02.01 – INTRODUZIONE A GIOVANNI BATTISTA (Marco 1.1-8)

Introduzione a Giovanni Battista (Marco 1.1-8)

Della persona e opera di Giovanni Battista parlano tutti e quattro gli Evangelisti che, in base base al loro carattere e agli scopi che si prefiggono, forniscono un quadro esauriente del profeta che segna lo spartiacque tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Gesù infatti disse, in Matteo 11.13, “…tutti i profeti e la legge hanno profetizzato fino a Giovanni, e se lo volete accettare, egli è l’Elia che doveva venire”. Si trattava di quell’Elia che gli israeliti attendevano quale profeta che avrebbe preceduto il Messia secondo Malachia 4.5: “Ecco, io vi mando Elia il profeta prima che venga il giorno dell’Eterno, giorno grande e spaventevole”; si tratta di un verso che riassume quel periodo iniziato con la venuta del Cristo e terminerà con il giudizio di Dio sul mondo. I riferimenti a Giovanni Battista, che secondo l’annuncio angelico avrebbe camminato “davanti a lui con lo spirito e la potenza di Elia” sono tanti; il significato del suo messaggio è semplice, ma al tempo stesso ha molte sfaccettature, difficili da affrontare esaurientemente anche in più incontri. Per presentarlo, è possibile iniziare dal racconto di Marco 1.1-8.

1 Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. 2Come sta scritto nel profeta Isaia:Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. 3Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri.4Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Marco è una persona che ebbe un’esperienza particolare: come Luca, non faceva parte dei 12 apostoli anche se, rispetto a lui, abbiamo più dati biografici. Non sappiamo se conobbe Gesù direttamente quando predicava, ma sicuramente era presente nell’orto degli ulivi quando fu arrestato ed è opinione consolidata che lui stesso si citi in un episodio che gli altri evangelisti omettono quando, 14.50-51, scrive “Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo”. Secondo l’uso degli ebrei che erano in contatto con romani e greci, è quel “Giovanni detto Marco” che Barnaba voleva prendere con sé prima di partire con Paolo verso la Macedonia (Atti 15.37). Sua madre Maria ospitava la Chiesa di Gerusalemme che aveva in Pietro uno degli uomini più autorevoli (leggere Atti 12.1-18).

Marco aveva già allora un rapporto molto diretto con Pietro, che lo definisce “figlio mio”, a tal punto da seguirlo a Roma, indicata dall’apostolo come “Babilonia” nella sua prima lettera in 5.13: “Vi saluta la comunità che vive in Babilonia e anche Marco, figlio mio”. Pietro, quindi, stante il rapporto con questo giovane, gli raccontò gli episodi di cui fu testimone spiegandogli i loro significati dottrinali, mettendolo in condizione di scrivere un Vangelo molto spontaneo e colorito che è il più breve dei quattro. San Girolamo, vissuto nella seconda metà del 300, padre e dottore della Chiesa che tradusse per primo la Bibbia in latino, scrive in proposito “Evangelium, Petro narrante et illo scribente, compositum est”.

Papia, vissuto tra il 70 e il 130, così scrive di Marco: “Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse accuratamente, ma non in ordine, tutto ciò che ricordava delle cose dette o fatte dal Signore. Non era lui, infatti, che Marco aveva visto o seguito, ma come ho già detto fu Pietro. E quest’ultimo impartiva i suoi insegnamenti secondo le necessità del momento, senza dare una raccolta ordinata dei detti del Signore, di modo che non fu Marco a sbagliare scrivendone alcuni così come li ricordava. Di una sola cosa infatti si dava pensiero nei suoi scritti: non tralasciare niente di ciò che aveva udito e non dire niente di falso”.

Marco scrive per far conoscere il Vangelo ai pagani: pochi i riferimenti profetici, poche le parabole e i discorsi, ma fatti circostanziati spesso non in ordine cronologico, con ritratti e particolari vivaci dei personaggi e degli avvenimenti in modo tale che possano essere ricordati facilmente. Marco è anche quello che più di tutti usa il termine “subito” o “prontamente” per descrivere le reazioni della gente che ebbe a che fare con Gesù. L’essenzialità dei suoi racconti, allora, appare adatta per presentare anche Giovanni Battista, introdotta con un verso che è sia di Malachia (3.1) che di Isaia (40.8).

“Ecco, dinnanzi a te mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via” è un verso che si richiama all’uso orientale di inviare dei messaggeri: quando una persona importante stava per mettersi in viaggio, li inviava ad avvisare i villaggi del suo passaggio per provvedere agli approvvigionamenti della scorta e per allestire la tenda per la sosta. La seconda parte, di Isaia, indica il luogo in cui la voce si sarebbe fatta sentire: il deserto, luogo in cui ci vuole un motivo per recarvisi e ancor più per viverci, come aveva fatto Giovanni Battista. “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”, è invece più particolare: lo abbiamo già incontrato tempo fa e allora lo avevamo messo in connessione col cammino del popolo che, di ritorno dall’esilio, aveva bisogno di chi spianasse la strada per rientrare nella propria terra, ma qui, per le parole di Giovanni che esamineremo, ha riferimento a un percorso interiore che ciascun uditore era chiamato a fare per ricevere Colui che stava per arrivare.

Quando si muoveva una personalità eminente, l’arrivo del messaggero in un villaggio provocava sempre scompiglio, turbava la sua quiete fatta di tutta una serie di eventi abituali: occorreva allora fare dei preparativi, cercare materiali, allestire cose. Allo stesso modo “Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati”, provocava inevitabilmente una profonda riflessione e sconvolgimento in coloro che lo ascoltavano e sceglievano volontariamente di farsi battezzare: confessavano i loro peccati non privatamente, ma pubblicamente.

Prima di esaminare il battesimo praticato da Giovanni, bisogna analizzare alcuni elementi suoi caratteristici. Sul vestito avevamo già accennato in precedenza; in particolare va rilevato che Elia vestiva allo stesso modo: “…domandò loro: «Qual era l’aspetto dell’uomo che è salito incontro a voi e vi ha detto simili parole?» Risposero: «Era un uomo ricoperto di peli; una cintura di cuoio gli cingeva i fianchi». Egli disse «Quello è Elia, il Tisbita»” (2 Re 1.7,8).

Ricordiamo che Elia non morì come tutti gli altri uomini, ma scomparve dalla vista del profeta Eliseo nel corso di un avvenimento che troviamo in 2 Re 2.11: “Mentre continuavano a camminare conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero tra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo” (2.11). Basandosi sulla profezia di Malachia era così opinione diffusa che quel profeta, assunto in cielo, sarebbe ritornato poco prima di quel giorno “grande e spaventevole” profetizzato. In realtà, quel giorno deve ancora venire e i suoi tempi sono descritti nel libro dell’Apocalisse 11.1-13. Ecco perché Giovanni, a quanti lo interrogavano chiedendogli se fosse Elia, rispose negativamente.

Giovanni vestiva in un modo che lo qualificava quanto ad abbigliamento, ma questo non dava teoricamente alcuna garanzia che fosse un profeta, poiché prima di lui erano giunti diversi personaggi che avevano preteso di essere Elia, se non addirittura il Messia. Testimonianza di ciò la dà lo stesso Gamaliele, maestro di Paolo, quando prese la parola davanti al Sinedrio di Gerusalemme che voleva processare gli apostoli:Tempo fa sorse Tèuda, infatti, che pretendeva di essere qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso, e quelli che si erano lasciati persuadere da lui furono dissolti e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo, ma anche lui finì male, e quelli che si erano lasciati persuadere da lui si dispersero. Ora perciò io vi dico: non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questo piano o quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma, se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!” (Atti 5.36,39).

Gamaliele in quell’occasione riassunse personaggi noti perché già falsi predicatori messianici erano sorti, sfruttando le attese del popolo per ottenerne vantaggi personali o fomentare ribellioni di cui a pagare non fossero loro, ma quelli che li seguivano. I predicatori messianici parlavano partendo dal presupposto che gli ebrei erano il primo popolo della terra, che avrebbero ottenuto la vittoria contro i romani e, raccolta gente attorno a loro, saccheggiavano quando potevano depositi di armi, si proclamavano re, si davano ai saccheggi, pretendevano di aver fatto miracoli o li promettevano, cercavano in tutti i modi di fare proseliti e tutto, presto o tardi, veniva represso nel sangue o si estingueva quando i loro seguaci capivano di trovarsi di fronte a battaglie perse in partenza.

C’è però un dato da considerare: nonostante tutti quei precedenti Elia era aspettato da tempo in Israele e, quando Giovanni iniziò a predicare, il popolo non rimase indifferente alla notizia, ma accorreva per vedere e sentire da vicino le sue parole, sperando che non fosse uno dei tanti impostori che lo avevano preceduto. Giovanni era cresciuto nel deserto rinunciando alla vita sociale, a un lavoro e quindi alla possibilità di mangiare in modo umanamente decente anziché le locuste e il miele selvatico che riusciva a recuperare, quello che le api producevano nelle cavità degli alberi o delle rocce. Era il suo uno stile di vita che manifestava l’intenzione di vivere alla completa dipendenza da Dio senza preoccuparsi di ciò che avrebbe portato il domani avendo la certezza che Lui avrebbe provveduto; atteggiamento ben diverso da quello del popolo ebraico antico che, liberato dalla schiavitù dell’Egitto, proprio nel deserto mormorava continuamente perché non riusciva a capire come avrebbe potuto trovare acqua e cibo, per non parlare di tutte le volte in cui rimpianse la vita che conduceva in quel Paese.

Giovanni inizia a predicare. Cosa? Vi è un annuncio base visto nelle parole “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Matteo 3.2) e leggiamo da Matteo “Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare nel fiume Giordano, confessando i loro peccati” (3.5). L’imperativo è “metanoièite”, cioè un invito a considerare non solo il proprio stile di vita, ma il pensiero e i sentimenti presenti nella persona di ciascuno per cambiarli. Tra i significati possiamo includere anche il “cambiare modo di pensare”. Il corrispettivo ebraico allude anche al ritornare indietro da una falsa strada per rimettersi su quella buona. La necessità del ravvedimento predicata dal Battista trovava il suo perché nella vicinanza del “regno dei cieli”, termine che usa solo Matteo (gli altri scrivono “regno di Dio”). “Regno” sta ad indicare un territorio, un insieme di cittadini che vivono tutti sotto una precisa autorità.

Giovanni Battista quindi, rinunciando a qualsiasi egocentrismo nel quale si erano crogiolati i suoi predecessori che agivano spinti dai loro interessi, predica la necessità del ravvedimento non come atteggiamento religioso, ma come esame profondo della propria vita e delle proprie opere per essere pronti, quando sarebbe venuto, ad accogliere quel “Re dei giudei che è nato” che i magi d’oriente erano venuti ad adorare. Chi fra quelli che andavano a lui erano disposti ad operare questo severo inventario della loro vita, lo facevano e “si facevano battezzare da lui nel Giordano, confessando i loro peccati” (Marco 1.5), cioè: la fede nelle parole di Giovanni, la certezza acquisita che il regno dei cieli fosse prossimo, li spingevano a dichiarare il proprio stato di peccatori attraverso una confessione pubblica e questo significava spesso rinunciare a quell’alone di rispettabilità che molti avevano costruito attorno a sé per essere considerati dal loro prossimo. I rispettabili tra il popolo, vale a dire scribi, farisei, sadducei e dottori della Legge, salvo eccezioni che non possiamo escludere, non andavano da lui, ma inviavano delle loro spie nei luoghi in cui predicava.

Alla confessione seguiva il battesimo, l’immersione nelle acque che stava a significare la purificazione del cuore, dichiarava la volontà di cambiare, di acquisire la cittadinanza di quel regno di Dio che stava per arrivare ed era così distante da quello degli uomini peccatori che appartenevano ad un regno diverso, un regno che non fa altro che opprimere e umiliare la persona da un lato e glorificare il monarca, un uomo peccatore al pari dei suoi sudditi.

“Regno dei cieli”, “Regno di Dio” in opposizione soprattutto a quello di Satana, che nel mondo domina e ha tutto l’interesse a che l’uomo si perda, illuso da quella realtà tangibile ai suoi sensi e che gli fa credere di essere immortale o comunque possessore di qualcosa. L’uomo illuso da Satana si rifugia in se stesso, nei suoi averi, nella sua “fede”, nel suo quotidiano convinto di poter disporre liberamente del proprio tempo escludendo la presenza di Dio nella sua vita né più né meno di quel ricco della parabola che Gesù espose in Luca 12.13-21.

In questa parabola, al di là di tutte le riflessioni sull’io di quell’uomo, colpisce il fatto che Dio pone chi si ritiene padrone di sé e delle sue cose di fronte a un termine: “Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”, il cui testo letterale dice “richiedono da te la tua anima”, temine che sta ad indicare tutto il suo essere, le sue intenzioni, i suoi progetti perché siano pesati, misurati, vagliati. Chi spiegherà molto bene con figure questo principio sarà più avanti l’apostolo Paolo in 1 Corinti 3.11-15: “Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco”. Viviamo in un periodo storico in cui, purtroppo, il cristianesimo predica un Dio amorevole, ma spesso omette di dire le Sue esigenze.

Altra parabola importante è quella della casa costruita sulla roccia (Matteo 7.24-29): tanto in questa che nella precedente è utilizzato il termine “stolto”, che indica chi ha poca intelligenza e si comporta in modo insensato.

Giovanni, con la sua predicazione, preparava il terreno con lo scopo di mettere in grado quanti lo ascoltavano di recepire il messaggio che sarebbe stato rivolto a loro da Gesù e di riconoscerlo.

Per ora abbiamo visto solo il senso generale del significato di quel “ravvedetevi”, che Marco ci ha riportato quale base di tutto un messaggio più profondo, rivolto a diverse categorie di persone, che esamineremo nel prossimo capitolo.

“Ravvedetevi perché il Regno dei cieli è vicino” va bene, ma c’è anche l’annuncio dell’imminente arrivo di una persona ben precisa:“Viene dopo di me Colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo” (v.8). È un verso che si divide in due periodi ben distinti e il primo riguarda il sciogliere e lacci dei sandali: si tratta di un’usanza molto antica che veniva praticata in pubblico quando una persona rinunciava a un proprio diritto per darlo ad un altro. È probabile che Giovanni si riferisse all’opera di Gesù, che consegnò con il suo sacrificio un popolo nuovo al Padre. Con questa espressione Giovanni spiega ai presenti che non era lui il Messia atteso, ma solo un suo messaggero, quello che l’autorità inviava nei paesi per avvisare del suo transito. Addirittura Giovanni, con l’immagine del sciogliere i lacci dei sandali, arriva quasi ad estraniarsi, annullarsi di fronte alla santità di chi sarebbe venuto dopo di lui, evidenziando la differenza dei ruoli: “Io vi ho battezzato con acqua, ma Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo”, parole che si compirono nel giorno della Pentecoste quando lo Spirito Santo scenderà sui membri della primitiva Chiesa di Gerusalemme in Atti 2.1-13.

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