01.15 – ANNA (Luca 2.36-38)

01.15 – Anna (Luca 2.36-38)

 

36C’era anche una profetessa, Anna, figliola di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, 37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal Tempio, servendo dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”.

 

Se Simeone si distaccava profondamente dagli altri uomini suoi contemporanei, Anna è il suo corrispettivo femminile, è fondamentalmente una persona che ha fatto una scelta, un personaggio i cui dati biografici sono più dettagliati dei suoi discorsi perché è importante accreditarla di fronte ai lettori del Vangelo e al tempo stessa dare un peso rilevante al significato delle sue parole ai suoi contemporanei. Cosa disse Simeone? Benedì Maria e Giuseppe, fece una profezia su cosa avrebbe rappresentato il loro figlio, ma fu comunque un avvenimento privato, mentre questa profetessa, conosciuta a Gerusalemme, che stava stabilmente nel tempio negli spazi che poteva occupare come donna, il cortile dei gentili e quello riservato alle donne, parlò di Gesù pubblicamente “a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”.

L’importanza di Anna, il cui nome significa “colei che beneficia della grazia di Dio”, è data anche dal fatto che è si colloca all’ottavo posto con nome proprio dopo le sette che contano i rabbini nell’Antico Patto. Di lei conosciamo il nome di suo padre, Fanuele (“volto di Dio”) e che apparteneva alla tribù di Aser, figlio di Giacobbe avuto da Zilpa schiava di Lea, che prima aveva partorito Gad. Ottavo figlio di Giacobbe, ricevette da lui una benedizione particolare: “Da Aser verrà il pane saporito, egli fornirà delizie da re” (Genesi 49.20). Entrato in Egitto assieme ai suoi fratelli grazie a Giuseppe, fu il capostipite della tribù omonima e Mosè lo benedisse con queste parole “Benedetto tra i figli è Aser, sia favorito tra i suoi fratelli e intinga il suo piede nell’olio. Di ferro e di rame siano i tuoi catenacci e quanto i tuoi giorni duri il tuo vigore” (Deuteronomio 33.24,25).

La tribù di Aser occupò una regione molto fertile dal Mediterraneo alle falde del Libano e si stabilì in mezzo ai cananei senza combatterli come avevano fatto altre tribù, quindi non respinse le tradizioni e i costumi delle popolazioni pagane, né partecipò a guerre anche se rispose all’appello di Gedeone contro i madianiti che avevano corrotto i costumi del popolo di Israele. Quando però si trattò di andare a Gerusalemme per celebrare la Pasqua secondo l’editto di Ezechia è detto che “Solo alcuni di Aser, Manasse e Zabulon si umiliarono e vennero in Gerusalemme” (v. 11).

Aser quindi sta a indicare un comportamento privo di una linea particolarmente coerente, che a volte fa compromessi con un mondo estraneo ai princìpi di Dio indebolendosi, che a volte ritorna per poi ancora spegnersi. Però, come sappiamo, gli “alcuni”, i “superstiti”, i pochi “giusti”, ci sono sempre e sono di benedizione per gli altri. Probabilmente è proprio per questo che Luca specifica a quale tribù appartenesse Anna, a ricordare che Dio aveva stabilito un patto anche con Aser e i suoi discendenti e che avrebbe conservato un rimanente fedele, come ha fatto a partire da Enos di cui in Genesi 4.26 è detto “E a Set – figlio di Adamo in sostituzione di Abele – ancora nacque un figlio ed egli gli pose il nome di Enos. Allora si cominciò a nominare una parte degli uomini nel Nome del Signore”. Da allora in poi il “rimanente fedele” non è mai venuto meno e così sarà fino ai tempi futuri descritti in Apocalisse 12.17 in cui si parla del drago, Satana, che se ne va a “far guerra contro il resto della sua discendenza – della donna –, contro quelli che custodiscono i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù”.

Anna ha una storia tutta particolare: si era sposata, come tutte le donne di allora ad un’età che poteva essere compresa tra i 13 e i 15 anni, ma era rimasta vedova dopo sette, quindi si era trovata sola tra i 20 e i 22, in giovane età, in una condizione che potremmo definire umanamente molto triste perché si era trovata priva del sostegno necessario proveniente dal marito. E qui abbiamo la prima scelta di questa donna: avrebbe potuto sposarsi nuovamente, liberandosi per lo meno dalle preoccupazioni economiche, ma non lo fece, preferendo fondare la sua esistenza sulle promesse che Dio aveva riservato alle donne nelle sue condizioni. Umanamente, razionalmente parlando, si trattava di lasciare una prospettiva di sicurezza che un secondo matrimonio poteva dare, per l’incerto. “Circoncidete dunque il vostro cuore ostinato – cosa ben più difficile della circoncisione ordinaria – e non indurite più la vostra cervice; perché il signore, vostro Dio, è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta i regali, rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito” (Deuteronomio 10.16-18). Salmo 146.9,10 recita “il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi”, senza contare la condanna per coloro che opprimevano questa categoria di persone.

Anna fece di più che affidarsi a una promessa di Dio, ma pose in atto, con fede inconcepibile per la mentalità per lo meno del mondo in cui viviamo oggi, un metodo di vita in cui perseverava da 84 anni, quindi ne aveva più di cento: stava là, nel tempio, senza lasciarlo mai, profondamente conscia del fatto che era lì, o meglio nel luogo santissimo, che Dio aveva la sua dimora per gli uomini. E lei era un essere umano. Dio abitava lì, era lì per lei.

Il Tempio aveva un spazio per i gentili, cioè i pagani, figura della loro futura ammissione al popolo di Dio, poi uno spazio per le donne, quindi per gli uomini, poi per i Sacerdoti, e infine per Lui stesso, in un perimetro in cui nessuno poteva entrare salvo il Sommo Sacerdote una volta all’anno.

Lei, definita “molto attempata” perché aveva superato i 100 anni, era praticamente risiedente

nello spazio dedicato alle donne e sicuramente col tempo si era guadagnata la stima e l’ammirazione di quanti lo frequentavano: da lì abbiamo letto che non si allontanava mai, avverbio che ci parla di una continuità assoluta, di pensieri ininterrotti e a lei, e a quelle come lei, pensava l’apostolo Paolo che, rivolto al suo discepolo Timoteo nella sua prima lettera, gli scrive “Colei che è veramente vedova ed è rimasta sola, ha messo la speranza in Dio e si consacra all’orazione e alla preghiera giorno e notte; al contrario, quella che si abbandona ai piaceri, anche se vive, è già morta. Raccomanda queste cose, perché siano irreprensibili. Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele. Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant’anni, sia moglie di un solo uomo, 1sia conosciuta per le sue opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene. Le vedove più giovani non accettarle, perché, quando vogliono sposarsi di nuovo, abbandonano Cristo e si attirano così un giudizio di condanna, perché infedeli al loro primo impegno. Inoltre, non avendo nulla da fare, si abituano a girare qua e là per le case e sono non soltanto oziose, ma pettegole e curiose, parlando di ciò che non conviene. Desidero quindi che le più giovani si risposino, abbiano figli, governino la loro casa, per non dare ai vostri avversari alcun motivo di biasimo. Alcune infatti si sono già perse dietro a Satana. Se qualche donna credente ha con sé delle vedove, provveda lei a loro, e il peso non ricada sulla Chiesa, perché questa possa venire incontro a quelle che sono veramente vedove” (5.5-16).

Anna aveva scelto un compito difficile: “servire Dio notte e giorno in digiuno e preghiere”, identificandosi in quelli che stavano “nella casa del Signore durante la notte” (Salmo 134.1) pregando e digiunando, termine che indica una profonda rinuncia poiché è esteso non solo al cibo, ma da quanto può distrarre l’essere umano dal suo rapporto con Dio. Si può praticare il digiuno in senso stretto rinunciando all’alimentazione, ma a nulla serve se non è preceduto dalla rinuncia, dall’astensione progressiva di quanto impedisce una comunione con Dio. Si può dire che ogni volta che scegliamo di dedicare del tempo a Dio per la nostra crescita spirituale, digiuniamo. Infatti c’è una via dei giusti e una via dei peccatori, una via di Dio perfetta che Davide chiedeva di conoscere (“Mostrami Signore la tua via, guidami sul retto cammino”, Salmo 27.11) e che Gesù esortò a percorrere quanti lo ascoltavano con un invito preciso: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa è la via che conduce alla perdizione, e molti sono coloro che vi entrano” (Matteo 7.11).

Tornando al testo, Anna arrivò probabilmente mentre Simeone parlava a Maria e Giuseppe: il verbo usato, epistràsa cioè “stando vicina”, “avvicinandosi” è indice quasi di contemporaneità, iniziò a lodare Dio parlando di quel bambino non a chiunque, ma a quel rimanente di Gerusalemme

che, animati dagli stessi intenti suoi e di Simeone, aspettavano la redenzione. Questi due personaggi non erano quindi soli, ma piuttosto erano i rappresentanti, coloro che meglio di altri attendevano e si dedicavano alla preghiera e alla pratica di vita scritturale. L’importanza di questo principio risiede qui: Dio tramite Anna non rivolse il Suo annuncio a delle persone – se può passare il termine – “perfette” come lei o Simeone, ma a uomini e donne di fede, che avevano fatto proprie le profezie dell’Antico Testamento, che sapevano e aspettavano. Uomini e donne che sapevano, non speravano soltanto. E alcuni hanno interpretato il verso conclusivo, “parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di – o più propriamente “in” – Gerusalemme” come un andarli a cercare nelle loro case. Di certo Anna era in relazione con loro, così come ancora oggi capita che i credenti si riconoscano l’un l’altro senza essersi mai visti. Possiamo ricordare le parole di Malachia 3.16-18: “Allora parlarono tra loro i timorati di Dio. Il Signore porse l’orecchio e li ascoltò: un libro di memorie fu scritto davanti a lui per coloro che lo temono e che onorano il suo nome. Essi diverranno – dice il Signore degli eserciti –un tesoro riposto nel giorno che io preparo. Avrò cura di loro come il padre ha cura del figlio che lo serve. Voi allora di nuovo vedrete la differenza fra il giusto e il malvagio, fra chi serve Dio e chi non lo serve”.

            Dopo questo suo parlare, Anna non è più nominata, come Simeone. Entrambi, come altri personaggi, sono un ponte tra l’Antico che stava per concludersi e il Nuovo che stava per arrivare. E resto sempre affascinato quando l’orologio di Dio, così incommensurabilmente distante, si china per scandire all’unisono con quello degli uomini, sue creature che ha voluto salvare, risparmiare dal loro altrimenti inevitabile destino di morte.

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