05.31 – Padre nostro – Introduzione II (Matteo 6.9-13)
“5E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.7Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. 8Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.9Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome,10venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. 11Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 12e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, 13e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.14Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi;15ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.”.
Siamo così arrivati al secondo incontro introduttivo sulla preghiera insegnata da Gesù, nel sermone sul monte, ai discepoli e a tutti quanti vollero incontrarlo. Il verso settimo prende in esame una categoria nuova di persone, cioè i pagani che vengono associati ai farisei e a chi pratica una vuota religiosità alla quale potevano affiancarsi anche manifestazioni di lesionismo corporali che estendevano il concetto di “mortificazione” che avveniva tramite il digiuno. È interessante il verbo greco che ha utilizzato forse lo stesso Matteo dall’aramaico, “Battologhéo”, riferito a Battos, poeta greco verboso e prolisso noto per le sue continue ripetizioni inutili e retoriche. È scritto che i pagani pensano di essere esauditi per la moltitudine delle loro parole: un riferimento (anche) a 1 Re 18.26 quando viene riportato che i profeti di Baal invocarono il nome del loro dio dal mattino fino a mezzogiorno, “26…ma non si udì alcuna voce e nessuno rispose. Intanto essi saltavano intorno all’altare che avevano fatto”. 27A mezzogiorno Elia cominciò a beffarsi di loro e a dire «Gridate più forte, perché egli è dio: forse sta meditando o è indaffarato o è in viaggio, o magari si è addormentato e dev’essere svegliato». 28Così essi si misero a gridare più forte e a farsi incisioni con spade e lance secondo le loro usanze finché grondavano di sangue. 29Passato mezzogiorno, essi profetizzarono fino al tempo di offrire l’oblazione, ma non si udì alcuna voce, nessuno rispose e nessuno diede loro retta”. Troviamo un riferimento interessante anche nel Nuovo Testamento, in Atti 19.34 quando, per circa due ore, tutti gridavano “Grande è la dea Diana degli Efesini”. È un mantra, la ripetizione infinita, cui non pochi tra i medici della psiche e purtroppo anche nel cristianesimo attribuiscono un valore.
Illuminanti le parole in Ecclesiaste 5.1-3 “1Bada ai tuoi passi quando vai alla casa di Dio: avvicinati per ascoltare piuttosto che per offrire il sacrificio degli stolti, i quali non sanno neppure di far male. 2Non essere precipitoso con la tua bocca e il tuo cuore non si affretti a proferire alcuna parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sulla terra: perciò siano le tue parole poche. 3Poiché con le molte occupazioni vengono i sogni e con le molte parole la voce dello stolto”. È importante notare che, in questi versi, quando troviamo scritto “Dio” il testo originale abbia il plurale Elohim e quindi suggerisca il concetto trinitario che andrebbe tradotto “Iddio”. C’è però il pericolo di un fraintendimento, poiché la lettura di questi versi sembra esortare a una preghiera breve a prescindere: chi può quantificare il tempo giusto per farlo? Nel senso, vanno bene pochi secondi o pochi minuti? Se sì, quanti? Quante parole sono necessarie perché, come ha scritto Salomone, siano considerate “poche”?
In realtà Nostro Signore e il riferimento nell’Ecclesiaste non parla del pregare tanto o poco, ma all’intelligenza della persona: “pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con intelligenza”, scrisse Paolo in 1 Corinti 14.15. È probabile che qui Gesù, che passava notti intere a pregare, abbia fatto un riferimento al non fare della ripetizione e della lunghezza della preghiera un obbligo con la speranza-garanzia che questa venga esaudita esattamente come speravano i profeti di Baal di cui abbiamo letto. È la preghiera del pagano che chiede segni, miracoli, manifestazioni soprannaturali o che la vita si svolga attraverso esaudimenti di richieste materiali; quella del cristiano, invece, deve avere intenti e origini opposte viste nel dialogo, nel confronto col Padre ora possibile grazie allo Spirito Santo e all’intercessione del Risorto.
Infatti il verso successivo parte con l’esortazione – comandamento: “Non siate come loro” e ne spiega il motivo, “perché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno prima che gliele chiediate”. Se il pagano è convinto che il suo dio vada informato delle cose che gli necessitano, il cristiano è spinto alla preghiera fondamentalmente perché ha bisogno della comunione col Padre e che questo implica necessariamente un profondo esame di coscienza: ci presentiamo a lui consci delle nostre mancanze e ne chiediamo perdono? Abbiamo dei pesi che ostacolano il nostro cammino di comunione? Ci mettiamo davanti a Lui con onestà di cuore, rifuggendo le eventuali contaminazioni, siamo attenti? Abbiamo dei peccati non confessati e non lasciati?
Il Padre sa di cosa abbiamo bisogno prima che glielo domandiamo. Siamo qui a un bivio: il Creatore che sa cosa necessita realmente la Sua creatura, ma questa spesso non conosce le sue necessità spirituali, al contrario delle sollecitudini ansiose che ha ben presente: “Non cercate di che cosa mangerete o che cosa berrete e non ne siate in ansia, perché le genti del mondo cercano tutte queste cose, ma il Padre vostro sa che voi ne avete bisogno” (Luca 12.29-30).
Il sette, l’otto e altri numeri
Quello che mi ha stupito ed altrettanto edificato nell’esaminare il contesto di questa preghiera è la posizione che occupa il sostantivo “Padre” all’interno dei capitoli 5 e 6 del Vangelo di Matteo. Vediamo i versi che precedono il “Padre nostro”:
- “…affinché siate figli del Padre vostro” (5.45)
- “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro, che è nei cieli” (5.48)
- “…altrimenti voi non ne avrete ricompensa presso il Padre vostro, che è nei cieli” (6.1)
- “… e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà ricompensa palesemente” (6.4)
- “…chiudi la porta e prega il Padre tuo, che vede nel segreto” (6.6)
- “…e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà pubblicamente” (6.6)
- “…il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno prima che gliele chiediate” (6.8)
- “Padre nostro che sei nei cieli…” (6.9)
Le riflessioni che si possono fare a questo punto sono molte. Guardando ai primi sette versi che riportano la parola “Padre”, non si può ignorare che la loro quantità ha riferimento diretto a Dio, alla Sua opera, pienezza e perfezione. La presenza di questo numero è costante in tutta la Bibbia a partire dalla Genesi quando fu il settimo giorno a fare da sigillo alla creazione. Tra innumerevoli episodi citabili, sono particolarmente importanti le sette volte in cui il generale del re di Siria Naaman fu mandato a bagnarsi nel Giordano da Eliseo per guarire dalla lebbra, oltre ai sette anni impiegati da Salomone per costruire il Tempio, per non parlare della costante del numero nel libro dell’Apocalisse.
Forse può essere interessante, a proposito del Sette, citare la figura di Ivan Nikolayevich Panin (1855 – 1942), critico letterario nichilista e agnostico molto conosciuto in Canada e negli Stati Uniti d’America, che si convertì al Cristianesimo quando, analizzando numericamente i testi del Nuovo e Antico Testamento, dopo un lavoro durato otto anni ed aver riempito un totale di circa 40mila pagine, giunse alla conclusione che il numero 7 è alla base di tutta la struttura letteraria biblica a patto che questa non sia manipolata tramite l’inserimento di parole non presenti nell’originale. Ivan Panin dedicò i restanti 50anni della sua vita allo sviluppo della scienza dei numeri biblici rifiutando incarichi universitari anche prestigiosi.
Può essere interessante cercare in rete “Ivan Panin” dove i dati sulla sua ricerca abbondano. Mi limito a trascrivere la sua ricerca sul verso di Genesi 1.1 “Nel principio Iddio creò i cieli e la terra”.
La frase in ebraico è composta di sette parole, ciascuna delle quali ha il suo valore numerico complessivo, che si ottiene sommando il valore di ogni lettera:
– בראשית 913 (400+10+300+1+200+2) Nel principio
– ברא 203 (1+200+2) creò
– אלהים 86 (40+10+5+30+1) Dio
– את 401 (400+1) Articolo indefinito non traducibile
– השמים 395 (40+10+40+300+5) i cieli
– ואת 407 (400+1+6) e
– הארץ 296 (90+200+1+5) la terra
In questo breve versetto, il numero sette con i suoi multipli ricorre in decine di combinazioni di cui riportiamo solo alcuni esempi:
– Il numero delle parole del verso è 7.
– Vi sono tre importanti parole: Dio, cieli, terra che hanno valore 86, 395, 296. Sommati tra loro danno 777, cioè 111×7.
– Il numero delle lettere di queste tre parole (Dio, cieli, terra) è 14 (2×7).
– Il numero delle lettere delle quattro restanti parole è sempre 14 (2×7).
– Il numero totale delle lettere ebraiche in questa frase è dunque 28 (4×7).
– Le prime tre di queste sette parole ebraiche contengono il soggetto e il predicato della frase: “Nel principio Iddio creò”. Il numero delle lettere di queste tre parole è 14 (2×7).
– Le altre quattro parole contengono l’oggetto della frase: “i cieli e la terra”. Il numero delle lettere di queste quattro parole è anch’esso 14 (2×7).
– Il valore numerico del verbo “creò” è 203 (29×7).
– Il numero trovato sommando il valore numerico della prima e dell’ultima lettera di tutte e sette le parole che compongono questo versetto è 1393 (199×7).
– Il numero 1393 si divide nella seguente maniera:
- a) il numero che si ottiene sommando i valori numerici della prima e dell’ultima lettera della prima e della settima parola è un multiplo di 7: 497 (71×7)
- b) Il numero che si ottiene sommando i valori numerici della prima e dell’ultima lettera delle cinque parole rimaste in mezzo è anch’esso un multiplo di 7, cioè 896 (128×7),
– L’ultima lettera della prima e dell’ultima parola hanno un valore numerico totale di 490 (70×7)
– La più breve parola è al centro. Il numero ottenuto sommando le lettere di questa parola sommate con le lettere della parola alla sua sinistra è 7.
– Il numero ottenuto sommando le lettere di questa parola sommate con le lettere della parola alla sua destra è 7.
Le perfezioni del numero non ricorrono solo nell’AT, ma anche nel Nuovo. Ad esempio nella genealogia di Gesù riportata da Matteo (che non a caso scrive per gli ebrei) e, sempre nel primo capitolo, ai versi da 18 a 25 in cui si narra della visita dell’angelo a Maria e della nascita di Gesù. In questo caso abbiamo:
- in numero delle parole greche è 161 (23×7)
- il valore numerico di queste 161 parole è di 93.394 (13.342×7)
- Il numero delle forme grammaticali in cui queste 161 parole ricorrono è 105 (15×7)
- Il valore numerico di queste parole usate nelle 105 forme è 65.429 (9347×7)
- Di queste 105 forme il numero dei verbi è 35 (5×7)
- Di queste 105 forme il numero dei nomi propri è 7
- Il numero delle lettere in questi 7 nomi propri è 42 (6×7)
- Il numero delle forme trovate in questo brano, ma che non si trovano in nessun’altra parte del Vangelo di Matteo è 14 (2×7)
- Il valore numerico di queste 14 forme è 8.715 (1.245×7)
- Le sei parole greche trovate in questo brano e che non si trovano in nessun’altra parte del libro di Matteo hanno un valore numerico di 5.005 (715×7)
- Il numero delle lettere di queste sei parole è esattamente 56 (8×7)
- L’unica parola trovata qui, ma che non so trova in nessun’altra parte del NT è il nome “Emanuele” il cui valore numerico è 644 (92×7)
- Il numero delle forme
- Il valore numerico di tutte le parole usate dall’angelo è di 21.042 (3006×7)
- Il numero delle forme usate dall’angelo è 35 (5×7)
- Il numero delle lettere greche in queste 35 forme usate dall’angelo è 168 (24×7)
- Il valore numerico delle 35 forme usate dall’angelo è di 189.397 (2.772×7).
Ho riportato questi dati unicamente per rendere un’idea della perfezione che esprime questo numero.
Torniamo al tema delle prime sette volte in cui compare la parola “Padre”: notiamo che, negli aggettivi accanto a questa parola, abbiamo quattro volte “Vostro” e tre “Tuo”, a mio giudizio una chiara allusione alla stabilità (il numero 4) della Chiesa che sarebbe nata (vista in quel “Vostro” che accomuna) e alla imminente, nuova perfezione del rapporto individuale (il numero 3) visto nel “Tuo”, possessivo che abbiamo già visto Maria di Magdala dichiarare splendidamente con le parole “…hanno portato via il mio Signore e non so dove l’abbiano posto” (Giovanni 20.13). Era il Signore di tutti, ma in questa espressione Maria volle dichiarare tutto l’amore individuale che aveva per Lui e Lui per lei, così come ogni credente dovrebbe testimoniare.
Ora il “Padre nostro” compare per l’ottava volta quanto a parola “Padre”, ma per la prima con il possessivo “nostro”, segno di un cambiamento profondo, lo stesso che comporterà la resurrezione di Cristo, avvenuta sì nel primo giorno della settimana, ma anche nell’ottavo così come è chiamato altrimenti. Il “Padre nostro” come posizione e definizione può essere considerato sia all’ottavo posto, sia al primo ciclico di una serie di altri che si trovano a seguire. L’otto è quindi abbinabile alla nuova vita, quella eterna a cui destina tutti coloro che Lo accolgono, Lui che ci ha dimostrato che non è la morte ad avere l’ultima parola per cui è chiamato anche “Il primogenito dai morti” (Apocalisse 1.5), ma ancor di più in Romani 8.29: “…poiché quelli che ha preconosciuto, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Suo Figlio, sia da essere lui il primogenito fra molti fratelli”. Il numero otto ha riferimento con un’altra creazione, quella appunto della “Nuova creatura” di cui parla l’apostolo Paolo in 2 Corinzi 5.17: “Se dunque uno è in Cristo, è un nuova creatura; le cose vecchie son passate, ecco, tutte le cose sono diventate nuove”. È un ottavo giorno che ogni essere umano può sperimentare.
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