01.01- Erode, Zaccaria, Elisabetta (Luca 1.5-6)
“5Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta”. 6Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore”.
Nella riflessione precedente abbiamo accennato a come, per iniziare la lettura dei Vangeli, siano possibili delle alternative al prologo di Giovanni citando Matteo e Luca: il primo inizia dalla dignità regale di Gesù con una genealogia che parte da Abramo e il secondo, dopo la dedica a Teofilo – Sommo Sacerdote in Gerusalemme dal 37 al 41 – e una breve introduzione in cui illustra i metodi di indagine che caratterizzeranno la sua opera, colloca storicamente il suo primo episodio, l’annuncio dell’angelo Gabriele a Zaccaria.
Con le parole “Al tempo di Erode, re della Giudea” Luca ci pone negli anni tra il 40 a.C. e il 4 d.C. ma dobbiamo tener presente che, quando si parla di date, queste non possono essere prese con assoluta certezza stante l’errore di calcolo che commise Dionigi il Piccolo nel 525 d.C.: monaco sciita in Roma, Dionigi venne incaricato da Papa Giovanni I di stabilire una data per la Pasqua che, fin dal III secolo, veniva ricordata in tempi differenti dalla Chiesa d’Oriente e da quella d’Occidente. Per questo calcolo, molto complesso in cui non entro nei dettagli, Dionigi il Piccolo non volle contare gli anni, come in uso a quel tempo, a partire dal giorno in cui Diocleziano salì al trono e lasciò scritto così: “Non vogliamo che nei nostri calcoli c’entri in alcun modo la persona di un persecutore, ma piuttosto che occorra prendere in considerazione la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo”. Dionigi stabilì così che il Salvatore fosse nato nell’anno 1 facendolo coincidere col 753 dalla fondazione di Roma, ma sbagliò di almeno quattro anni. Tenere presente questo errore è importante perché, consultando dei testi storici, ci potrebbero essere delle discrepanze che potrebbero disorientare.
Altra considerazione su “Al tempo di Erode” va fatta sul personaggio che, coi suoi eredi, domina la scena evangelica in una sorta di “dietro le quinte”, emergendo a volte in tutta la sua brutalità. Non è un personaggio che possiamo ignorare perché è il primo a venire citato storicamente dopo Teofilo, se iniziamo il nostro viaggio a partire da Luca.
“Al tempo di Erode” è allora la scena di apertura che allude ad un’epoca molto triste per gli ebrei: Israele si trovava sotto il dominio straniero ed era senza profeti da circa 430 anni, tanti sono quelli che separano Malachia, ultimo dell’Antico Patto che conclude il suo scritto con la parola “sterminio”, da Giovanni Battista, che funge da spartiacque tra Antico e Nuovo.
Capire Erode, che non fu migliore o peggiore rispetto ai tanti re, imperatori o “guide” che hanno governato regioni più o meno estese del pianeta in ogni tempo, è necessario anche se si tratta di una figura non certo edificante. Quasi tutte le notizie che abbiamo su di lui ci provengono da Giuseppe Flavio, storico nato nel 37 a.C. a Gerusalemme, autore delle “Guerre Giudaiche” e delle “Antichità Giudaiche”.
Il padre di Erode, Antipatro, era ministro di Ircano II re di Giudea membro della dinastia degli Asmonei e, col favore di Giulio Cesare, riuscì ad usurpare l’autorità del suo principe ed essere nominato amministratore della regione. Quando Antipatro fu assassinato nel 43 (o nel 44) a.C., gli successero i figli Fasaele, descritto come nobile e coraggioso che divenne governatore della Galilea fino al 40 a.C., ed Erode, cui fu data la Giudea con Gerusalemme. Erode, detto il Grande, fu un politico astuto che favorì prima Marco Antonio e poi, dopo la di lui sconfitta ad Anzio nel 31, fece subito visita al suo rivale Ottaviano a Rodi togliendosi la corona in sua presenza e giustificandosi dell’appoggio dato ad Antonio, ma gli venne restituita e, con decreto, gli fu riconfermato il potere con godimento di autonomia interna e di libertà dai tributi a Roma, restando a lei soggetto nelle questioni di guerra e di politica estera. A Roma salì così sul Campidoglio per offrire sacrifici di ringraziamento a Giove Capitolino.
Gli anni dal 37 al 25 furono utili ad Erode soprattutto per consolidare il suo potere e furono caratterizzati dalla fredda, sistematica eliminazione di chiunque avrebbe potuto contestare o contrastare la sua autorità; ricordiamo fra i tanti il sedicenne Aristobulo III che in precedenza aveva nominato sommo sacerdote, fatto affogare in una piscina; ricordiamo come sue vittime anche Giuseppe, marito di sua sorella Salome, Ircano II, la moglie Mariamme e la suocera Alessandra. La sua crudeltà, fondata su un’ambizione insaziabile, era notoria ed era circondato da intrighi e cospirazioni che lo fecero combattere per la sua stessa sopravvivenza.
Gli anni dal 25 al 13 furono dedicati alla promozione culturale del suo regno, finanziata soprattutto con le tasse: favorì il culto dell’imperatore e, per rendere grandiosa la celebrazione quadriennale che si faceva, provvide alla costruzione di templi in suo onore, teatri, ippodromi, palestre, bagni e nuove città. A Gerusalemme edificò un teatro, un anfiteatro, parchi, giardini, fontane, un palazzo reale e la fortezza Antonia per poi procedere, nel tentativo di ingraziarsi il favore del popolo, alla magnifica costruzione di quel Tempio che, quanto ai cortili, fu completato verso il 63 d.C., otto anni prima che le truppe romane lo distruggessero nel 70. Fuori da Gerusalemme costruì Sebaste in onore di Augusto, con un tempio a lui dedicato, Cesarea Marittima col porto; edificò fortezze tra le quali quella di Macheronte, in cui sarà imprigionato Giovanni Battista, e Masada. Nonostante fosse re dei Giudei – ricordiamo le parole dei Magi “Dov’è il re dei Giudei che è nato?” che lo sconvolsero – non riuscì mai a guadagnarsi il loro appoggio in quanto, essendo idumeo, era disprezzato salvo che dagli “Erodiani”, corrente politica citata da Matteo e Marco.
Abbiamo infine il periodo dagli anni dal 13 a.C. al 4 d.C. che furono caratterizzati da conflitti famigliari interni: aveva sposato dieci mogli e col tempo ne aveva ripudiate alcune assieme ai loro figli. Una reale preoccupazione gli venne dai due nati da Mariamme, Alessandro e Aristobulo, che uccise nell’anno 7 a.C. assieme a 300 ufficiali accusati di parteggiare per loro. La sua ultima malattia fu terribile: Flavio Giuseppe scrive “Tutto il suo corpo fu preda della malattia, diviso tra varie forme di mali; aveva una febbre non violenta, un prurito insopportabile su tutta la pelle e continui dolori intestinali, gonfiori ai piedi come per idropisia, infiammazione all’addome e cancrena dei genitali con formazione di vermi, e inoltre difficoltà a respirare se non in posizione eretta, e spasmi di tutte le membra” (Guerre Giudaiche 1, 656). Cinque giorni prima di morire fece uccidere il primogenito Antipatro, da lui già designato erede al trono. Mentre era malato si sparse la voce che fosse morto e immediatamente due legali giudei colsero l’occasione per incitare il popolo ad abbattere l’aquila d’oro che stava sul Tempio di Gerusalemme: Erode lo seppe e si vendicò ordinando che fossero bruciati vivi.
Si potrebbe osservare, dopo questo elenco di nefandezze, che quanto scritto mal si adatti ad una “lectio” che, per gli scopi che si prefigge, dovrebbe avere solo temi edificanti; credo però che anche i dati negativi siano utili per capire alcune circostanze anche perché, se così non fosse, i libri storici della Bibbia si limiterebbero a non illustrare le azioni dei personaggi di cui è detto “Fece ciò che è male agli occhi del Signore”. Erode, morto nell’anno 4, non può essere solo un nome legato alla strage degli innocenti, fatto di cui il solo Matteo parla probabilmente perché, a fronte dei crimini commessi e di cui ho riportato una parte, appare un episodio paradossalmente trascurabile: erano figli del popolo, di persone umili, “poca cosa” rispetto alla gente “importante” che fece uccidere.
Al nome di Erode, che significa “discendente da eroi”, si contrappone quello di Zaccaria, “Dio si ricorda” o “si è ricordato”, sacerdote “della classe di Abia”. Anche qui è importante sviluppare il personaggio, cosa che faremo nel prossimo studio, per ora limitandoci agli stretti dati che ci fornire Luca nei versi oggetto di riflessione.
Zaccaria apparteneva all’ottava classe sacerdotale discendente da Abia, uno dei 24 nipoti del primo sommo sacerdote di Israele, Aaronne, fratello di Mosè. L’istituzione delle classi sacerdotali risaliva ai tempi di Davide quando, dovendo organizzarle, “…assieme con Sadoc dei figli di Eleazaro e con Achimelec dei figli di Itamar, li divise in classi secondo il loro servizio. (…) La prima sorte toccò a Ioiarib, la seconda a Iedaia, la terza a Carim, la quarta a Seorim, la quinta a Malchia, la sesta a Miamin, la settima ad Akkos, l’ottava ad Abia… (…). Queste furono le classi secondo il loro servizio, per entrare nel Tempio del Signore secondo la regola stabilita dal loro antenato Aaronne, come gli aveva ordinato il Signore, Dio di Israele” (1 Cronache 24.3-19).
Zaccaria, come è scritto, “aveva in moglie una discendente di Aaronne, di nome Elisabetta”, cioè “Dio ha giurato”, oppure secondo altri “Dio è perfetto”: il figlio che sarebbe nato da loro non solo avrebbe avuto una discendenza autorevole tanto da parte di padre che di madre, ma sarebbe stato il risultato di un’unione che avrebbe implicato ricordo e giuramento, o ricordo e perfezione. Poiché i nomi sono indice di “predisposizione a”, ma non sempre garantiscono un reale compiersi del loro significato, ecco che Luca specifica l’atteggiamento interiore di entrambi i genitori, “giusti davanti a Dio, camminando in tutti i comandamenti e leggi del signore senza biasimo”: “biasimo” di chi? Così erano reputati dai loro simili, ma soprattutto “senza biasimo” erano considerati da quel Dio che servivano ciascuno secondo le proprie possibilità.
Diversamente dai farisei che incontreremo, che si ritenevano giusti ma Luca in 16.15 definisce “attaccati al denaro”, i due coniugi erano fiduciosi in Dio per il compimento delle Sue promesse ed erano sempre disposti ad essere guidati dalla Sua volontà. Il loro cioè non era un atteggiamento formale, ma simile a quello di Abrahamo, che “…credette a Dio e ciò gli fu messo in conto di giustizia”. Zaccaria ed Elisabetta quindi si distinguevano dagli altri loro contemporanei per una vita condotta in modo consono all’attesa del Messia promesso ad Israele, aspettavano e amavano la Fonte dalla quale sarebbe giunto un giorno.
Sono due gli atteggiamenti che una persona può assumere davanti a Dio, quando non lo rifiuta a priori: uno è formale e un altro profondamente interiore, come dimostrato nella parabola del giovane ricco, convinto di essere un “giusto” perché osservava i comandamenti fin dalla sua giovinezza, che però si ritrasse da Gesù nel momento in cui fu invitato ad abbandonare le sue sostanze per darle ai poveri e seguirlo (Marco 10.17-30). La Legge andava osservata, ma a nulla sarebbe servito senza l’amore per il Signore “con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.
Concludendo, Luca ci presenta tre personaggi: Erode, il “discendente da eroi”, uomo potente, gestore per il tempo concessogli di molte vite altrui, che scelse di servire se stesso finendo tra gli spasmi di una malattia implacabile, figura della “morte seconda”, quella vera, che avrebbe sperimentato. Qui viene in mente la frase che molti conoscono, ma su cui sorvolano: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?” (Luca 9.25). È il “se stesso”, tradotto anche con “la sua anima” che sopravvive alla morte che non è la fine di tutto, ma un passaggio che trova nell’oltre la retribuzione di ciò che avremo fatto in vita, in bene o in male. Chiediamoci quanti Erode esistano oggi, che vivono nel rancore, nel sospetto, nella dissolutezza e, pur non facendo uccidere gli avversari, li condannano alla morte civile. Erodi moderni, senza neppure le manie di grandezza suggerite della mitologia greca, che stringono e sciolgono alleanze per ingrandirsi ad ogni livello: politico, industriale, economico, criminale, poteri spesso intrecciati tra loro, ma che inevitabilmente dovranno constatare la propria rovina nel momento in cui scopriranno di avere sbagliato meta, prospettiva, finalità. L’amore per noi stessi non ci porterà mai da nessuna parte, saremo sempre e soltanto soli, magari senza rendercene conto.
Opposte al “discendente da eroi” abbiamo due persone che, al di là degli aspetti che vedremo, testimoniano che nessuna delle promesse di Dio mancherà di avere un compimento: “Dio si ricorda” e “Dio ha giurato”. Perché “Tutte le le promesse di Dio sono in lui – Gesù Cristo – sì ed Amen alla gloria di Dio, per noi” (1 Corinti 1.20).