02.04 – LA TENTAZIONE NEL DESERTO I/II (Matteo 4.1-11)

La tentazione nel deserto I/II (Matteo 4.1-11)

1 Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». 5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». 7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». 8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». 11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

 

Questo episodio è narrato dai soli sinottici. Giovanni, dopo il battesimo di Gesù, passa a raccontare l’incontro con Filippo, fratello di Andrea, che diventerà suo discepolo. Marco accenna solamente a quanto abbiamo letto usando le parole “E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano” (1.12.13. Luca, salvo un piccolo ma non trascurabile particolare che vedremo alla fine, è simile al racconto che abbiamo letto.

Riflessione preliminare: Satana è un nome a lui attribuito che ne designa la qualifica, il compito, e significa “l’avversario”. Di lui parlano il profeta Ezechiele (che ci racconta le sue origini e del ruolo che rivestiva fino a quando non si ribellò a Dio) e il libro di Giobbe nei cui primi due capitoli di Giobbe sono narrati i dialoghi tra Dio e il Tentatore tesi a provare questa persona che, per giustizia e riguardo al suo Creatore, aveva un comportamento irreprensibile. Dio disse di lui all’Avversario “Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra, timorato di Dio e lontano dal male” (1.8).

Giobbe, per quei tempi e a differenza di Gesù, testimoniava con la sua ricchezza che le benedizioni di Dio erano sopra di lui stante il modo con cui si comportava rendendo grazie per ogni cosa, pregando continuamente per i suoi figli perché forse con il loro comportamento potevano avere fatto qualcosa di sgradito a Dio ed usava pietà verso il suo prossimo. Gesù, figlio di Dio e Dio stesso, venuto con una missione precisa, aveva fino ad allora esercitato la propria sottomissione alla Legge, fatto il suo primo atto pubblico ricevendo il battesimo di Giovanni ed era stato annunciato agli uomini con la discesa dello Spirito Santo sotto forma di colomba. Era figlio di Dio, ma anche uomo. E per questo Satana aveva chiesto che fosse provato (più avanti Gesù dirà ai suoi discepoli “Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano”).

L’avversario, dal latino adversus, è colui che si oppone a qualcuno o a un progetto, e fa tutto ciò che è in suo potere per conseguire una vittoria su di lei. In questo caso Gesù si trovò di fronte alla stessa persona che, profondo conoscitore dell’animo umano e delle sue debolezze, fu in grado di porre le strategie più opportune per rovinare irrimediabilmente, anche se fino a un tempo stabilito, il progetto che Dio aveva in origine per l’umanità di cui Adamo ed Eva erano i capostipiti. Così farà anche dopo, contrapponendo costantemente all’uomo desideroso di percorrere i sentieri del Bene, persone intente a seguire quelli del Male o comunque alternativi a quelli di Dio, come da Caino in poi. Nel nostro caso si tratta di un personaggio, l’Avversario, che aveva tutto l’interesse al fatto che anche solo una delle tentazioni da lui ordite avesse successo perché, in qual caso, la “progenie della donna” non gli avrebbe potuto schiacciare il capo. In pratica, se una sola delle tentazioni fosse andata in porto, Gesù non avrebbe più potuto essere l’Agnello di Dio, perché non innocente e senza difetto né macchia, e neppure avrebbe potuto togliere il peccato del mondo perché avrebbe perso, esattamente come il capostipite della razza umana, l’innocenza. E non a caso Gesù è definito “l’ultimo Adamo”. Infatti: “45il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. 46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. 47Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. 48Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. 49E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste. 50Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l’incorruttibilità” (1 Corinti 15.45-50). La traduzione corretta del verso 1 è “Allora Gesù fu condotto nel deserto dallo Spirito per essere tentato dal diavolo (lett. Avversario/ingannatore)”, che pone l’accento su uno scopo preciso: venire provato prima di iniziare il suo ministero. Il tempo che Gesù passò nel deserto viene contato in quaranta giorni, numero che indica un periodo e non necessariamente una quantità precisa: ricordiamo il diluvio, in cui piovve per 40 giorni e altrettante notti (Genesi 7.4), Noè che aprì la finestra dell’arca dopo 40 giorni (Genesi 8.6), i giorni in cui Mosè rimase sul monte (Esodo 24.18), Elia, che camminò per lo stesso tempo (1 Re 19.8), i 40anni nel deserto del popolo di Israele, condannato a non trovare la strada per l’idolatria commessa e la fede, praticamente nulla, dimostrata.

Il tempo di Gesù nel deserto non fu facile, tormentato dalla compagnia del tentatore che, se leggiamo i particolari del testo, non rimase lì ad aspettare che il suo bersaglio avesse fame: ci fu tutta una serie ininterrotta di tentazioni di cui sono citate solo le più rappresentative; il numero tre sta ad indicare “tutto il possibile” e solo alla fine Luca scrive “Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato”. Dopo aver esaurito ogni tentazione, cioè dopo avere fatto tutto ciò che era in suo potere per farlo cadere. E “Fino al momento fissato”, cioè alla croce, quando potrà ferire la progenie della donna al calcagno con la morte.

Il racconto di Matteo differisce da quello di Luca per la cronologia delle tentazioni, che sono però le stesse: Matteo mette nell’ordine (1) le pietre che avrebbero potuto diventare del pani, (2) il gettarsi giù dal pinnacolo del tempio e (3) i regni della terra, Luca inverte la 2 e la 3, ma ciò non cambia il senso delle iniziative portate avanti da Satana che, conoscendo l’umanità di Gesù, lo tenta nel modo più naturale, cioè lo prende per fame. C’è un particolare molto interessante visto nel modo con cui inizia il suo discorso: “Se tu sei Figlio di Dio”, cioè lo definisce allo stesso modo con cui il Padre lo presentò al battesimo di Giovanni, “Questi è il mio Figlio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento” (Matteo 3.17), segno che, tra i tanti presenti, c’era anche lui. Ricordiamo ancora una volta il libro di Giobbe quando, alla domanda “Da dove vieni?”, Satana rispose “Da un giro sulla terra che ho percorso”. La terra, corrotta dal peccato, non può che essere il luogo ideale per questo essere che sta scritto “Si aggira come un leone che ruggisce cercando chi poter divorare”.

La prima tentazione fu quella per fame, cioè quella che coinvolgeva l’immediatezza umana di Gesù: fisiologicamente non gli era possibile sottrarsi alla necessità di mangiare e non aveva modo di soddisfarla. Dopo un lungo periodo senza alimentazione, la sensazione di fame si trasforma in uno stato progressivamente più grave, fino a diventare acutamente dolorosa. Satana non gli andò incontro, non comparve davanti a lui all’improvviso, ma gli si accostò, cioè gli andò vicino gradualmente quasi a non volerlo apparentemente disturbare per porsi nel modo più naturale possibile: “Se tu sei Figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pani”, cioè in altri termini: “Visto che sei stato presentato come l’amato Figlio, puoi benissimo saziarti compiendo un miracolo”.

L’Avversario sapeva benissimo chi era Gesù e non chiede un miracolo per credere in Lui, ma cerca di sfruttare la Sua fame per indurlo a volgere a suo vantaggio il Suo essere Figlio di Dio compiendo un miracolo per sé, cosa che non fece mai. Vero è che nel testo evangelico leggiamo episodi apparentemente inspiegabili, come ad esempio quando a Gerusalemme volevano prenderlo per lapidarlo in cui è scritto “…ma egli sfuggì dalle loro mani” (Giovanni 10.39) oppure quando, prima di catturarlo, “indietreggiarono e caddero a terra” (Giovanni 18.16), ma questo è da attribuire al fatto che era stabilito un solo momento perché fosse dato “in mano agli uomini” e non altri.

Se Gesù avesse compiuto il miracolo del mutare le pietre in pani, avrebbe perso la sua identificazione con l’uomo che certamente non avrebbe potuto fare una cosa simile. Sappiamo infatti che Nostro Signore non fece mai un miracolo per sé stesso, come vediamo dalle parole di quelli che, di passaggio, lo insultavano quando era già sulla croce: “Tu che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce”; ricordiamo le parole degli scribi, degli anziani e dei capi sacerdoti: “Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso. È il re d’Israele, scenda dalla croce, e crederemo in lui” (Matteo 27.39-42).

Tornando alla prima tentazione, Gesù risponde citando Deuteronomio 8.3: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. C’è nutrimento e nutrimento, per la vita dell’uomo: quella materiale ha bisogno del pane, ma per vivere degnamente e in prospettiva, per ricuperare il proprio essere, l’uomo non può fare a meno della Parola di Dio, anzi, di “ogni parola”. L’uomo che vive di solo pane basa la propria vita su una realtà che crede sia l’unica, non avendo il coraggio di ammettere che questa è temporanea, illusoria, la stessa che videro i nostri progenitori provandone un’immensa vergogna.

Ecco allora che aggrapparsi a quell’”Ogni parola che esce dalla bocca di Dio” equivale a riappropriarsi di quell’eredità perduta che in realtà abbiamo parzialmente recuperato quando siamo divenuti figli di Dio avendo accolto Gesù nella nostra vita, ciascuno secondo le capacità e i talenti ricevuti. Spesso si pensa che, per ottenere la vita eterna, si debbano fare chissà quali opere perfette e grandi e ci si dimentica che il miracolo primario è già avvenuto: da peccatori, siamo stati fatti figli di Dio e siamo chiamati a gestire la vita terrena prendendola come un cammino illuminato dalla Parola che deve avere la precedenza sul quotidiano.

Andiamo ad esaminare il contesto del verso citato da Gesù leggendo Deuteronomio 8,1-5: 1 Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandi che oggi vi do, perché viviate, diveniate numerosi ed entriate in possesso della terra che il Signore ha giurato di dare ai vostri padri. 2Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. 3Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. 4Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni. 5Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore, tuo Dio, corregge te.” Per approfondire il discorso sulla manna, Esodo 16

La citazione del verso che Gesù cita a Satana, allora, a parte le osservazioni fatte, aveva un significato ancora più chiaro: sfamandosi con quel pane che gli veniva suggerito di procurarsi trasformando le pietre, Gesù avrebbe commesso un’azione autonoma, slegata dal Padre, il solo che avrebbe potuto provvedere a Lui: se ci fosse stata la trasformazione delle pietre in pani, Satana avrebbe vinto.

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