05.27 – PRATICARE LA GIUSTIZIA II/II (Matteo 6.1-4)

05.28 –Praticare la Giustizia II/II (Matteo 6.1-4)

1State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. 2Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.”. 

Nella riflessione precedente abbiamo affrontato il tema delle “buone opere”, o della “giustizia”, partendo dall’aspetto negativo, quello di ciò che viene fatto per ostentazione. Abbiamo anche visto che col termine “giustizia”, in questo caso, si intendevano elemosina, preghiera e digiuno, elementi che si affiancavano alla legge cerimoniale praticata pubblicamente dagli Scribi e Farisei distorcendo così il valore spirituale di quellee azioni. Gesù, però, con il suo insegnamento non intendeva dare a chi Lo ascoltava delle “istruzioni su come ottenere i favori di Dio”, ma piuttosto far riflettere sulle motivazioni che spingono veramente ad agire chi si vuole porre in rapporto col Padre: siamo quello che facciamo e, in quanto esseri pensanti, c’è sempre l’invito a valutarci attentamente rispondendo sempre a una domanda che giunge puntuale: “perché?”. “Perché” è quel ritornello ossessivo che spesso un bambino, arrivato a una certa età, rivolge agli adulti, ma anche sarebbe un metodo che, se adottato in età consapevole, porterebbe a conclusioni senz’altro interessanti; sarebbe un andare alla radice, sarebbe un esame a vasto raggio su ciò che sentiamo sia nella vita quotidiana naturale che in quella spirituale. È un comportamento che raramente attuiamo, abituati come siamo al quotidiano e, soprattutto, a dare tutto per scontato nei rapporti coi nostri simili e con Dio. Chiedersi perché equivale a fermarsi, azione che soprattutto la società attuale fa di tutto per evitare che ciò accada.

Gesù, invece, proponendo due comportamenti tra loro opposti, cioè praticare la giustizia finta e quella vera, spinge i suoi uditori e chi legge le sue parole a riflettere sul valore di questi metodi, ma soprattutto a ricordare che Dio non può essere preso in giro da nessuno: sappiamo che il primo verso del capitolo 6 inizia con “State attenti”. Se nella prima parte di queste riflessioni ci siamo occupati dell’agire per avere l’altrui approvazione, qui esamineremo la verità secondo cui Dio guarda “in segreto” e quindi, alla radice, alla genesi delle nostre azioni.

 

  1. In segreto

C’è un particolare da tener presente non solo nel leggere questi versi, ma tutto il capitolo e cioè: se andiamo a leggere le indicazioni sulle “buone opere” troviamo sempre, a un certo punto, un bellissimo, interessante pronome: “Invece, mentre tu fai l’elemosina” (v.3), “Invece, quando tu preghi” (v.6), “Invece, quando tu digiuni” (v.17). Quando un essere umano incontra Cristo in salvezza e si pone in rapporto con Lui, quindi, esce dalla massa per farsi persona. Questo è il significato del “tu” citato per tre volte. Non è poco perché, se la massa fosse composta da individui pensanti, non sarebbe tale, non sarebbe folla, quella che gridava “crocifiggilo” dimenticando i miracoli e le guarigioni avvenute. La massa è pilotabile da sempre, fa sì che i movimenti politici diventino grandi, è quella che segue la Bestia e il falso profeta, che asseconda e si riconosce nelle mode, viene spinta a fare rivoluzioni da un’élite di “pensatori” perché tutto resti sostanzialmente come prima, dove le cose cambiano perché nulla cambi o, nella migliore delle ipotesi, vince una battaglia ma mai una guerra perché il potere momentaneamente sconfitto ritorna sempre e più forte di prima. E all’occorrenza, con forme diverse. La massa crede, si fa influenzare inconsapevolmente, obbedisce e non programma mai a lungo termine, dà per scontato, gli basta poco per sposare le opinioni che le vengono fornite perché non avendole ne ha bisogno, la massa si plasma col tempo e con strategia.

Il “tu” di Gesù invece chiama in causa direttamente, invita chi Lo ascolta a riconoscersi in Lui e, in caso di risposta affermativa, l’essere umano scopre che il suo nome è scritto nel libro della vita, nel “registro di Dio” come lo definì un giorno un fratello, quello che l’apostolo Giovanni vide in una visione che riporta in Apocalisse 5.1: “E vidi, nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli”, quelli che solo il Cristo vittorioso potrà aprire dopo che si saranno compiuti tutti gli avvenimenti descritti nei capitoli dal quinto a 20.12: “E vidi i morti, grandi e piccoli che stavano ritti davanti al trono. E i libri furono aperti. E fu aperto un altro libro, che è il libro della vita. E i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le opere loro”. Puntualizzazione: i morti “grandi e piccoli” non sono adulti e bambini, ma persone che nella loro vita sono stati più o meno importanti, ma hanno avuto comunque tutti la responsabilità della gestione del bene più prezioso, la loro vita. Notare la distinzione fra “i libri”, contenenti metaforicamente le azioni di ciascuno di loro, folla, e “il libro” su cui sono scritti i nomi dei salvati, quelli del “tu”: ognuno di loro è conosciuto perché “Le mie pecore conoscono la mia voce ed esse mi seguono” (Giovanni 10.27). Ecco, i tre “Invece tu” sono lo sviluppo del cammino secondo Cristo, quello che compiono quelle “pecore” che conoscono la voce del pastore e quindi non seguono altri, non fidandosi. Chi non ha Lui come pastore, non potrà che perdersi perché ne avrà scelto inevitabilmente un altro, uno alternativo, quello che la vita per il suo gregge non l’avrà mai data.

E ci troviamo ancora alla divisione in due gruppi, ai due tagli della spada che qui divide chi è massa da chi è diventato persona. Non si tratta di presunzione, ma di condizione ben delineata nella Parola di Dio. Non esiste credente che sia tale perché ha avuto un’esperienza personale col Signore e che non sia protetto dall’ultimo, grande inganno degli “ultimi tempi” visto in quel sistema religioso, politico ed economico che precluderà qualunque possibilità di evasione e distinzione da lui: “E tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla fondazione del mondo, la adoreranno” (Apocalisse 13.8), riferito alla Bestia. Mi rendo conto di scrivere concetti che meriterebbero ben altri approfondimenti, ma è importante sapere che ogni azione che facciamo è sempre il frutto di una scelta e non c’è possibilità di essere neutrali nel nostro cammino terreno. Chi è massa segue gli altri, chi è persona – spiritualmente parlando – segue Cristo in un percorso che sarà sempre e solo individuale, per quanto condiviso con altri.

Torniamo però alla persona in genere: comunque sia, che appartenga alla massa o da lei si distingua – e non serve compiere azioni eclatanti per farlo – vale quanto leggiamo in Geremia 17.9,10: “Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce! Chi lo può conoscere? Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per dare a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni”. Ancora: “Sono forse Dio solo da vicino? (…) Non sono Dio anche da lontano? Può nascondersi un uomo nel suo nascondiglio senza che io lo veda?” (23.23,24). Infatti “Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di Colui al quale dobbiamo rendere conto” (Ebrei 4.13).

Ancora una volta abbiamo una distinzione molto importante sul rendiconto, diverso dal giudizio, risparmiato a chi crede: “In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Giovanni 5.24). Piuttosto, il concetto del rendiconto è spiegato dall’apostolo Paolo con queste parole: “Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco” (1 Corinti 3.11-15).

In questi versi abbiamo prima di tutto la descrizione dell’impossibilità di costruire qualcosa senza Gesù Cristo come motivazione e soprattutto su di lui come fondamento, poi la prova del fuoco che brucerà tutto ciò che di inutile avremo realizzato lasciando soltanto ciò che avremo prodotto di veramente prezioso e accettevole a Dio. Come interpretare però le ultime parole “si salverà, però come attraverso il fuoco”? Il fuoco rovina, guasta, sfigura la persona, crea una sofferenza terribile. Per questo mi pare di capire che, per quanti si troveranno in quello stato, la loro vita nei “Nuovi cieli e nuova terra” sarà in qualche modo penalizzata come, nel quotidiano terreno, chi si ustiona al di là del primo grado incontra seri problemi per gli esiti cicatriziali e resta invalido, visto che la morte, che a volte sopraggiunge nei grandi ustionati, qui non è contemplata. Una cosa è vivere la dispensazione della grazia, data all’uomo per salvarsi e costruire, un’altra affrontare “il rendiconto”. Ecco uno dei perché del timor di Dio: è contemplato che uno sul fondamento costruisca con legno, fieno o paglia, materiali che non duraturi nel tempo e suscettibili ad essere distrutti nel giorno della retribuzione. Ricordiamoci che quando Giovanni vide in visione il Signore, lo descrisse come avente “occhi fiammeggianti” a sottolineare il suo discernimento tra ciò che resiste o no alla perfezione del suo sguardo.

Ecco allora che quel triplice “Invece tu”, indica il metodo, un aspetto del cammino che solo l’amore per Colui che ci ha salvato può spingerci a compiere.

Ho scritto della persona che si differenzia dalla massa: può aiutare l’esperienza di Davide nel Salmo 139 che illustra con parole di verità l’essenza di questo rapporto: “Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo, ti son note tutte le mie vie. La mia parola non è ancora sulla lingua ed ecco, Signore, già la conosci tutta. Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. Meravigliosa per me la tua conoscenza, troppo alta, per me inaccessibile. Dove andare lontano dal tuo spirito? Dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra”. Facciamo caso ai verbi: scrutare – conoscere – sapere – intendere – osservare – circondare – porre – essere – guidare – afferrare. Sono dieci, a significare la cura totale che Dio ha per l’uomo che ha chiamato. E che le esigenze che ha sono proporzionali alle cure che dà.

E abbiamo letto parole di Davide, nonostante abbia compiuto azioni non sempre degne di un individuo spirituale a tal punto che YHWH non gli consentirà di edificargli il tempio, scegliendo per questo Salomone suo figlio. Questo re conobbe momenti di formidabile comunione con Dio ed altri molto più carnali, quando si adagiò sui lussi della propria vita di corte. Questo ci consente di chiederci: quanto tempo della mia giornata trascorro col mio Dio onestamente? Pensiamo a Giovanni Battista, che stava nel deserto attendendo l’ora per cui era stato preparato. Certo, Davide scrisse questo Salmo gioendo per la possibilità di contemplazione che gli veniva data ed è proprio l’esperienza di essere ascoltato e conosciuto nel profondo a farlo parlare nel modo in cui abbiamo letto. Ecco ciò che è compreso nel “tu” e “in segreto”: un rapporto individuale che nessuno conosce al di fuori di due persone, quella di chi crede e Dio stesso.

Per questo il “tu” è anche una sorta di termometro, indica la nostra posizione spirituale. Davide descrive la conoscenza di Dio con le parole “Meravigliosa”, “troppo alta” e per lui “inaccessibile”, ma non si stancava di contemplarla sentendosi parte di lei e, nonostante fosse conscio di capirla in una quantità infinitesimale, ci ha lasciato come profeta delle verità molto profonde nei suoi Salmi. Davide sapeva di essere parte del piano per la redenzione dell’uomo. Per lui era importante quel “Tu” a prescindere dalla sua natura umana che purtroppo, come per tutti noi, era sempre lì, pronta a penalizzarlo. Chi è salvato entra in un mondo immenso, non potrebbe essere diversamente.

C’è poi la retribuzione, termine che nasconde realtà diverse e che consiste nel sostegno nella vita terrena nonostante le prove, i lutti o le malattie perché “piove sui giusti e sugli ingiusti”, ma anche nel risultato del rendiconto di cui troviamo una descrizione nella famosa parabola detta “dei talenti” (Matteo 24.14-30) in cui viene detto “Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; entra nella gioia del tuo signore”. Sarà allora che ciò che è segreto diventerà palese ed eterno, mentre le opere di chi avrà agito per ostentazione saranno dimenticate e distrutte. Amen.

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