05.52 – LA CASA SULLA ROCCIA (Matteo 7.24-28)

05.52 – La casa sulla roccia (Matteo 7.24-28)

4Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. 26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande». 28Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: 29egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.”.

Con questa parabola si conclude la redazione di Matteo sul discorso della montagna. Sono le ultime parole di Gesù alla folla con cui conclude la serie di insegnamenti che abbiamo visto finora per quanto rimanga da analizzare la versione di Luca che presenta particolari molto interessanti. Nostro Signore, con “chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica”, si riferisce quindi a tutto quello che ha detto nel suo discorso, fatto con un’autorità diversa da quella dei molti predicatori che i presenti avevano già ascoltato (v.29).

Matteo e Luca così si integrano perfettamente tra loro, riportando le realtà meteorologiche dei territori dai quali provenivano; scrive Luca (6.47-50 “Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. Chi invece ascolta, ma non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande” (Luca 6.47-50). Matteo conosce le piogge invernali in Palestina che formano improvvise correnti di acqua erodendo anche i fianchi delle colline. Il suolo viene spazzato via e con lui case che non sono state costruite sul terreno solido. Luca, invece, conosce di più la tecnica di costruzione greca negli stessi territori, che si realizzava con scavi profondi prima di passare alla realizzazione degli edifici.

Ancora una volta Gesù parla ai suoi uditori usando un termine che conoscevano molto bene, la “roccia”, che al di là di essere eloquente per la parabola, ha riferimento a Deuteronomio 32.4: “Egli è la roccia: perfette le sue opere, giustizia tutte le sue vie; è un Dio fedele e senza malizia, Egli è giusto e retto”. Lo stesso termine lo troviamo nelle parole pronunciate da Davide quando fu liberato da Saul e dai suoi nemici in 2 Samuele 22.2,3. In questo passo rileviamo, oltre alla “roccia”, altre caratteristiche che Davide aveva avuto modo di riconoscere in Dio: “Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo, mio nascondiglio che mi salva”. Da notare il fatto che la vittoria riportata è attribuita all’assistenza che YHWH gli aveva accordato e non al suo eroismo e invincibilità, come troveremmo in un poema profano di un altro popolo. Davide è un servitore, altri ne avrebbero fatto un superuomo, un eroe.

Quindi, per gli uditori di Gesù, fu subito chiaro che costruire “la casa sulla roccia” chiamava direttamente in causa il Creatore, Colui che veniva definito “Il Santo, che benedetto sia”. Matteo parla di “casa” e di “roccia”: ebreo, scrive per gli ebrei a cui bastano i due termini per capire molto di più rispetto ai lettori di Luca, che sceglie di scrivere indipendentemente dalla nazione di appartenenza dei suoi lettori.

Dobbiamo però andare alla base di tutto il discorso, e cioè la casa, che non è qualcosa che si sceglie di costruire, ma che si edifica inevitabilmente: “casa” come luogo in cui abitare, vivere, “casa” come figura di noi stessi, della nostra persona e quindi anima. Ricordiamo l’esempio, sempre fornito da Nostro Signore, sul demonio scacciato senza che la persona da lui abitata abbia provveduto a ravvedersi: “Quando lo spirito immondo esce dall’uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice «Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito». Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell’uomo diventa peggiore della prima” (Luca 11.24,25).

Ecco allora che Gesù, parlando di “casa”, intende la costruzione del nostro essere, della nostra persona(lità), di tutta la struttura che comprende anima e spirito, che può essere diversa, una volta incontratolo, da quella che avevamo prima. C’è chi, dopo questo incontro, la lascia invariata, chi la rinforza e chi addirittura ne costruisce un’altra ex novo tale sarebbe il dispendio di energie per ristrutturarla. E così ricomincia da capo, dopo aver fatto tabula rasa sulle nostre aspettative, relazioni sociali, interessi.

Riflettiamo un attimo sulla condizione in cui versa l’uomo naturale: dominato dalla carne, incapace di pensieri davvero spirituali, imposta la propria vita sulla base delle necessità che persegue, solitamente, con fermezza e volontà. Se però quest’uomo incontra a un certo punto della sua vita Gesù Cristo e ascolta, tramite la lettura del Vangelo o l’esposizione di una persona preparata e di esperienza, il Suo messaggio, scopre, attraverso i versi di Matteo e Luca che abbiamo letto, che le esigenze di Dio sono altre e che tutto quanto ha fatto finora è completamente inutile per la sua realizzazione di persona spirituale, non gli garantisce alcuna possibilità di sopravvivenza una volta abbandonata la vita che conosce. Scopre finalmente di essere incompatibile con Lui ed è costretto a cambiare, abbandonare, se non tutto, gran parte di ciò che possedeva, che gli apparteneva come essere unicamente carnale. E qui parlo del mondo interiore.

La “casa”, allora, va ricostruita o rivista radicalmente e qui si compie il miracolo in quell’uomo “saggio”: sceglie di costruire non più dove capita ma, trovata la roccia, edifica su di lei – specifica Luca – scavando “molto profondo”, cioè con fatica, ma anche col desiderio di apprendere ciò che fino ad allora gli era ignoto. Nella Scrittura infatti il termine “profondità” è sempre usato per indicare ciò che non può essere conosciuto, raggiunto dall’uomo carnale. Ricordiamo Paolo in Romani 11.33 “O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!”. Ricordiamo la benedizione – beatitudine espressa in Efesi 3.18: “…perché siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio”.

Ancora, nello scavo in profondità dobbiamo individuare la verifica puntuale, anche sulla nostra persona perché tutto parte da lì in quanto il peggior nemico lo troviamo proprio in noi stessi, nella nostra carne che vuole prevalere sempre sullo spirito. Ricordo le parole, più volte citate in queste riflessioni, che Dio disse a Caino sul peccato accovacciato alla porta e la necessità di dominarlo. A fine giornata, dovremmo sempre fare un inventario delle nostre azioni e scelte per verificare dove abbiamo sbagliato e farne tesoro per correggerle in futuro. Abbiamo gestito correttamente il rapporto col nostro prossimo? Quanto abbiamo dato del nostro tempo al Signore e abbiamo cercato la comunione con Lui? Abbiamo portato avanti Lui o noi stessi? Quanto ha pesato il nostro egoismo sulle nostre azioni? Lo abbiamo cercato? Il mattone, o la pietra che abbiamo posto per la nostra costruzione, è stato spirituale? Abbiamo difeso la sostanza, o l’apparenza? Dove siamo stati deboli e dove forti? Cosa abbiamo dato di noi?

Chi quindi costruisce saggiamente, sceglie la roccia come punto per ancorarvi le fondamenta e poi scava consapevole della loro importanza, perché senza di loro qualsiasi opera edile importante è impossibile. Le fondamenta hanno il compito di assorbire i carichi delle strutture in elevazione, trasmettere i carichi da loro al terreno e ancorare l’edificio al suolo: va da sé che una procedura costruttiva che rispetti questi criteri è destinata a durare nel tempo e a resistere alle forze ostili. Ricordiamo una frase dell’apostolo Paolo ai credenti di Corinto: “Nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Cristo Gesù” (1 Corinti 3.11). Inevitabilmente si parte da lì, se si vuole che la nostra costruzione regga. E va da sé che, se uno edifica su Cristo come roccia e fondamento, non userà fieno o paglia per materiale.

A questo punto Luca parla di una piena che arriva, ma non riesce a smuovere la casa, Matteo di pioggia, fiumi e venti che si abbatterono su di lei: molti tendono a vedere in questi elementi le avversità della vita ma personalmente, pur condividendo l’interpretazione, aggiungerei l’ultima prova che il cristiano si troverà ad affrontare, cioè la verifica che Dio farà sul suo operato. Ricordiamo che la casa costruita rappresenta di tutto il nostro essere: nelle fondamenta vedo quello in cui crediamo, i nostri valori; nella sua struttura ciò che abbiamo realizzato, i nostri progetti, le nostre azioni e la testimonianza che avremo reso, più che a parole, con i fatti che poi, alla fine, saranno i soli a parlare per noi. Così come leggiamo che “il fuoco farà la prova delle opere di ciascuno”, qui abbiamo la forza dell’acqua e dei venti che si abbatte sulla casa senza riuscire a smuoverla.

Le stesse forze si riversano sulla costruzione dell’uomo stolto, che ha edificato sulla sabbia (Matteo) o sulla terra senza fondamenta (Luca), ma con risultati diametralmente opposti. Da notare che entrambe sono case, apparentemente simili tra loro. Il nostro “bagaglio storico” è diverso, eppure ci accomuna. Il luogo in cui una persona dimora dice molto di lui, della sua personalità: all’interno pone ciò che lo interessa, la sua storia, i ricordi, si tende a realizzarla in un certo senso a nostra immagine. Può essere funzionale, essenziale, minimale, ordinata, disordinata, ma anche piena di soprammobili, alla moda, sfarzosa, studiata per impressionare chi vi entra, dare un’immagine. Una casa rivela noi stessi e i nostri scopi, la visione che abbiamo della vita.

Ebbene, la descrizione che dà Nostro Signore del destino delle due case è essenziale, privo di orpelli: “non riuscì a smuoverla” per la prima, “la sua rovina fu grande” per la seconda. Sono due dati di fatto, impossibile interpretarli diversamente. In un caso l’occupante continua a viverci dentro, nell’altro rimane senza un luogo, all’aperto, al freddo e non è più la casa ad essere esposta agli elementi naturali, ma lui stesso che tra l’altro non potrà incolpare nessuno della propria rovina. Si sarà fatto del male da solo. Tra l’altro, entrambi i proprietari occupano l’interno fino a un momento preciso, quello della prova finale rappresentata dagli elementi che si abbattono sulla loro dimora. Ed entrambi, fino a quel momento, si sentono al sicuro. Quando c’è un crollo, c’è sempre una ragione.

Chi ascolta le mie parole e le mette in pratica” è una frase che possiamo dire fu spiegata da Giacomo diversi anni dopo quando scrisse “Siate di quelli che mettono in pratica la parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi” (1.22): la stessa illusione di chi, costruendo sulla terra o sulla sabbia, era convinto di vivere tranquillo all’interno della propria dimora. L’illusione è quella condizione che ha caratterizzato la vita dell’uomo stolto ed è al tempo stesso il pericolo più grande in cui l’uomo può incappare; ricordiamo che Satana illuse Eva che, prendendo il frutto, sarebbe diventata come Dio ed in cambio ottenne la morte e la fine della sua dignità di essere spirituale. Anche lì la sua rovina fu grande.

Ma per noi, che viviamo la dispensazione della Grazia e non della Coscienza, l’illusione maggiore è quella di pensare che Dio sia tanto buono che alla fine perdonerà tutti perché l’inferno si trova su questa terra: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio?” (1 Corinti 6.9). A seguire, il verso prosegue con un elenco di persone nelle quali si individuano tutti coloro che avranno portato avanti esclusivamente loro stessi a danno di altri: immorali, idolatri, adùlteri, depravati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi, calunniatori, rapinatori.

Ecco perché, per evitare la “grande rovina”, Gesù invita i suoi uditori ad ascoltare e mettere in pratica le sue parole.

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