01.05 – La visitazione (Luca 1. 39-45)
“39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».”.
Luca, medico siriano e unico autore non ebreo degli scritti del Nuovo Patto, ci dà tratti interessanti sul carattere di Maria avvalendosi di piccoli particolari come quelli citati nel verso 39, “in quei giorni” e “in tutta fretta”. Nelle scorse riflessioni abbiamo visto che questa giovane non si spaventò quando vide l’Angelo, ma fu turbata dal suo saluto inusuale “Rallegrati, o favorita dalla grazia, il Signore è con te” (v. 28) “chiedendosi che senso avesse un saluto come questo” (v. 29). Gabriele la lasciò quando lei disse “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola”: non fu una frase da poco, perché Maria sapeva benissimo che, dichiarandosi “serva” del Signore e accettando il ruolo che le era stato proposto, avrebbe potuto morire per lapidazione come adultera qualora Giuseppe suo futuro marito l’avesse denunciata al tribunale rabbinico. Luca non dice che Maria che andò dalla cugina Elisabetta il giorno dopo, ma “in quei giorni”, cioè dopo aver pensato e ripensato a quanto le era stato detto; penso all’accenno a quel “trono di Davide” che sarebbe stato dato al figlio, “santo” e “chiamato Figlio di Dio”. Si trattava di definizioni e posizioni che non riusciva a capire e che la preoccupavano a tal punto che quell’ “andò in fretta”, rivelatore del suo stato d’animo, viene anche tradotto “assai pensierosamente”. Viaggiare da sola era cosa disdicevole per una donna nubile o fidanzata ed è molto probabile che Maria si recò da Elisabetta dietro consenso di Giuseppe al quale non parlò dell’annuncio dell’angelo.
Il viaggio di Maria non fu facile e dovette durare dai tre ai quattro giorni ed è giustificabile, a mio parere, solo con la sua volontà di capire concretamente il messaggio ricevuto ed Elisabetta era l’unico riferimento che aveva avuto da Gabriele. Era una caratteristica della futura madre di Gesù il memorizzare quanto le accadeva o non capiva per poi riesaminarlo una volta avuti più elementi: è un esempio anche per noi. Molte volte troviamo scritto che “Maria custodiva tutte queste cose nel suo cuore” e, recandosi da Elisabetta sua parente, sperava di avere dei ragguagli in più: aveva ricevuto anche lei un annuncio angelico? E se sì, cosa le era stato detto? Chi era la creatura che attendeva? In ogni caso era sua cugina l’unica persona con la quale potersi confrontare: cosa avrebbe potuto dirle, ad esempio, un dottore della Legge o un rabbi, o lo stesso Giuseppe? Il messaggio dell’Angelo era stato rivolto a lei e il suo promesso sposo aveva una parte limitata in quel Piano che le era stato annunciato: avrebbe fatto da padre al figlio che portava senza avere parte alcuna al concepimento. Esiste una profonda differenza tra Zaccaria e Giuseppe perché mentre il primo ebbe per figlio naturale un profeta, il secondo accettò il ruolo più di marito di Maria che di padre. Ricordiamo le parole dell’angelo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. (…) Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù” (Matteo 1. 20-25). Sono versi sui quali torneremo, ma la traduzione corretta dell’ultimo verso è “…e non la conobbe fino a quando partorì un figlio e chiamò il suo nome Gesù” (letterale) ed alcuni manoscritti arrivano a specificare “il suo figlio primogenito”.
Torniamo al nostro episodio: Maria entra in casa di Elisabetta; non esisteva un servizio postale che potesse essere usato per annunciare questa visita. Leggiamo che “appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il fanciullino le sussultò nel grembo”: non si trattava dei tanti movimenti che ogni madre conosce, fatti dal feto nell’utero che vengono descritti con l’espressione “tira i calci”, ma piuttosto di una manifestazione anomala che stupì Elisabetta a un punto tale che, prima ancora di chiedersi cosa stesse avvenendo, “fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce…”.
Pensiamo: stava avvenendo l’incontro tra le due madri dal ruolo più particolare nella storia della salvezza, quella del precursore del Messia e del Messia stesso; il sussulto che ebbe il futuro Giovanni Battista all’udire il saluto di Maria era già di per se stesso un segno. Teniamo presente le parole di Gabriele a Zaccaria, “sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre” (v.16): ciò non significava che il nascituro avrebbe avuto chissà quali poteri, ma sta ad indicare tutta l’attenzione che Dio avrebbe avuto nel separare ciò che di esclusivamente umano si stava formando da ciò che era invece santo, spirituale, salvifico in vista dell’opera che Giovanni avrebbe dovuto svolgere. È da questo principio che ebbe origine quel “sussulto” che mai prima di allora si era verificato. Certo Zaccaria era muto e sordo, ma questo non gli impediva di comunicare soprattutto a sua moglie che era stata informata, tramite la scrittura su coccio cerato o tavoletta di altro materiale, di tutto quanto riguardava lei e il figlio che portava.
Elisabetta parla con tono inusuale, “a gran voce”, a significare l’entusiasmo e la gioia spirituale che la pervasero e le impedirono di rispondere al saluto di rito “La pace sia con te”. Il parlare “con gran voce” ha connessione con le parole di Salmo 66.1 “Mandate grida di gioia a Dio, voi tutti abitanti della terra” e con Isaia 40.9 “Alza la voce, non temere, di’ alle città di Giuda «Ecco il vostro Dio”. Parlare con una forte intensità è una delle caratteristiche della gioia per cui, al di là dei contenuti espressi, è un particolare che dice molto sullo stato interiore della madre di Giovanni.
“Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” sono parole che nessuna donna avrebbe mai proferito ad un’altra, anche perché lo stato di Maria non poteva essere noto ad alcuno, forse neppure a lei stessa visto l’esiguo tempo trascorso tra l’annuncio angelico e l’inizio del suo viaggio verso Jutta, paese in cui pare abitassero i genitori di Giovanni Battista. Maria sapeva che un giorno si sarebbe ritrovata gravida, ma non quando. La voce greca “eulogheméne” ha un doppio significato, cioè “benedetta dall’alto” e “lodata fra tutte le donne” e inoltre, se facciamo riferimento all’ebraico, è la stessa espressione che troviamo nel cantico di Debora e Barak che recita “Benedetta sia tra le donne Jael, moglie di Heber, il Keneo! Sia benedetta fra le donne che abitano nelle tende” (Giudici 5.24). Ecco, qui abbiamo un riferimento – parlando di Maria – tanto all’elezione di Dio quanto alla risposta che diede al Suo Messaggero: si pose davanti a Lui come sua “serva”.
Istintivamente saremmo tentati di considerare quel “benedetto sia il frutto del tuo ventre” come un augurio, ma sbaglieremmo: piuttosto questa frase allude a una realtà che ricorda le parole di Dio ad Abrahamo dall’angelo dopo la prova del sacrificio di Isacco: “Tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza, perché hai ubbidito alla mia voce” (Genesi 22.18): Maria era quindi non “uno”, ma “lo” strumento nelle mani di Dio in cui, con le sue poche e semplici forze come altri prima di lei, aveva creduto.
Elisabetta chiede “A cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?”: sono parole che per la futura madre di Gesù dovettero avere un significato molto importante perché, dopo di queste, avremo il Magnificat. Elisabetta, tramite lo Spirito Santo, le conferma il ruolo fondamentale che avrebbe avuto, “la madre del mio Signore”, altra espressione che nessuna donna avrebbe mai usato nei confronti del figlio di una sua simile. Si può dire quindi che, con quelle parole, ci fu una profezia di lode per quel “Signore” che già Elisabetta sapeva esistere. Quel “mio signore” è molto indicativo e sta a sottolineare, come in tutti gli altri casi in cui fu usato – mi viene in mente Maria Maddalena e lo stesso Tommaso – un rapporto personale e al tempo stesso collettivo: Gesù è il Signore di ciascuno di noi, “mio” per l’unicità con cui mi parla, e di tutti coloro che hanno creduto, credono e crederanno in Lui. “Mio” e loro perché di certo le Sue parole vengono rivolte a me soltanto, ma a ciascuno secondo la Sua grazia e al modo col quale ciascun cristiano si pone di fronte a Lui. Solo nel momento il Signore è “mio” mi parla, e lo stesso fa con chiunque lo riconosce come tale. Salva e ama ciascuno individualmente.
Segue poi la prima beatitudine espressa nei Vangeli, “Beata è colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (v.45), che in un’altra traduzione leggiamo “…perché le cose dettele da parte del Signore avranno compimento”: le promesse di Dio infatti si possono dividere in due blocchi, quelle che necessitano del benestare dell’essere umano al quale vengono rivolte e quelle che si adempiono indipendentemente dalla sua volontà; pensiamo alla salvezza, possibile solo se la persona l’accetta credendo nel Figlio, e alle scadenze viste nel giudizio, nei grandi e terribili eventi che attendono l’umanità nel tempo della fine. Ebbene, Maria aveva creduto nell’annuncio dell’angelo Gabriele nonostante la sua titubanza e i suoi interrogativi sapendo che, come “favorita dalla Grazia”, sarebbe stata anche protetta da essa. Ricordiamo ancora cosa rispose: “Ecco la serva del Signore – giunge addirittura a parlare in terza persona – accada a me secondo la tua parola”. In tal modo Maria riconobbe tanto il messaggero quanto chi l’aveva inviato, la sua fu un’adesione piena e incondizionata e le parole della cugina bastarono a toglierle quel timore umanamente comprensibile che l’aveva spinta a compiere quel viaggio.
Se Elisabetta, spinta dallo Spirito Santo, pronunciò quelle parole, Maria aprì il suo cuore in un cantico conosciuto come il “magnificat” che esamineremo nella prossima riflessione.
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