16.15 – La parabola dei due figli (Matteo 21. 28-32)
28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna». 29Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.
Si tratta di una parabola riferita dal solo Matteo, ma che seguì immediatamente le parole di Gesù “Neppure io vi dico con quale autorità faccio queste cose” (21.27), risposta che tutti, detrattori, discepoli o incerti avevano ascoltato. Allo stesso modo, anche i “due figli” qui raffigurati rappresentano, come vedremo, le categorie presenti nel cortile dei Gentili, gli uditori di Gesù e quelli che avevano già stabilito di ucciderLo.
Una delle chiavi di lettura dell’episodio è proprio nelle prime quattro parole, “Che ve ne pare?”, che costituiscono una domanda che Gesù rivolge ai suoi inquisitori (e all’uditorio fuori dal portico) alla quale non avranno difficoltà a rispondere, rivelando la loro posizione spirituale e l’evidente rifiuto al messaggio che Dio aveva dato al popolo tramite Giovanni Battista.
La vigna è il luogo di lavoro in cui il padre vuole mandare i due figli: non sono operai pagati, ma persone che di quel terreno fanno parte e un giorno avrebbero ereditato.
La vite è una pianta che richiede molta cura fin dall’inizio in quanto, crescendo, non riesce a sostenersi da sola, ma ha bisogno di arrampicarsi su dei supporti. Quando si prende il terreno per piantarla occorre sia chimicamente adatto, organizzare i filari, studiare il modo di disporre le piante in base al tipo di territorio; va poi concimata, innaffiata, potata in inverno sapendo quando per evitare le gelate e farlo con accuratezza perché se si lasciamo molte gemme l’uva avrà un basso potere zuccherino; poi anche d’estate vanno eliminati i germogli che non portano frutto, asportati i loro apici, eliminate le foglie a contatto con i grappoli e, infine, c’è la vendemmia.
C’è un testo che riporta “Figlio, va’ a lavorare oggi nella mia vigna” e credo che il possessivo sia importante, che permetta a chi legge o ascolta di avere già l’idea del distinguo che viene fatto nel senso che terreno e piante appartengono al padre anche se desidera che, con lui tutti, i due figli possano godere un giorno del frutto del loro lavoro. Abbiamo poi “oggi”, che indica una volontà precisa da parte di quell’uomo, conoscitore dei tempi e dei momenti per intervenire.
Lavorare nella vigna quindi non è qualcosa che si possa fare per passatempo, ma richiede impegno perché, nel linguaggio parabolico, è figura del regno di Dio o di quanto a lui collegato. Bene, esaminiamo ora il comportamento del primo figlio, che alla richiesta rivoltagli risponde negativamente: non ne ha voglia, preferisce occuparsi di altro, sue faccende che lo interessano sicuramente di più perché impegnarsi per qualcuno o qualcosa è sempre meno attraente che farlo per se stessi. Eppure, dopo un tempo che non possiamo quantificare, ma sempre nell’arco della giornata, “si pentì e vi andò” pensiamo non svogliatamente, ma dopo una riflessione: non riteneva giusto né non lavorare, né fare torto al proprio padre.
Quindi, il primo figlio ripensa al suo comportamento, alla risposta data e si pente, parola greca metameletheìs che sta a indicare un cambio nei sentimenti e nel comportamento, la stessa impiegata per indicare l’agire di coloro che accorrevano a Giovanni Battista per farsi battezzare obbedendo a un impulso interiore dato da quel pentimento che la Legge di Mosè, quanto al cerimoniale, non richiedeva. Chi sbagliava di certo pagava, ma col sacrificio anche se il pentimento sicuramente poneva il peccatore su un piano ben diverso dal mero assolvimento della forma. Sappiamo che l’immedesimazione nell’attesa del Messia provocava un pentimento che si concretava nella confessione pubblica dei peccati a riprova della loro volontà di immedesimarsi, di voler rientrare nel piano di Dio che veniva loro annunciato, “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (3.2).
Il secondo figlio, invece, animato dagli stessi intenti del primo, cioè vivere di rendita o occuparsi della vigna saltuariamente, non rifiuta apparentemente l’ordine, anzi la versione greca dell’episodio ha un impianto particolare perché questo non dice “Sì, signore”, ma “Io, signore”, che pare molto più ipocrita di una semplice riposta affermativa: “Io” sono quello che ci va, “Io” sono quello che risponde subito e fa ciò che tu vuoi. È un “Io“ enfatico che ci porta direi immediatamente all’ “Io” di quel fariseo che, pregando nel Tempio al confine tra il cortile degli uomini e quello dei sacerdoti, ringraziava Dio perché non era “come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri e neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo” (Luca 18.11,12).
Questa persona, quindi, con il suo “Io, signore” è convinta di avere la benevolenza del padre solo per aver risposto così, non preoccupandosi minimamente del fatto che certo il suo genitore avrebbe saputo che nella vigna non vi era andato. Per questa persona fare quello che voleva il proprio padre non era importante, ma l’unica cosa cui teneva era continuare a fare i propri comodi mantenendo la veste di figlio ubbidiente e prediletto. Anche qui c’è un altro verso, riferito agli scribi e farisei, “Osservate – che non è un imperativo, ma la descrizione del presente – tutto ciò che vi dicono, ma non agite – questo sì che è un invito – secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno” (Matteo 23.2).
Quante persone conosciamo che, magari da noi interpellate in un momento di bisogno, danno la loro disponibilità salvo poi non farsi più sentire o trovare? Ne ho conosciute molte, e da quelle mi sono allontanato non perché permaloso o ritenga la mia persona importante, ma in quanto con l’ipocrita non è possibile alcun rapporto costruttivo, anzi è solo fautore di negatività e come tale contaminante. E la disponibilità negata è più sincera di quella data prontamente, ma che poi scompare.
Ora a questo punto la domanda di Gesù fu “«Quale dei due fece il volere del padre?» ed essi risposero: «Il primo»”. Fu un interrogativo ben diverso da quello sul Battista, di fronte al quale farisei, capi dei sacerdoti e scribi non potevano rispondere senza autoaccusarsi, e la risposta venne fuori immediata, quasi senza pensarci sopra, non calcolando che conteneva una soluzione semplice a quanto chiesto prima: chi aveva risposto all’appello di Giovanni Battista? Gesù non parla – ad esempio – dei soldati o delle persone semplici tra il popolo che si erano fatti battezzare, ma della detestata categoria dei “pubblicani e prostitute (che) gli hanno creduto”. E attenzione perché a parlare di “prostitute” è Gesù, che conosce i cuori e le azioni occulte degli esseri umani.
In altri termini, “pubblicani e prostitute”, nel loro essere così lontani dal comportarsi come richiesto dalla Legge e dai farisei, arrivati al punto del richiamo con un messaggio di ravvedimento perché stava per arrivare uno ben più che profeta, furono sensibili e andarono a lavorare nella vigna facendo il primo passo, cioè credere al messaggio loro proposto e “pentirsi” esattamente come aveva fatto il primo figlio del proprietario di quel terreno. Anche il pentimento di quelli – che fu un ripensare alle azioni commesse e trovarsi in difetto – non è che sconvolgesse le loro coscienze, ma era quello che bastava, né più né meno, per fare, agire secondo ciò che chiedeva Dio in quel momento. Le prostitute smisero di fare il loro mestiere e i pubblicani di frodare il loro prossimo facendo la cresta sulle tasse per il governo di Roma, accontentandosi della loro percentuale.
Per quelli c’era il battesimo del ravvedimento in attesa della venuta di Gesù al quale poi sarebbe seguito l’ascoltarlo e accoglierlo per determinare il proprio destino spirituale. Per questo “vanno innanzi a voi nel regno dei cieli”, cioè vi precedono, quando voi non vi ponete il problema perché vi ritenete già nel giusto, date per scontato che ciò che fate è santo e per il bene del popolo ma, non guardando mai dentro voi stessi, non vi accorgete che pubblicani e prostitute entrano per la porta stretta, mentre voi rimarrete fuori.
“Giovanni venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto”: Gesù risponde per loro alla domanda esaminata nella riflessione precedente: non era accettabile il loro “non lo sappiamo” perché non era vero, erano andati ad ascoltarlo per spiarlo, addirittura tramite i loro inviati da Gerusalemme gli avevano chiesto chi fosse e disse “Io sono voce di uno che grida nel deserto: rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia” (Giovanni 1.22). Furono parole dalle quali, con tutta la loro scienza nelle scritture, non riuscirono a trarre alcun insegnamento, a differenza dei pubblicani e delle prostitute che non ci misero molto ad abbandonare un modo di vivere come se Dio non li vedesse, non esistesse.
Quindi, anziché “non lo sappiamo”, la vera risposta avrebbe dovuto essere “non abbiamo voluto credere”. Con “Non lo sappiamo” si intende che non volevano entrare nel merito, si dichiaravano a distanza perché, se così non fosse stato, avrebbero dovuto credergli e rinunciare a tutto il loro orgoglio, umiliarsi facendosi battezzare in mezzo a tanti testimoni, mostrarsi come qualunque altro israelita che si riconosceva peccatore e quindi rinunciava alla sua rispettabilità. E come avrebbero potuto fare una cosa del genere gli scribi e farisei, se si ritenevano superiori a tal punto da dire “Questa gente che non conosce la legge è maledetta”? (Giovanni 7.49).
“Giovanni venne a voi sulla via della giustizia”. Ce n’è una sola, non tante, e la giustizia è cercata da chi non l’ha o scopre di possederne una di quelle che, come un vestito che nulla copre, gli uomini amano indossare. I farisei, gli scribi e i sommi sacerdoti lì presenti, a quella giustizia furono insensibili, anzi, poiché alla luce delle investigazioni da loro fatte non emersero degli elementi per condannare Giovanni; lo lasciarono fare, ma si guardarono bene dal considerare che, se la “via della giustizia” era quella praticata da lui, non poteva essere la loro. Amen.
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