldato, per quanto inviato in guerra, può benissimo non sapere quando verrà l’attacco. Ed ecco perché il vero cristiano deve tener sempre presente la propria missione, che non è quella di “suonare la tromba” davanti a sé per farsi vedere dagli altri, ma di essere preparato e pronto ad ogni evenienza. A questo punto Paolo cita gli elementi dell’armatura:

 

 

14State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; 15i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. 16Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; 17prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio”.

 

Leggendo il testo vediamo che nessuna parte del corpo è scoperta. Il testo originale dice “Preparatevi dunque al combattimento cinti di verità attorno ai lombi”, che dà un quadro diverso dai semplici “fianchi” di questa traduzione che suggeriscono l’operosità, ad esempio, del lavoratore dei campi di allora che, per non essere impedito nei movimenti, si tirava su la veste fissandola con una cintura. Cingersi la regione lombare indica voler proteggere i muscoli che sostengono il corpo, che gli garantiscono mobilità, come sanno bene anche quelli che soffrono di lombalgia e si ritrovano per periodi più o meno lunghi impediti nei movimenti anche più semplici. Avvolgersi in fasce i muscoli lombari, allora, equivaleva a salvaguardarli da quei colpi che avrebbero potuto essere trasmessi attraverso la corazza e avrebbero reso la persona più o meno temporaneamente invalida al combattimento. Un colpo ai lombari avrebbe reso il guerriero nell’impossibilità di difendersi e a venire trafitto da una spada o da una lancia. La verità è quindi la prima caratteristica che si deve indossare a protezione del corpo per il suo sostegno. Il verso 14 e ci rimanda anche Nostro Signore di cui è detto che “la giustizia sarà la fascia dei suoi lombi e la fedeltà la cintura dei suoi fianchi” (Isaia 11.5).

Secondo elemento è la corazza, chiaramente fatta per proteggere il corpo dai colpi, ma soprattutto il cuore, vero bersaglio di un nemico in un combattimento frontale. Quindi l’apostolo parla di indossare la giustizia, quella che ci è stata data quando abbiamo conosciuto il Padre attraverso il Figlio, quella che altrimenti non avremmo e che in quanto tale esclude l’ipocrisia, cioè la finzione, i secondi fini, il calcolo, l’agire per tornaconto personale. In poche parole significa obbedire a quell’ordine dato ad Abramo – visto che lo abbiamo citato – quando Dio lo chiamò dopo ben tredici anni di silenzio: “Io sono l’Iddio onnipotente. Cammina davanti a me, e sii integro” (Genesi 17.1). Ed essere integri non si riferisce a una condotta santa, ma a tutto il nostro essere, cioè ad averLo sempre presente nella nostra mente, riposare in Lui per fede e da Lui dipendere, oltre a tener sempre presente la Sua volontà.

Terzo elemento, i calzari ai piedi, per noi simbolo del cammino, della strada percorrere per “propagare il Vangelo della pace”. I calzari proteggono il piede impedendo ferite o traumi. A sua volta i piedi ci parlano dell’episodio di quanto Gesù li lavò agli apostoli perché altrimenti, simbolicamente, non avrebbero mai potuto affrontare un cammino spirituale, come rileviamo dalle parole dette a Pietro “se io non ti lavo, tu non avrai alcuna parte con me”. Riguardo ai calzari va detto che qui non si allude a una sorta di sandali, ma sono parte dell’armatura per cui proteggevano anche le gambe. Questi “calzari” si riferiscono a strumenti idonei per affrontare un terreno accidentato che logorerebbe subito delle calzature ordinarie.

Quarto elemento, lo scudo della fede, la sola a poter spegnere “tutte le frecce infuocate del Maligno”. La freccia era allora la più pericolosa fra le armi a disposizione. Veniva scagliata prendendo la mira, oppure lanciata dagli arcieri a gruppi verso l’alto e cadeva a grappoli sulle truppe, spesso decimandole. Colpisce in un punto preciso, ha un’alta capacità di penetrazione e mette immediatamente fuori combattimento anche se non colpisce organi vitali. È in grado di forare una corazza. “Spegnere tutte le frecce”, quindi non alcune, significa privare il dardo della sua pericolosità primaria vista nel fuoco, poiché si parla di materiale ad alto potenziale incendiario. E qui viene spontaneo pensare a quegli scudi che si portavano sul dorso nella formazione romana detta “a testuggine”. Avere lo scudo, quindi, significa possedere la fede che viene messa alla prova tutti i giorni, ma soprattutto in quel “giorno cattivo” di cui abbiamo parlato. Nelle frecce vediamo quindi tutte quelle prove destinate a colpirci nel profondo, logorarci, farci dubitare chiamando in causa la nostra mente che viene colpita per prima. Non a caso, il sesto elemento è l’elmo e viene citato subito dopo.

L’elmo è quello che protegge il capo, quindi il cervello, sede dell’anima e dello spirito dell’uomo e proprio per questo è il componente dell’armatura più importante: senza la salvezza, che ha portato lo Spirito Santo in dono e pegno, ogni combattimento è privo di senso perché già perso in partenza. Operare senza l’elmo e ciò che rappresenta significa essere già perdenti, mancare di coordinazione, intelligenza, sarebbe come se un soldato venisse inviato in battaglia senza alcun addestramento o comandanti. La salvezza, invece, abilita alla comunione con Dio e quindi alla formazione per passare indenni attraverso questo mondo che Lo rifiuta. Certo, vivere nel mondo non è cosa che lascia indifferenti. Pensiamo a Lot, di cui è detto che era contristato per quando vedeva, impotente, a Sodoma dove abitava, ma in 2 Pietro 2.7 leggiamo che Dio “Liberò invece Lot, uomo giusto, che era angustiato per la condotta immorale di uomini senza legge”. Ultima considerazione: l’elmo protegge la mente, quindi la possibilità di analizzare – spiritualmente stante la salvezza ad essa collegata – quando sta avvenendo e quindi trovare le strategie di reazione opportune.

La spada è il settimo ed ultimo strumento. È citato assieme al precedente, a lui unito dalla congiunzione “e” perché è quello che completa l’equipaggiamento e, stante l’importanza del numero sette, viene spontaneo pensare che presentarsi al combattimento mancanti di un solo di questi strumenti cadremmo nel sei, quindi nell’imperfezione e nella sconfitta. La spada è quella dello Spirito, della Parola di Dio che guida, insegna, protegge, forma, annienta tutto ciò che non ha a che fare con lei ed ecco perché costituisce un formidabile strumento di difesa e al tempo stesso di attacco.

Abbiamo poi il verso 18, a mio giudizio scritto a coronamento del tutto, a sostegno che nulla possiamo da noi stessi:

 

 

18In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi”.

 

Abbiamo qui la descrizione della continuità che ci deve caratterizzare: “in ogni occasione”, “ogni sorta”, vegliate”, “ogni perseveranza e supplica”, quattro punti. La scrittura è perfetta, resiste al tempo per il nostro unico avanzamento e per la salvezza di quanti Dio lo cercano o lo attendono. Alla preghiera non c’è limite. La veglia serve a non venir sorpresi e la perseveranza è la sola che possa condurre ad un risultato, come quello che raggiunge l’atleta che si allena quotidianamente, o il concertista o chiunque abbia necessità di esprimere qualità rare al momento opportuno. La “supplica per tutti i santi”, invece, sta a testimoniare che i fratelli e le sorelle non possono essere lasciati soli nel loro cammino, ma occorre pregare per loro, perché siano sostenuti, protetti, aiutati. Perché la Chiesa non è composta da uomini e donne isolati, ma da anime che formano un tutt’uno con il Corpo di Cristo. Amen.

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