3.04 – Pescatori di uomini (Luca 5.1-11 con riferimenti a Matteo 4.18-22 e Marco 1.16-20)
L’episodio della chiamata dei quattro, Simone e Andrea con Giacomo e Giovanni è riportato dai tre sinottici ed è fondamentale considerarli nella loro unitarietà perché a prima vista, leggendo Matteo e Marco, si può essere indotti a pensare che questa sia avvenuta all’inizio del ministero di Gesù, dopo il suo battesimo e la tentazione nel deserto. La versione di Matteo, più essenziale, dice: “18Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 19E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». 20Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono” (Matteo 4.18-22).
Marco, dalla narrazione molto simile, aggiunge che “lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui” (1.2’), ma Luca, accurato redattore sulla base delle testimonianze che riuscì a raccogliere, colloca con precisione l’episodio ponendolo al termine di un percorso che Gesù compì da solo, dopo aver lasciato che i quattro tornassero al loro mestiere. Leggiamo infatti: “Egli però disse loro «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche nelle altre città; per questo sono stato mandato. E andava predicando nelle sinagoghe della Galilea” (vv.43, 44). C’è chi ha calcolato che questo sia stato un itinerario di predicazione durato dai tre ai quattro mesi, dopo di che ci fu il ritorno a verso Capernaum, che toccò Bethsaida, che tradotto significa “Casa del pescatore” o le sue immediate vicinanze. Qui comincia il quinto capitolo di Luca.
“1Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. 4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.”
Ricordiamo che l’itinerario scelto da Gesù per la sua predicazione, come abbiamo già visto nel suo passare per la Samaria, fu sempre compiuto per motivi di ordine spirituale, che non fece mai nulla a caso e che quindi il passare lungo le rive del lago avesse come scopo proprio quello di chiamare i primi quattro discepoli a seguirlo. Veniamo al contesto umano descritto da Luca: Gesù era ormai conosciuto e riconosciuto da molti che lo attorniarono per ascoltarlo. Per quelle persone comportarsi in quel modo non era inusuale essendo costume dei rabbini del tempo insegnare nei luoghi più disparati e chiunque poteva fermarsi ad ascoltarli, quando non erano nelle loro scuole. Le acque del lago di Galilea erano evidentemente molto calme e la scelta di scostarsi un poco da terra fu la soluzione per poter parlare alla gente che avrebbe potuto ascoltarlo meglio.
Anche qui non abbiamo il contenuto del discorso che Gesù fece alla folla, ma lo troveremo in parte nella sua “summa” riportata nel discorso detto “della montagna”: ciò che preme a Luca non è qui riportare gli insegnamenti del Maestro, ma descrivere come e perché Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, che fino ad allora lo avevano seguito nei suoi spostamenti occasionalmente, scelsero di lasciare tutto per far parte dei discepoli, che poi chiamerà “apostoli”, cioè “inviati, rappresentanti”, a tempo pieno. Tra loro esisteva già familiarità, i quattro sapevano chi era Gesù, erano già stati resi edotti su chi Lui fosse prima da Giovanni Battista prima poi e da Lui stesso; avevano visto dei miracoli come la liberazione dell’indemoniato nella sinagoga e la guarigione della suocera di Simone dalla febbre, lo avevano ascoltato – non sappiamo se tutti – nei due giorni passati coi samaritani e ora erano lì, non più a lavare le reti, ma a sentire i suoi insegnamenti con gli altri. Questo ci conferma che fosse mattino presto: i pescatori lavoravano di notte a motivo delle reti che usavano: erano spesse, del tipo a tramaglio cioè costituite da tre reti distinte che, se fossero state usate di giorno, sarebbero state viste dai pesci che le avrebbero potute evitare. Erano reti di corda, pesanti, adatte al fondale roccioso della zona, che andavano poi lavate una volta rientrati pena il loro marcire. E il lavoro dei pescatori era particolarmente duro perché non disponevano di attrezzi meccanici a motore, né di cerate a proteggerli dall’acqua come oggi. E le reti non erano di nylon.
Finito di parlare alle folle, le prime parole furono per Pietro: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”, una richiesta quanto meno curiosa. Simone aveva lavorato tutta la notte, lui e i suoi erano stremati e la risposta “sulla tua parola getterò le reti”, rivela la deferenza e il riguardo verso il suo futuro Maestro più che pensare a una buona riuscita della pesca, che la sua esperienza di esperto pescatore dava per impossibile. Da notare che Simone sapeva che, una volta gettate, quelle reti avrebbero dovuto essere lavate di nuovo con un conseguente, ulteriore dispendio di energie. Pietro sapeva che doveva esservi un motivo per quella richiesta, ma lo ignorava: agì “sulla tua parola”, cioè gli ubbidì senza addurre motivi di stanchezza dovuta alla fatica notturna e alla frustrazione dell’insuccesso che comunque gli fece presente. Oltretutto, era giorno e i pesci quelle reti le avrebbero sicuramente evitate. Simone, obbedendo alle parole di Gesù, fa qualcosa di umanamente e professionalmente irrazionale che può essere spiegato solo col termine con cui gli si rivolge, “Maestro” che, traducibile dal greco Epìstrata anche come “Guida”, “Uno che ha autorità sopra un altro”, che rivela i sentimenti che nutriva nei Suoi confronti. Se poi Pietro era stato presente alle nozze di Cana – nulla ci vieta di ipotizzarlo – implica sicuramente che si ricordasse di quell’ordine “riempite di acqua i recipienti fino all’orlo” apparentemente senza senso al pari di quella richiesta di gettare in acqua le reti. Pietro quindi, obbedendo senza discutere, compie un atto di fede: “Gettate le vostre reti per pescare”.
Fu allora che si rivelò non la conoscenza umana, ma quella di Dio: arrivò un banco di pesci, di quelli di cui hanno parlato scrittori più o meno antichi, tutti concordi nel descrivere il lago di Galilea come estremamente pescoso. Non solo ne parla Giuseppe Flavio, ma anche Henry Baker Tristram, storico naturale e viaggiatore vissuto nel 1800, che scrisse che quel lago era talmente ricco di pesce da avere dei banchi che a volte occupavano una superficie di circa 2,5 kmq. Difficile pensare che Simone e i suoi non lo sapessero; solo che i loro tentativi umani di quella notte non avevano prodotto alcun risultato, mentre bastò obbedire alla voce di Gesù per avere un esito ben oltre le loro aspettative. Questo fu il primo, diretto significato di quel miracolo. Il pesce era lì, c’era già, non fu creato sul momento apposta per loro, ma quei pescatori non potevano saperlo. Questo ci parla della quantità enorme delle cose che spesso non vediamo e continueremmo a non vedere se non ci affidassimo alle parole di Cristo e agli insegnamenti spirituali che abbiamo davanti. Non troviamo scritto che la pesca fu fruttuosa, ma che addirittura si trovarono in difficoltà a gestirla: “Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenni ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare” (vv.6,7).
Possiamo immaginare lo stupore e la meraviglia di Simone e degli altri, che erano professionisti, mentre cercavano di far fronte come potevano a tutta quell’abbondanza e questo portò Pietro a concludere che quanto avvenuto sarebbe stato impossibile senza che Gesù sapesse che avrebbero pescato così tanto. Non gli rimase che ammettere la propria condizione: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Conscio della sua inadeguatezza, il futuro apostolo ha una reazione che abbiamo già trovato negli scritti dell’Antico Patto che, dopo la creazione, praticamente si apre con l’incompatibilità dell’uomo con Dio una volta trasgredito il Suo unico comandamento. Adamo ed Eva infatti persero la loro innocenza e avrebbero trasmesso questa loro condizione a tutti quelli che avrebbero generato e così via in una catena. Ricordiamo Mosè, che quando Dio si presentò a lui è scritto che “…si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio” (Esodo 3.6), e Isaia stesso, i cui scritti sono fondamentali per individuare in Gesù il Messia promesso, che descrisse la sua reazione di fronte alla visione del Signore seduto sul trono e di tutta la Corte celeste: “E dissi «Ohimè, io sono perduto, perché sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure, eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti” (1.5).
Pietro era cosciente della propria condizione, di quanto fosse distante e piccolo di fronte alla santità di Gesù. “Signore – non più “Maestro” – allontanati da me – conscio della sua condizione di fronte a lui, ne ha paura e si sente profondamente inadeguato – perché sono un peccatore – quindi non degno della tua presenza –”. Simone temeva che, in quanto peccatore, la sua stessa vicinanza al Signore avrebbe potuto offenderlo, era conscio dei mondi, delle dimensioni che li separavano. Simone non alludeva a un peccato specifico commesso, ma alla sua intera natura fatta di peccato cioè di imperfezione, lontananza da Dio e incompatibilità con Lui a meno di una grazia, di un “favore immeritato”, di un’accettazione da parte Sua di cui dubitava fortemente. Certo aveva vissuto con Gesù dei momenti intensi, aveva visto dei miracoli, ma non si era mai forse posto il problema del perché di quelli, più attratto da quegli eventi e dalle reazioni dei beneficiati e dei testimoni, ma su quella barca le cose erano diverse: per la prima volta toccava con mano la realtà in un campo che conosceva benissimo, il suo mestiere. Capì senza saperlo, in una condizione di profondo turbamento emotivo, quello che Gesù dirà apertamente più avanti, “Senza di me non potete far nulla”. Simone e quelli che erano con lui leggiamo che non gioirono per il risultato di quella pesca come se fosse una vincita al lotto o similari, ma ne furono spaventati, capendo che quanto stava avvenendo non rientrava nell’ambito di fatti che, pur eccezionali, potevano sempre accadere in quel lago: era qualcosa di incomprensibile avvenuto dietro l’ottemperanza ad un semplice ordine ricevuto. Ma in Salmo 8.7-10 leggiamo “Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto ai suoi piedi: tutte le greggi e gli armenti e anche le bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, ogni essere che percorre le vie dei mari. O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!”.
È molto importante a questo punto precisare una differenza che si riscontra nei sinottici: in Luca Gesù dice a Pietro, spaventato, “Non temere, d’ora innanzi sarai pescatore di uomini”, ma Matteo e Marco scrivono “Seguitemi, e vi farò pescatori di uomini”. Perché? La frase di Luca fu detta a Simone quando erano sulla barca alla presenza, oltre che del futuro apostolo, di Andrea suo fratello e di altri perché su quei mezzi l’equipaggio era solitamente composto da quattro persone. Luca ci riporta quindi una chiamata individuale. “Non temere” sappiamo essere un’esortazione che nella Bibbia compare 365 volte: ogni giorno porta la sua pena, ogni volta abbiamo questa esortazione. Col diventare “pescatore di uomini” poi viene prospettato a Simone il suo futuro che si sarebbe realizzato attraverso la predicazione e il governo della Chiesa in Gerusalemme e poi in Roma, anche se da qui a vederlo come Papa o “Vicario di Cristo in terra” ce ne corre.
Restavano Andrea, Giacomo e Giovanni che non potevano certo essere esclusi dall’invito a seguirlo, che si verificherà una volta arrivati a riva. Con quella chiamata esplicita, Gesù li pose di fronte a una scelta tra l’approfittare del guadagno che avrebbe rappresentato tutto quel pesce o il rinunciarvi per una vita diversa, cosa che avvenne consapevolmente e senza dubbi: “Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Luca), mentre per Giovanni e Giacomo “soci di Simone” è detto che “Subito lasciarono la barca e il loro padre, e lo seguirono”. Non lasciarono quindi Zebedeo in difficoltà, perché aveva dei dipendenti e avrebbe rimpiazzato i figli con altri, cioè il loro non fu un abbandono irresponsabile.
Si può allora concludere l’episodio con due considerazioni che, per la personale esperienza avuta nella Chiesa, mi sento di fare: la prima è che i quattro accettarono di seguire Gesù e che Lui stesso rivolse a loro l’elezione dopo che ciascuno di essi aveva compiuto un percorso individuale e profondo. Egli dette loro il tempo per vedere, ascoltare, lasciare che sedimentassero i facili entusiasmi, analizzare i sentimenti che provavano e soprattutto, riflettere. Non li assillò, non li costrinse, non fece su di loro alcun lavoro di “marketing psicologico” attivo o passivo perché la scelta di seguire Cristo non può essere condizionata da facili impulsi sopravvalutando le proprie forze, ma da un confronto tra quello che può essere la vita con Lui o senza, tra l’andare avanti a pescare conoscendo i successi e gli insuccessi del mestiere, il condurre una vita benestante destinata un giorno a conoscere il suo termine, o diventare dei “pescatori di uomini”.
Seconda considerazione: cosa vuol dire oggi per il cristiano essere “pescatore di uomini”? In molte Chiese si pensa che sia la predicazione all’esterno il dovere di ogni credente, ma così facendo si rischia di fare dei proseliti, mentre credo che siamo chiamati a “pescare noi stessi” per primi, pur avendo già creduto ed essendo stati già salvati. Non si diventa pescatori senza un lungo tirocinio, senza acquisire conoscenza e soprattutto esperienza. Non esiste persona uguale all’altra, ciascuna ha attitudini precise e soprattutto funzioni diverse, come illustrato dal paragone col corpo e le sue membra: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte”. (1 Corinzi 12.12-27)
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