4.2 – Apostoli II (Luca 6.12-16)
“12In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. 13Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: 14Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, 15Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; 16Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.”
PIETRO
Prima di iniziare a parlare di questo apostolo, ma anche di tutti gli altri, va tenuto presente che sarà necessario citare degli episodi o delle frasi che potranno essere sviluppate solo in parte. Le brevi note che si troveranno su tutti gli apostoli, quindi, vanno intese come dei semplici appunti in vista dell’approfondimento che verrà fatto quando si giungerà a commentare i passi veri e propri secondo la cronologia che ci siamo dati.
Dei dodici abbiamo quattro elenchi forniti dai sinottici e dal libro degli Atti, alcuni dei quali differiscono per nome e ordine, ma riferenti alle stesse persone. Pietro è il primo a comparire in tutti e Matteo scrive “Il primo è Simone, detto Pietro”, nome che sappiamo anticipatogli da Gesù nell’incontro che ebbe con lui per interessamento di suo fratello Andrea. In quell’occasione fu chiamato così in aramaico: “«Tu sei Simone, figlio di Giona; sarai chiamato Cefa», che significa pietra” (Giovanni 1.42). Cefa significa “sasso”, “pietra”, ma anche “roccia”, elementi da considerare perché costituiscono una profezia su di lui che riguardò la sua vita dopo la discesa dello Spirito Santo a Gerusalemme, ma è al tempo stesso connessa al fatto che fu Pietro il primo dei dodici a riconoscerlo come “Il Cristo, il figlio dell’Iddio vivente”. In quell’occasione Gesù gli disse “«Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»” (Matteo 16.17-19). È questo un verso che purtroppo costituisce un terreno minato, un caso di contesa per la cristianità perché in essi la Chiesa Romana vede l’istituzione di Pietro come primo fra gli apostoli nel senso di capo e ha dato l’imprimatur a una versione che, con una licenza che quanto meno intristisce, al posto di “su questa pietra” ha “su di te”, stravolgendone il senso.
Pietro, per le ragioni che vedremo, era una persona dal carattere particolare e Gesù, chiamandolo Cefa, volle fare riferimento al ruolo che avrebbe avuto; nel verso di Matteo che abbiamo letto, impiegò il termine “pietra” definendo come tale la verità sulla quale poggia la fede del vero cristianesimo: Gesù è il Cristo, il Figlio dell’Iddio vivente. Simone sarebbe stato una pietra secondo quanto troviamo nella sua prima lettera in cui usa lo stesso termine: “Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo” (1 Pietro 2.4). Ora l’apostolo fa un distinguo ben preciso fra la “pietra viva”, e le “pietre vive” divenute tali non per loro potere: queste costituiscono la Chiesa, composta da tutti coloro che credono e sono stati salvati di cui Gesù è la pietra angolare, la prima che viene posata e che sorregge tutto l’edificio, quella che i costruttori avevano disprezzato (Salmo 118.22), quella che Dio aveva “…posto come fondamento in Sion, una pietra provata, una pietra angolare e preziosa, un fondamento solido; chi confiderà in essa non avrà fretta di fuggire” (Isaia 28.16).
Se Gesù è quindi la pietra d’angolo, Cefa è una pietra come tutte le altre, ma particolare ed unica al tempo stesso proprio perché non solo sarà il primo a riconoscere in Gesù il Cristo, ma per tutto quello che darà in seguito, per il ruolo importante non solo di predicazione verso gli ebrei.
Cefa non sarà “la” pietra, ma “una” pietra e il testo di Matteo 16.18 su cui tanti hanno conteso significa proprio che Gesù avrebbe edificato la propria Chiesa non su Pietro come apostolo, ma sulla verità che lui espresse: “Tu sei il Cristo, il figlio dell’Iddio Vivente”. Pietro, attribuendo a Gesù il titolo di Cristo lo riconosce come il Messia che avrebbe dovuto venire un giorno e come “Figlio dell’Iddio vivente” cioè individua come procedenti da Dio tutti gli eventi che sarebbero accaduti, ammette che Gesù era non solo un inviato, ma dichiara chi veramente era, da dove venisse, la realtà spirituale e fisicamente eterna che lo contraddistingueva dagli altri. Impossibile una Chiesa che non si fondi su questa verità che non a caso fu minata dalle eresie che, fin dal primo secolo, iniziarono a mettere in discussione proprio la natura del Cristo. È da lì che si parte, dal Figlio di Dio che assunse forma di servo e che morì per noi. Senza quella dichiarazione di Pietro, fatta poi anche dagli altri, in cosa si crederebbe? Riconoscere Gesù nei termini che abbiamo visto è il primo passo, non ve ne possono essere di alternativi perché sarebbero inutili; non salva sapere che Lui è stato un pensatore e un predicatore d’amore, pace e fratellanza tra gli uomini: non è vero, è riduttivo, offensivo alla luce del fatto che, prima di tutto, Gesù mostrò l’amore dell’unico Dio vero e Santo a favore dell’uomo, così inadeguato e lontano, sacrificandosi per la salvezza di quanti lo avrebbero accolto.
Pietro fu un personaggio diverso dagli altri dodici: irruento, facile tanto ad entusiasmarsi quanto a cadere nella paura, energico e pronto a parlare a volte a sproposito nel momento in cui seguiva la propria umanità, era quello tenuto in più considerazione dal gruppo dei dodici senza che lo considerassero comunque un capo, vista la discussione che sorgerà tra loro in Marco 9.33,35: “Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti»”.
Pietro fu testimone, con Giacomo e Giovanni, di miracoli ed avvenimenti che gli altri apostoli non videro. Se il Vangelo ce lo dipinge come una persona molto “umana” nelle sue reazioni (l’orecchio tagliato di Malco, episodio che ci lascia supporre che quest’apostolo fosse corpulento, o il camminare sull’acqua salvo sprofondarvi dentro, il suo pianto amaro al terzo rinnegamento di Gesù), il libro degli Atti lo descrive come una persona di cui Dio si servì per la predicazione, istruendolo anche con visioni. Paolo lo cita come Cefa in Galati 2.9 come colonna della Chiesa assieme a Giacomo e Giovanni e qui, se vogliamo, possiamo vedere anche il significato di “roccia” come risultato dell’azione della Grazia che farà di lui un personaggio così importante per la predicazione del Vangelo e nell’edificazione della Chiesa primitiva essendogli affidato il compito di essere “l’apostolo degli incirconcisi”, cioè degli ebrei (Galati 2.8).
Pietro abbiamo detto essere interessante per la sua profonda umanità nel senso che, se fu un predicatore formidabile e per nulla timoroso di fronte all’autorità politica contraria al Vangelo, non fu esente da errori di comportamento trattando differentemente quanti si convertivano dal giudaismo e dal paganesimo. Si tratta di un episodio che può insegnare molto anche a noi perché possiamo capire quanto sia facile essere condizionati dalle nostre certezze presunte, dal nostro retaggio culturale. Il passo di riferimento è quello di Pietro che predica in casa del centurione romano Cornelio narrato in Atti 10.9-33. In quell’occasione, quando iniziò a parlare, l’apostolo disse “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”. Ebbene, questo concetto fondamentale fu da lui dimenticato nonostante la visione avuta e le parole udite in quell’occasione.
Pietro dovette essere ripreso da Paolo per la preferenza che dava ai giudei convertiti rispetto ai pagani e questo, anziché squalificarlo, rivela quanto sia facile cadere nell’errore nonostante rivelazioni che poi, involontariamente e per la nostra natura defettibile, si dimenticano. Ed è da sottolineare che in Pietro la potenza di Dio operava non poco, vista la resurrezione di Tabità a Giaffa operata poco tempo prima dell’incontro con Cornelio e la sua famiglia. Questo ci fa tornare al principio dell’impossibilità dell’esistenza del “conduttore perfetto” perché, se esistesse, non ci sarebbe bisogno de “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Pietro fu quindi “il primo” sotto le ottiche che abbiamo visto brevemente, ma non con funzioni direttive che ci autorizzino a ritenere che avesse autorità sugli apostoli: nella Chiesa non può esistere una gerarchia o una scala di importanza, ma uomini che hanno un dono e che lo esercitano rispondendo direttamente a Dio e che vanno riconosciuti, ma senza pensare ad un’autorità umana o di gradi come può accadere per l’esercito o altri corpi organizzati. La Chiesa di Cristo non può essere una multinazionale o una grande azienda, con dirigenti e operai, ma è una struttura spirituale, un tempio in cui ciascuno opera in base ai domi ricevuti e non dalle persone che “converte”, dal carisma umano o dalla cultura che possiede.
ANDREA
Sappiamo che fu il primo dei discepoli con cui Gesù Parlò, assieme a Giovanni. Il suo nome significa “Virile” o “Uomo di valore” e sappiamo essere fratello di Pietro, come lui pescatore, col quale aveva un rapporto di amicizia e di condivisione spirituale come rileviamo dalla frase che gli disse non appena lo incontrò, “Noi abbiamo trovato il Messia” (Giovanni 1.41). La Chiesa ortodossa, per questo episodio, lo definisce “Protòcletos”, cioè “il primo chiamato”. Come Giovanni, suo amico, era una persona sensibile e dette prova di riconoscersi peccatore e bisognoso del Cristo che sarebbe arrivato non limitandosi a farsi battezzare da Giovanni Battista, ma divenendo suo discepolo.
Andrea era una persona profondamente interessata alla predicazione di Gesù e desideroso di conoscere gli avvenimenti che avrebbero riguardato l’umanità in futuro. Leggiamo in proposito Marco 13.1-5: “Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta». Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: «Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?»”. Questa fu una domanda che suscitò l’esposizione del cosiddetto “sermone profetico” e testimonia quanto Andrea, con gli altri tre che ebbero un rapporto con Gesù più ravvicinato che non i rimanenti otto,tenessero in considerazione le parole di Gesù in ogni cosa, comprese quelle che riguardavano avvenimenti non ancora avvenuti. Credo sia un particolare importante, perché un conto e credere a un miracolo che si constata di persona, e un altro è accettare per vere parole che non si ha modo di verificare.
Andrea, chiamato a seguire personalmente Gesù dopo la pesca miracolosa sul mare di Galilea con Pietro, Giacomo e Giovanni sulla quale abbiamo riflettuto, abitava con Pietro e sua moglie a Capernaum ed era di Betsaida. Come lo ha definito un caro fratello, era un “uomo di pubbliche relazioni” come vediamo nell’episodio degli ebrei greci che volevano vedere Gesù: “Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù” (Giovanni 12.20-22).
Andrea aveva già dato prova di interessarsi delle persone che venivano alle predicazioni di Gesù, come leggiamo nel miracolo della prima moltiplicazione dei pani e dei pesci: fu lui infatti ad indicare che, in mezzo alla fola, c’era “un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due piccoli pesci, ma cos’è questo per tanta gente?” (Giovanni 6.9). In proposito e aprendo una piccola parentesi, è degno di nota come Papa Francesco Bergoglio ha inquadramento l’episodio quando, urtando non poco la suscettibilità dei tradizionalisti, disse che i pani e i pesci non si moltiplicarono, «ma semplicemente non finirono, come non finì la farina e l’olio della vedova. Quando uno dice “moltiplicare” può confondersi e credere che faccia una magia. No, semplicemente è la grandezza di Dio e dell’amore che ha messo nel nostro cuore che, se vogliamo, quello che possediamo non termina”.
In effetti a parlare di moltiplicazione sono coloro che si sono adoperati per scrivere i brevi titoli che precedono gli episodi dei Vangeli e non i diretti Autori e scrivere di “moltiplicazione dei pani” risulta più immediato che non “i pani che non finirono”; il paragone con la farina e l’olio della vedova, poi, appare quanto mai pertinente perché abbiamo due casi, tra loro simili, il primo dei quali ricordato in 1 Re 17.14-16: si tratta di un miracolo che operò il profeta Elia alla vedova di Sarepta: “«La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra». Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia”.In 2 Re 4.1-38, ve ne fu un altro, operato invece da Eliseo, in cui fu un vasetto d’olio a riempire tutti i vasi che la vedova fu in grado di farsi prestare dai vicini.
Vero è che nel miracolo dei pani e dei pesci è scritto che ne avanzarono dodici ceste, ma furono appunto di avanzi, non pani o pesci interi; è scritto che “Raccolsero dodici ceste piene di pezzi di pane e di resti di pesci. Or coloro che avevano mangiato di quei pani erano cinquemila uomini” (Marco 6.43,44). Del resto ricordiamo il miracolo delle nozze di Cana, in cui mutò la sostanza e non cambiò il numero degli otri. Il gesto creativo di Dio non può essere limitato, iscritto nei confini delle possibilità umane.
Andrea viene citato un’ultima volta nel libro degli Atti in cui abbiamo il quarto elenco degli apostoli ed è, come negli altri tranne che in Marco, citato al secondo posto. Leggiamo che, dopo l’ascensione, tutti erano soliti riunirsi in una casa, in una stanza al piano superiore di essa: “Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui” (Atti 1.12-14).
Notizie successive non ce ne sono state trasmesse nel Nuovo Testamento, ma Eusebio di Cesarea, vissuto tra il 265 e il 340, considerato il primo ad occuparsi di storia della Chiesa, scrive che fu attivo in Asia Minore, lungo il Mar Nero, il Volga e a Kiev. Si tratta di un autore, Eusebio, i cui studi non sono accettati all’unanimità così come il suo racconto della morte di questo apostolo, tramite crocifissione a forma di “X” ancora oggi nota come “Croce di S. Andrea”.
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