7.11 – I parenti di Gesù (Luca 8.19,21)
“19E andarono a lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. 20Gli fecero sapere: «Tua madre e i suoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti» 21Ma egli rispose loro: «Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica»”.
Si tratta di un episodio difficilmente collocabile nel tempo: alcuni commentatori che hanno preso in esame il Vangelo da un punto di vista cronologico, prudentemente lo omettono, mentre l’abate Ricciotti lo pone all’interno del capitolo dedicato al “ministero spicciolo” in cui prende in esame le donne al seguito di Gesù, prima della tempesta sedata e dell’indemoniato di Gadara e dell’esposizione delle parabole del regno. La lettura dei sinottici per collocare l’episodio, in effetti, non ci aiuta: Matteo scrive che avvenne dopo una disputa coi farisei, quando “mentre parlava alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti». Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre».” (12.46-50). Anche Marco ci presenta un contesto simile, che ci potrebbe far pensare al pranzo a casa del fariseo Simone, ma non ciò può essere per un particolare: “Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé»” (3.20,32). Qui l’evangelista Marco prosegue con il principio dell’impossibilità, da parte di Satana, di cacciare se stesso e poi riferisce della madre e dei fratelli di Gesù con parole simili. Luca, come abbiamo letto, pone quest’intervento tra l’ultima parabola del regno e l’ordine ai discepoli di passare “all’altra riva”. Personalmente ritengo che questa collocazione temporale sia preferibile, più agevolmente inquadrabile, poiché all’umanissimo, carnale tentativo da parte dei parenti di Gesù di “farlo ragionare” corrisponde l’inizio del Suo viaggio missionario al seguito degli apostoli e dei discepoli.
Secondo la mia lettura, quindi, avremmo una giornata in cui vi fu il pranzo da Simone con l’episodio della peccatrice innominata, il discorso alla folla in parabole, la spiegazione di esse e l’esposizione di altre in una casa, in privato ai discepoli, l’arrivo dei suoi parenti che lo volevano far desistere dalla sua attività e quindi la partenza verso l’altra riva del mare di Galilea, verso sera. Ciò confermerebbe, a proposito delle giornate molto impegnative di Gesù, quanto avvenne poco prima della loro partenza: “Vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò ovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo»” (Matteo 8.18,20).
Venendo all’episodio ed armonizzando i tre racconti, è Marco a rivelarci che la madre e i fratelli di Gesù si mossero quando seppero della folla radunata per ascoltarlo e che lui predicava e insegnava instancabilmente: per la seconda volta abbiamo così una reazione umana soprattutto da parte di Maria nei confronti di un figlio da cui si aspettava un comportamento umanamente comune a quello di tutti gli altri. Ricordiamo quando, dodicenne, lo aveva cercato con seria preoccupazione con Giuseppe quando seppe che non era con la carovana al rientro da Gerusalemme e lo aveva trovato, “dopo tre giorni” di ricerche, “in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava” (Luca 2.46). Già allora, se le avesse realmente acquisite, Maria avrebbe dovuto ricordarsi delle parole dell’angelo Gabriele e delle profezie dell’Antico Patto che riguardavano suo figlio. Ricordiamo le parole: “Rallegrati, o favorita dalla grazia, il Signore è con te.(…) Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio (YHWH)gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Luca 1.28-33). Tutto questo senza contare l’assistenza avuta in Egitto, quando lei, Giuseppe e Gesù scamparono dal progetto omicida di Erode il Grande grazie all’angelo in sogno che li avvertì.
Maria quindi, tornando all’annunciazione, era stata destinataria di un messaggio assolutamente esclusivo da parte di Dio: aveva “trovato grazia” presso di Lui ed era stata “favorita”. Le era stato detto “Non temere” e spiegato chi sarebbe diventato colui che avrebbe partorito, eppure nonostante tutto era stata in angoscia perché non lo trovava, cercandolo sempre più ansiosamente per tre giorni, e adesso chiede aiuto agli altri figli ritenendo Gesù “fuori di sé”. Quindi tutti loro, col comportamento adottato, confermano la nota di Giovanni 7.5 “Neppure i suoi fratelli credevano in lui”, ma non solo: nonostante molti commentatori del ramo cattolico romano abbiano cercato di attenuare il significato della definizione “è fuori di sé”, qui imbarazzante soprattutto perché Maria la condivideva, lo troviamo solo nell’episodio in cui fu definito nello stesso modo dai Giudei: “Molti di loro dicevano: «È indemoniato ed è fuori di sé; perché state ad ascoltarlo?». Altri dicevano: «Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?»” (Giovanni 10.20,21).
Ciò che pensavano Maria e i fratelli di Gesù era quindi frutto di un ragionamento umano, di un metro valutativo che evidentemente aveva concluso che quanto stava avvenendo, cioè tutta quella massa di gente e l’ennesimo predicare, andava fermato o quanto meno ridotto: erano stanchi di quella notorietà, consideravano tutto quanto Gesù faceva come qualcosa di inopportuno perché non si comportava come gli altri, non pensava a condurre quella vita tranquilla e semplice fatta di lavoro e famiglia che conducevano tutti in paese. Omologazione, insomma, sottintendendo che, se proprio voleva, poteva anche predicare e far miracoli, ma a tutto c’era un limite. L’omologazione, il livellarsi alle usanze del “mondo” è però il ragionamento tipico di chi non crede né ha idea di cosa significhi avere un preciso mandato da Dio. L’apostolo Paolo lo evidenzia in una breve frase: “Se siamo stati fuori di senno, era per Dio; se siamo assennati, è per voi” (2 Corinti 5.13), cioè il confronto “fuori di senno” – “assennati” sottolinea la differente lettura tra ciò che viene reputato dal mondo che non ha la minima conoscenza della sfera spirituale e chi invece sì. Al verso successivo infatti leggiamo “L’amore del Cristo ci possiede”.
È infatti l’amore del Cristo, quindi quello che ha provato lui per noi, che spinge inevitabilmente chi crede a comportarsi in modo naturalmente diverso da quello che ha chi non lo conosce. Quanti hanno provato gli effetti della Parola di Dio non possono che testimoniare quanto leggiamo in Ebrei 4.12,13: “…è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture delle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto”.
Ebbene Gesù, quale Dio Onnisciente, sapendo della presenza di madre e fratelli prima che una persona premurosa lo informasse, non poteva che rimarcare la divisione tra ciò che appartiene al mondo materiale e a quello spirituale: non caccia via i suoi parenti, non li umilia sgridandoli, ma è cosciente del fatto che, al momento, la loro realtà è quella che è sapendo che alcuni, fra i quali proprio la madre, lo avrebbero in seguito accettato in piena coscienza come loro salvatore. Fino a quando le relazioni umane di parentela avrebbero preso il sopravvento su quelle spirituali, non avrebbero avuto alcun senso, cioè sarebbero state fuori luogo per la vera realtà, per l’essenza, la struttura del rapporto che avrebbe dovuto intercorrere fra creatura e Creatore o, meglio, tra quelli “nati da Dio” e Colui che li ha generati.
Ricordiamo il dialogo con Nicodemo? Fu il primo in cui Gesù pose chiaramente il confine, la netta separazione tra la nascita umana in cui si trasmette la vita “per volontà di carne” e quella nuova, “d’acqua e di spirito” in cui davvero si nasce chiedendolo e non senza subire l’ingresso in un mondo di cui, almeno per quanto mi riguarda, avrei sotto certi aspetti fatto volentieri a meno. Prima di nascere di nuovo, non sapevo che la mia vita poteva avere un senso, una strada, venire costruita su un progetto non transitorio, destinato ad esaurirsi con la mia morte.
Tornando al testo è chiaro che l’ignoto che informò Gesù della presenza dei parenti che volevano parlargli, lo fece ad alta voce, ascoltato dai presenti; questo Gli diede l’occasione per un altro insegnamento: la domanda “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” viene formulata per avere una risposta che sarebbe stata logica per i suoi uditori. Invece Nostro Signore risponde con un atteggiamento particolare: guarda tutte quelle persone sedute girando lo sguardo (Marco), tende la mano verso i discepoli (Matteo) e dice “Ecco mia madre e i miei fratelli!”, parole che fanno irruzione nella mente perché tradizionalmente si vede nel vincolo famigliare qualcosa di assolutamente preferenziale, riservato, intimo perché in famiglia si cresce, non è detto nell’amore e nella comprensione reciproca, ma comunque a lei si appartiene.
Le parole successive di Gesù spiegano il concetto: “Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”, le due fasi della vita cristiana, ascoltare (ritenendo) e mettere in pratica, impossibile l’una senza l’altra.
Fra l’altro la risposta di Gesù credo risolva una volta per tutte la controversia sul termine “fratello”, con la quale nel mondo antico potevano indicarsi anche i cugini, che poi è “il cavallo di battaglia” di coloro che sostengono che Maria sia rimasta vergine dopo il parto – ma perché avrebbe dovuto, anche dottrinalmente parlando? – e che non abbia avuto altri figli: Gesù è detto spiritualmente “il primogenito di molti fratelli” (Romani 8.29), non cugini che renderebbe il verso assurdo, così come non avrebbe senso che chi ascolta e mette in pratica la Parola sia un cugino del Signore.
Dicotomia ancora maggiore fu espressa in un altro episodio in cui una donna espose un altro concetto che lasciava trasparire un orgoglio tipicamente femminile: “«Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!» Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano»” (Luca 11.27,28).
Cosa significhi “osservare” lo troviamo spiegato in Romani 12.2: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. Abbiamo qui le due basi dalle quali partire per una vita cristiana florida: non conformarsi, cioè “non rendersi come”, quindi non essere quelli di prima, e “lasciarsi trasformare”, cioè seguire senza resistenza quella naturale corrente che Dio attiva in modo naturale col canale dello Spirito. È una corrente che possiamo rallentare e fermare solo noi, e purtroppo lo facciamo quando agiamo più o meno consciamente volendo essere noi a guidare. Se però ci lasciamo condurre dove Lui vuole, il risultato sarà il discernimento tra ciò che è buono oppure no e la sua messa in pratica. Amen.
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